da: La Stampa
Se
la crisi non c’è più
Gli
inattesi segni di vita dell’industria musicale. Il mercato globale cresce
(+0,3%): non accadeva dal ’99. Nuvola e canzoni “in affitto” salveranno la
discografia?
di Claudio
Gallo
Quasi un racconto di Poe: dalla bara si
leva inatteso un grido. Ma allora è ancora vivo! L’altro giorno a Londra, a
Piccadilly, alla presentazione del rapporto annuale della Federazione
dell’industria fonografica (Ifpi) dalla cassa da morto dell’industria
discografica, prematuramente sepolta dalla pirateria e dai prezzi dei dischi, è
salito l’urlo miracoloso: profitto! Per la prima volta dal 1999 i guadagni globali
dell’industria della musica sono cresciuti. Il balzo è stato soltanto un
saltello dello 0,3%, ma dopo 13 anni
di fame è bastato per portare una ventata d’ottimismo a un settore sull’orlo dell’eutanasia.
Ovviamente i britannici, niente
nazionalisti, fanno notare che nell’Olimpo degli Hit ci sono le tre stelle
inglesi che la scorsa settimana hanno trionfato nei Brit Awards: Adele, One Direction, Mumford & Sons. E
poi l’intramontabile Rod Stewart. Da
quando l’Ifpi ha cominciato a registrare i bestseller mondiali nel 2001, «21»
di Adele, regina incontrastata delle vendite, è il primo album a essere in cima
alla classifica per due anni consecutivi.
Questa brezza su un mare in bonaccia si chiama
digitale, proprio la nuova tecnologia a cui solitamente si addebita il declino
dell’industria discografica. In principio venne iTunes, poi lo spopolare di
radio-web come Pandora e di servizi di ascolto come Spotify e Deezer ha
cominciato a portare nuovi incassi alle case produttrici. Il guaio per le nuove
start-up del brulicante mondo di Internet è semmai proprio che la maggior parte
delle risorse vanno alle major discografiche.
Il dilemma somiglia a quello dei giornali.
Ormai è una litania: l’era della stampa è finita, via tutti sul web. Ma i
ricavi principali degli editori, così come quelli dei produttori discografici
vengono ancora dagli arcaici mercati della carta e dei supporti magnetici. Il
digitale promette ma non mantiene, buona parte delle notizie sulla Rete sono
rimasticature di pezzi giornalistici.
Il rischio è che la transizione da un media
all’altro sia troppo lunga e il paziente muoia nel tragitto. Questi
ragionamenti sono rimasti in sottofondo alla presentazione del rapporto Ifpi, che
pure illustra come la tendenza negativa sia tutt’altro che invertita. Si è
preferito buttare il cuore oltre l’ostacolo, incoraggiati dai nuovi dati.
«Faccio fatica a ricordare - ha detto il direttore dell’Ifpi al Guardian - un
anno che per l’industria musicale sia cominciato con una tale palpabile
eccitazione».
«All’inizio della rivoluzione digitale - si
unisce agli entusiasti il boss della Sony Music Entertainment Edgar Berger -
era un luogo comune dire che il digitale avrebbe ucciso la musica. La realtà è
che il digitale sta salvando la musica. Credo che questi dati segnino l’inizio
di una storia globale di crescita. L’industria ha tutte le ragioni per essere
ottimista sul futuro».
Le cifre positive coincidono con quelle
negative di uno dei grandi nemici di Big Music, la pirateria. L’ultimo rapporto
dell’azienda di analisi di mercato Npd ha dimostrato che nel 2012 il download
illegali di brani musicali sono calati. Il 40 per cento di chi scaricava musica
dai servizi peer-to-peer ha detto di aver smesso e ridotto notevolmente
l’attività.
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