Da
Bisignani a Cl: chi è Rognoni, il Bertolaso lombardo
Il
passato nella Techint di Scaroni travolta da Tangentopoli, l'amicizia con
Formigoni
di
Alessandro Da Rold
C’è un motivo se l’inchiesta sugli appalti
truccati di Expo 2015 ha creato più di un malumore all’interno della procura di
Milano, scatenando le ire del pm Alfredo Robledo contro il capo Edmondo Bruti
Liberati, con tanto di esposto al Consiglio superiore della magistratura.
Arrestare Antonio Rognoni, l’ex direttore generale di Infrastrutture Lombarde
(Ilspa) scatola regionale per la gestione delle commesse sulle grandi opere
infrastrutturali, con l’accusa di associazione a delinquere, truffa, turbativa
d’asta e falso, «mente del sodalizio criminale» scrive il Gip, significa «fare
centro» come in queste ore mormorano in piazza della Scala, aprire una breccia
in un sistema che dalla Lombardia passa attraverso tutto il sistema economico
politico e giuridico italiano, dalle banche ai fondi di investimento, dagli
studi legali più blasonati fino al cuore della macchina giuridica, coinvolgendo
persino un ex militare dei Ros come Giuseppe De Donno, imputato a Palermo nel
processo sulla “cosiddetta” trattativa Stato-mafia.
Mettere alla sbarra Rognoni significa in
buona sostanza toccare il cuore del sistema, coinvolgendo anche le tante realtà
economiche che hanno lavorato in questi anni con regione Lombardia, da banche
come Intesa SanPaolo o Unicredit, da Pirelli all’Eni fino al sistema
cooperativo, tra coop bianche lombarde vicino a Comunione e Liberazione e rosse
emiliane vicino al Pd, che si sono spartite in questi anni gli appalti tra
Lombardia e Emilia Romagna, rappresentate nel nuovo governo di Matteo Renzi dal
ministro alle Infrastrutture Maurizio Lupi e da quello al Lavoro Giuliano
Poletti. Vuol dire insomma tastare con mano il «vero potere», il groviglio poco
armonioso tra pubblico e privato, aprire una squarcio su un personaggio poco
conosciuto al grande pubblico, ma temuto nelle segrete stanze, considerato un
manager di successo, di grandi capacità operative abituato ad alzarsi alle 6
del mattino, preciso, rigoroso, sempre puntuale.
C’è chi lo paragona a Guido Bertolaso, l’ex
capo della protezione civile, stimato a destra e a sinistra, ma finito travolto
anche lui in un'inchiesta sempre sulle grandi opere, crollato sulle difficoltà
dell’amministrazione pubblica di scavalcare spesso la lentezza della burocrazia
e i gangli ammuffiti delle regole della pubblica amministrazione. Per capire la
cautela con cui ci si è mossi a palazzo di Giustizia milanese su questa
indagine, basta scavare nel passato di Rognoni, classe 1960, una laurea in
Ingegneria al Politecnico di Milano, un «ciellino laico», del giro ma non praticante,
cresciuto professionalmente nella Techint, la multinazionale italo-argentina
fondata alla fine della seconda guerra mondiale da Agostino Rocca, tra le
trenta società più importanti al mondo nella produzione dell’acciaio, con in
pancia aziende attive nella siderurgia, nell'ingegneria, nella sanità e nelle
reti di trasporto e distribuzione di gas. È un colosso da più di 20 miliardi di
euro, con un fatturato nel 2011 di 25 miliardi di dollari e più di 59mila
dipendenti in carico sparsi per il mondo.
La Techint è sempre stata una vera e
propria potenza, perché tra le migliori nel settore, ma pure per relazioni
nazionali e internazionali e perché oltreoceano, a Buenos Aires, parlare dei
«Rocca» significa ancora adesso parlare come degli «Agnelli» in Italia. Rognoni
è cresciuto qui tra la fine degli anni ’80 e i ’90. In Techint, l’ex direttore
generale di Infrastrutture Lombarde ci arriva come project manager nel 1987.
Siamo negli anni del boom economico. Al governo ci sono i socialisti di Bettino
Craxi e la Democrazia Cristiana di Giulio Andreotti Tangentopoli non è neppure
presa in considerazione. Alla Techint in quegli anni è vice presidente e
amministratore delegato Paolo Scaroni, l’attuale numero uno di Eni, ora in
scadenza di mandato Ma in quegli ambienti bazzicano un po’ tutti per la
Techint. C’è pure Luigi Bisignani, il faccendiere della P2, con un’infanzia in
Argentina, che neppure ventenne preparava la rassegna stampa per il patron
Agostino Rocca.
