da: Il
Fatto Quotidiano
Le quattro sorelle
Mediaset, Sky, Rai e La7 convivono con reciproci sospetti e cercano, un po’
disperate e un pò affannate, di presidiare il mercato che occupano con il
terrore di restare con poca pubblicità e pochi abbonati. Perché se il peggio
deve ancora venire, il meglio è davvero passato.
Mediaset e l’urgenza di trovare soci
I lampioni stradali di
Corso Europa a Cologno Monzese, lembo di Milano che fu, sono imponenti.
Un’epoca fa, magari, li invidiavano. Cancelli intimidatori e un po’
sbertucciati circondano il bastione di comando di Mediaset, indigestione di
cemento e strapuntini di verdognolo. Qui girava il pizzone: la mitologica
cassetta che, spedita per le montagne trentine o per le ferriere pugliesi,
irradiava in contemporanea l’intera nazione e beffava l’emittente di Stato (e
pure le regole). Un ufficio di un dirigente ha un tavolo rettangolare, fra il
padrone della stanza e l’interlocutore svampito ci sono un paio di metri. Il
tavolo rappresenta la rendita che Mediaset ha accumulato nei decenni di grandi
invenzioni e grandi scorribande e che mantiene a misura di sicurezza i concorrenti,
soprattutto Sky. Questa distanza è sempre più fragile. I bilanci non macinano
più miliardi di dividendi per gli azionisti, le inserzioni pubblicitarie
possono risalire e le cassette custodiscono una consistente liquidità, ma il
Biscione vuole attrarre capitali freschi.
Il primo mattone da rimuovere è
Mediaset Premium. A Cologno Monzese non negano che l’operazione tv a pagamento
fu necessaria, quasi vitale, per contrastare il monopolio di Rupert Murdoch, ma
ora va capito in che direzione scagliare quel mattone. Non viene escluso
l’ingresso di un socio; i francesi di Tf1 e gli arabi di Al Jazeera stanno già
spulciando i conti. Quando vogliono scherzare, fra un tiro di sigaretta e un
caffè non zuccherato, avviluppati in moderni arredi di legno, al Biscione
dicono che per il munifico Murdoch l’italiana Mediaset vale una provincia
africana. Il disprezzo misura la rivalità. Ma significa che Mediaset,
nonostante la succursale spagnola, deve indossare un profilo internazionale.
Non sarà questione di giorni, ma nei prossimi mesi si aspettano buone notizie
da Madrid. Il Biscione detiene il 22% di
Digital Plus, l’omologa di Sky in Spagna, un identico 22% è di Telefonica e
il restante 56% e di Prisa (editore del El
Pais) che vuole vendere. Al galoppo
di Telefonica che può sborsare milioni con più scioltezza, Mediaset vuole
creare una struttura italo-spagnola
per l’offerta a pagamento: la merce più pregiata è il calcio. A Cologno non sono dogmatici. Non credono che i canali
generalisti, cioè i primi 7 del telecomando, siano irrilevanti; e ti ricordano
che Canale 5 con la Grande Bellezza
ha scorticato 2 milioni di pubblicità in tre ore. E non credono neppure che il
telespettatore sia disposto a scucire decine
di euro per una sottoscrizione a lunga durata perché appassionato di cinema. E così ti spiegano la piattaforma Infinity, la libreria di film da vedere
in streaming, che consente di avere lo stesso comportamento che il consumatore
ha davanti a uno scaffale: osserva, confronta e va verso la cassa.
Allora, a che servono
quei 660 milioni di euro per un triennio
di esclusiva di Mediaset Premium per la Champions League? Semplice: a garantire un pezzo di futuro perché Sky dovrà trattare con il nemico e gli
stranieri possono comprare qualcosa di valore. Il ragionamento è spietato. Al
Biscione non interessa coccolare con la melassa l’abbonato (quella è la
filosofia di Sky), se l’ad Andrea Zappia viene con un assegno firmato Murdoch
da (almeno) 350 milioni di euro il problema non sussiste più: la Champions viene
condivisa, fra satellite e digitale, e l’inciucio viene rinnovato. I due
gruppi, quando la coppa dalle grandi orecchie ce l’aveva Sky, già si misero
d’accordo tre anni fa. Questa è l’ipotesi più affascinante da giocare al
casinò. Ma per evitare imprevisti letali e per giustificare la spesa, a Cologno
calcolano che con 2,3 milioni di
abbonati - adesso sono 2 – quei 660 milioni di euro non faranno danni. Il rischio sarà non crollare sotto i 2
milioni la prossima stagione con Sky che avrà la Champions e Mediaset Premium
la sfigata Europa League. Bene. Oltrepassati questi scenari con un eloquio
tipicamente milanese – “noi vogliamo fare grana” – a Cologno ti fanno notare
che le vecchiette Rete4-Canale5-Italia1
fanno ancora il 26,5% di share
durante la giornata. Lo spezzatino digitale allunga il telecomando e fa
disperdere il pubblico: ci sarà presto una selezione e Mediaset, senza
precedere i rivali, non capita spesso, vuole elevare il livello di Canale 5: assisterete al progressivo rimpicciolimento di Rete4 e
Italia1, non domani di certo, ma non fra decenni. A Cologno vanno contro la
tendenza: Rai e Sky insistono con il telegiornale 24 ore su 24, a Mediaset non
sono entusiasti di Tgcom24,
preferiscono far crescere l’omonimo sito.
