Zia
Antonia dormiva sempre. Più che mai morta, però, a un’impressione superficiale.
La
superiora era entrata per prima nella stanza. Dietro di lei l’Ernesto, dieci
centimetri buoni più basso, come nascosto dietro la massa della religiosa,
annusò come aveva già fatto.
«Sente?»
chiese infine.
Nessuna
risposta.
Suor
Speranza sentiva, eccome. Aglio allo stato puro! Fosse stato zolfo, avrebbe
potuto pensare al diavolo. Ma l’aglio…
«Sente
o no?» insistè l’Ernesto, ardito visto che la superiora gli dava le spalle.
«Sento.»
«E’
aglio», rimarcò lui.
Nel
suo regno suor Speranza non ammetteva misteri e segreti. Se ne incrociava uno,
ci pensava lei a risolverlo, da sola, senza l’aiuto di nessuno. Si girò verso
l’Ernesto, facendogli segno di uscire in corridoio.
O
volevano, con le loro chiacchiere, svegliare la zia che dormiva così beata?
In
corridoio erano accese le soli luci notturne, un invito al silenzio. L’Ernesto
abbassò il tono della voce, ne fece un bisbiglio.
«Cosa
ne dice? Come si spiega?» chiese sibilando.
«Come
faccio a saperlo?» fu la cavernosa risposta di suor Speranza.
«Se
non lo sai lei…» obiettò l’Ernesto.
La
superiora si avviò, le mani incrociate dietro la schiena.
«Una
cosa so», disse. «Se c’è, si vede che qualcuno ce l’ha portato.»
L’uomo
restò interdetto e si fermò. Erano a metà del corridoio.
«Ma
chi?»
Infatti.
«Chi?» fu anche il pensiero della superiora. Era affar suo scoprirlo, senza
Ernesti vari e relative domande a intralciarla.
«Senta»,
disse, e il tono, benchè pacato, era d’ordine. Lei doveva mettere a letto altre
ospiti, non aveva più tempo per dargli retta. «Parleremo in un altro momento,
d’accordo?»
Aveva
alternative, l’Ernesto?
Salutò,
scese con cautela le scale e nell’atrio della casa di riposo omaggiò con una
mezza riverenza l’anziana suor Aspasia, che passava le giornate su una sedia,
recitando rosari e chiacchierando con gli ospiti e i visitatori.
Nessun commento:
Posta un commento