E in questo mondo di manager di successo e
di squali che Rognoni inizia a entrare in confidenza con il «sistema». Gli anni
di Mani Pulite passano con qualche contraccolpo. Scaroni venne arrestato per un
giro di tangenti al Psi relative proprio a un appalto della Techint, lo stesso
manager vicentino spiegò all’allora pm Antonio Di Pietro la commistione tra
politica e appalti, tra autorizzazioni, burocrazia e ricatti, tutte tematiche
che si sono di attualità ancora adesso, in un paese schiacciato tra la lentezza
delle procedure e la corruzione. Rognoni rimane project manager di Techint fino
al 1997, è uno dei migliori, cura commissioni importanti, è professionale, può
contare su una certa affinità con il patron Agostino Rocca: entrambi sono
laureati al Politecnico di Milano.
Nel 1998 c’è il salto di qualità. Diventa
direttore generale della Techint Consultants, è il braccio operativo della
società, quello addetto alla progettazione e project management delle
realizzazioni di Techint Group. È in sostanza il Responsabile, con la
"r" maiuscola dei progetti, opera «sul mercato nazionale ed
internazionale con specifico riferimento alle infrastrutture industriali,
manifatturiere e terziarie oltre all’edilizia sanitaria». Proprio in quegli
anni nasce alle porte di Milano grazie a Techint l’Ospedale Humanitas. In regione,
al grattacielo Pirelli è appena arrivato Roberto Formigoni. E la struttura
sanitaria di Rozzano diventerà presto una delle «eccellenze» della virtuosa
sanità lombarda targata Comunione e Liberazione. Nel 2001 Rognoni passa poi
alla Essepi Spa come amministratore delegato, l’azienda è gestore del
teleriscaldamento tra Como e Varese, società proprietaria di ben due centrali
idroelettriche.
È in questi anni che Rognoni conosce
Formigoni. Entra in quel circolo ristretto di persone fidate del governatore,
insieme con Nicolamaria Sanese, ex storico direttore generale di regione
Lombardia e Giuseppe Roberto Mario Zola, avvocato ed ex assessore
democristiano vicino a Cl, nominato nel 2013 dal consiglio regionale nella
Corte dei conti. A questo gruppo poi si aggiungeranno negli anni Antonio Simone
e Pierangelo Daccò, ma sono Rognoni, Sanese e Zola i veri bracci operativi
della regione, per competenze che spaziano dalle infrastrutture, dalla
conoscenza dei gangli burocratici fino alle questioni legali. Dal 2001 al 2004
Rognoni è amministratore delegato di Astrim, azienda leader nel campo del
global service e del facility management e di Aster, società leader del mercato
italiano nell’installazione di impianti meccanici ed elettrici.
Quest’ultima è un piccolo gioiello
dell’industria, dove a metà degli anni novanta si muoveva la famiglia Lazzati,
dinastia storica nel milanese: il fratello Giuseppe è stato lo storico rettore
dell’Università Cattolica. In questo incrocio tra potere, imprese, che spazia
da Roma a Milano fino a Buenos Aires, Rognoni cresce fino ad arrivare al
Pirellone. Gestisce una Ferrari come Infrastrutture Lombarde, colosso da 11
miliardi di investimenti, tra ospedali e cantieri, autostrade, come
Brebemi, Pedemontana e Tem, Tangenziale esterna milanese. Di mezzo pure
la realizzazione del Pirellone bis voluto da Formigoni, persino il restauro
della Villa Reale di Monza. La Ilspa nacque nel 2003, proprio per velocizzare i
lavori infrastrutturali. All’inizio a dirigere questo mezzo fiammante ci andò
Claudio Artusi, ma dopo nemmeno un anno ci arrivò proprio Rognoni. Lo hanno
sempre definito «insostituibile». E a palazzo Lombardia si fa notare che nel
cambio di gestione con la Lega Nord di Roberto Maroni nel 2013, nella
contrattazione con la vecchia gestione ciellina, a essere messo alla porta fu
Sanese, mentre Rognoni resistette fino all’ultimo.
Nessun commento:
Posta un commento