Invisibile
ma presente.
Inconfondibile.
Solo lui era così.
E
sembrava impossibile che fosse lì dentro.
Eppure…
Entrato
nella stanza, Ernesto Cervicati si era improvvisamente fermato davanti a quel
muro fantasma, ma dotato di una sua solidità. Aveva annusato. Una, due, tre
volte, tirando su discretamente con il naso.
Non
c’era da sbagliarsi, era odore di aglio.
“Aglio”,
confermò tra sé muovendo appena le labbra.
Poi
fece due passi verso il letto. Guardò zia Antonia, le coperte tirate fin sotto
il mento. Sembrava morta. Di più. Sembrava che di lei non esistesse che la
testa, sotto le coperte nient’altro.
L’Ernesto
non si spaventò, quell’impressione l’aveva avuta già altre volte. Sapeva come
fare per scacciarla: bastava guardare le labbra della zia. Esangui, vibravano
spinte da un respiro tranquillo. Dormiva.
Molleggiando
sulla punta dei piedi, l’Ernesto si avvicinò ancora un po’. E cominciò a
percepire quell’altro odore. Familiare, una carezza. Inspirò profondamente. Poi
si chinò verso il viso della zia.
Il
suo alito sapeva di menta. Come sempre.
Zia
Antonia sapeva sempre di menta.
Da
che se la ricordava, la zia aveva sempre avuto intorno a sé quell’orbitale
profumato, frutto di chili e chili di caramelle e mentini succhiati nell’arco
di una vita intera. Era una goduria entrare dentro quel cerchio profumato per
darle un bacio o abbracciarla. Cosa che fece anche quella sera, un bacio sulla
fronte, un bacio appena appena, per non svegliarla. Ritraendosi dal letto,
l’Ernesto tornò nel regno dell’aglio. Un mistero cui bisognava dare una
spiegazione.
«Ma
dico io…» mormorò.
Possibile
che agli ospiti della casa le suore cucinassero pietanze con l’aglio?
Di
sera, poi!
Immobile,
a metà strada tra la porta della camera e il letto della zia, mentre fuori la
luce andava scemando, l’Ernesto prese la decisione di chiedere conto di
quell’odore estraneo alla superiora, suor Speranza. Uscì più silenzioso di un
ragno.
Nel
corridoio annusò di nuovo. Odore di disinfettante adesso, verso metà cominciò a
sentire il profumo d’incenso che proveniva dalla cappelletta. A suor Irta, che
badava alle ospiti del primo piano, chiese della superiora.
«Non
so dove sia al momento», rispose questa.
Se
aveva bisogno, e urgente come aveva specificato l’Ernesto, di parlarle, che
andasse ad attenderla nel salottino per gli ospiti.
La
superiora arrivò dopo una mezz’ora, durante la quale Ernesto non aveva fatto
altro che guardare il viso triste di una madonna scolpita nel legno che
occupava un angolo del salottino. Entrò spostando un’aria che sapeva di
minestrone e vegetallumina.
«Sia
lodato Gesù Cristo», disse.
«Sempre…»
si bloccò l’Ernesto per via di un gruppo che gli era salito in gola.
«Sempre?»
lo incalzò suor Speranza.
«Sempre
sia lodato», concluse l’Ernesto dopo aver deglutito, sentendosi piccolo e
caporale davanti alla superiora, che come al solito aveva le maniche della
veste arrotolate fin sopra i gomiti.
post precedenti nella categoria Narrativa
Nessun commento:
Posta un commento