Sky deve difendere i suoi abbonati
Rogoredo, ex periferia
industriale di Milano, ora ammasso di casermoni anonimi e già fatiscenti. Il
quartier generale di Sky è rivestito di vetro trasparente. Il vetro sta ovunque:
fra l’esterno e l’interno, fra il dirigente e il dipendente, fra la sala
macchine e l’uscio di passaggio. Sky vuole apparire spartana, essenziale e, non
per vezzo, non troppo italiana. Il giardino pensile, ritrovo per ossigenare,
non poteva mancare. La sensazione di spreco, o di eccessivo o elitario, la
stessa che le promozioni cercano di introiettare ai clienti, viene presto
smentita. I riscaldamenti non richiedono spese, non perché Sky sia in bolletta,
ma perché il calore emanato da migliaia di cavi è convertito in energia
elettrica (e acqua calda). L’operatore con l’obiettivo in spalla oppure in
piedi asfissiato negli studi è una specie in via d’estinzione: l’uomo viene
sostituito da una telecamera robotizzata
da 150.000 euro, un cervello perfettamente istruito che s’accende e
s’arresta, si gira di lato o punta in alto con una rapida programmazione.
Quando i Murdoch piazzarono la bandierina fra Cologno Monzese e Viale Mazzini
le previsioni di accademici e studiosi pronosticavano 10-12 milioni di abbonati entro il 2010. Un mercato che non s’è mai intravisto in Italia. Sky ha ondeggiato sui 5 milioni, poi è
scivolata a 4,760: lavorano per mantenere questa quota. Vanno a pescare nel
tipico italiano, spettacoli per talenti di canzoni (X-Factor) o cucina (Masterchef), un po’ di volti sparsi, serie televisive americane e produzioni in
proprio. In principio fu Romanzo Criminale, poi Gomorra e 1992 (le stragi di mafia). Il canale dove confluiranno questi
prodotti si chiama Sky Atlantic, che
sarà sostenuto da un patto pluriennale con l’americana Hbo, la tv famosa per le serie tv di successo mondiale, I Soprano, Il trono di spade.
A Sky
vivono un po’ in bilico fra il digitale in chiaro di Cielo, lo streaming di Sky
Online e il satellite classico che drena miliardi di euro. Usano la metafora del cibo per risolvere la triplice identità. Cielo è la mensa: il
telespettatore assaggia una pietanza leggermente elaborata e poi, se
ingolosito, chiama per acquistare un pacchetto. Sky Online, per il cinema, è il bistrot: più impegnativo, ma non
totale. E il ristorante cinque stelle, ovvio, è l’insieme di Sky che ha
superato i 10 anni italiani e 10 miliardi di investimenti. Anche in Murdoch,
che non hanno opposizioni per il satellite in Italia, si preparano al futuro
che, per paradosso, potrebbe anche non
avere parabole.
La collaborazione tra
Sky e Fastweb è sempre più solida e, ormai, imprescindibile: perché chi fa
telecomunicazione deve dialogare con chi fa televisione, e viceversa. Per non
far scappare i 4,760 milioni di utenti – colpo in agenda per il 2015 – sarà
lanciato un dispositivo (una sorta di decoder) che ti consente di vedere Sky su
più televisori. Per sviluppare la tecnologia spendono 100 milioni di euro
l’anno. Nonostante la perdita nell’ultimo bilancio, a Sky vanno avanti con la
sicurezza di avere un guardaspalle, il signor Murdoch: le colonie, e non è
scoperta di oggi, diventano ricche se venerano la madre patria. E Sky Italia è
una colonia felice.
Nessun commento:
Posta un commento