mercoledì 6 marzo 2013

Andrea Vitali: Zia Antonia sapeva di menta / 1


Invisibile ma presente.
Inconfondibile. Solo lui era così.
E sembrava impossibile che fosse lì dentro.
Eppure…
Entrato nella stanza, Ernesto Cervicati si era improvvisamente fermato davanti a quel muro fantasma, ma dotato di una sua solidità. Aveva annusato. Una, due, tre volte, tirando su discretamente con il naso.
Non c’era da sbagliarsi, era odore di aglio.
“Aglio”, confermò tra sé muovendo appena le labbra.
Poi fece due passi verso il letto. Guardò zia Antonia, le coperte tirate fin sotto il mento. Sembrava morta. Di più. Sembrava che di lei non esistesse che la testa, sotto le coperte nient’altro.
L’Ernesto non si spaventò, quell’impressione l’aveva avuta già altre volte. Sapeva come fare per scacciarla: bastava guardare le labbra della zia. Esangui, vibravano spinte da un respiro tranquillo. Dormiva.
Molleggiando sulla punta dei piedi, l’Ernesto si avvicinò ancora un po’. E cominciò a percepire quell’altro odore. Familiare, una carezza. Inspirò profondamente. Poi si chinò verso il viso della zia.
Il suo alito sapeva di menta. Come sempre.
Zia Antonia sapeva sempre di menta.
Da che se la ricordava, la zia aveva sempre avuto intorno a sé quell’orbitale
profumato, frutto di chili e chili di caramelle e mentini succhiati nell’arco di una vita intera. Era una goduria entrare dentro quel cerchio profumato per darle un bacio o abbracciarla. Cosa che fece anche quella sera, un bacio sulla fronte, un bacio appena appena, per non svegliarla. Ritraendosi dal letto, l’Ernesto tornò nel regno dell’aglio. Un mistero cui bisognava dare una spiegazione.
«Ma dico io…» mormorò.
Possibile che agli ospiti della casa le suore cucinassero pietanze con l’aglio?
Di sera, poi!
Immobile, a metà strada tra la porta della camera e il letto della zia, mentre fuori la luce andava scemando, l’Ernesto prese la decisione di chiedere conto di quell’odore estraneo alla superiora, suor Speranza. Uscì più silenzioso di un ragno.
Nel corridoio annusò di nuovo. Odore di disinfettante adesso, verso metà cominciò a sentire il profumo d’incenso che proveniva dalla cappelletta. A suor Irta, che badava alle ospiti del primo piano, chiese della superiora.
«Non so dove sia al momento», rispose questa.
Se aveva bisogno, e urgente come aveva specificato l’Ernesto, di parlarle, che andasse ad attenderla nel salottino per gli ospiti.
La superiora arrivò dopo una mezz’ora, durante la quale Ernesto non aveva fatto altro che guardare il viso triste di una madonna scolpita nel legno che occupava un angolo del salottino. Entrò spostando un’aria che sapeva di minestrone e vegetallumina.
«Sia lodato Gesù Cristo», disse.
«Sempre…» si bloccò l’Ernesto per via di un gruppo che gli era salito in gola.
«Sempre?» lo incalzò suor Speranza.
«Sempre sia lodato», concluse l’Ernesto dopo aver deglutito, sentendosi piccolo e caporale davanti alla superiora, che come al solito aveva le maniche della veste arrotolate fin sopra i gomiti. 


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