da: Il Fatto Quotidiano
Trattativa
Stato-mafia, chiesti 11 rinvii a giudizio: “Le istituzioni cercarono il
dialogo”
Gli
ex ministri Mancino, accusato di falsa testimonianza, e Mannino hanno chiesto
di essere giudicati con il rito abbreviato, la posizione di Provenzano è stata
stralciata per motivi di salute. Contestato l'attentato, con violenza o
minaccia, a corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato, tutto
aggravato dall'agevolazione di Cosa nostra
di Giuseppe
Pipitone
Una ricostruzione lunga due udienze per
chiedere il rinvio a giudizio di tutti gli 11 imputati della trattativa tra
pezzi dello Stato e Cosa Nostra. È la richiesta che il sostituto procuratore Antonino
Di Matteo ha avanzato al giudice Piergiorgio Morosini, che dall’ottobre scorso
presiede l’udienza preliminare del patto sotterraneo siglato tra pezzi delle
istituzioni e la mafia. Toccherà ora al gup decidere se accogliere le
richieste dell’accusa. Sulla stessa vicenda è stata pubblicata anche la
relazione conclusiva della commissione antimafia presieduta da Beppe Pisanu.
Il pm ha passato in rassegna tutti gli
elementi raccolti nell’indagine condotta dalla procura di Palermo negli ultimi
anni: dall’uccisione dell’europarlamentare Salvo Lima, primo atto di guerra di
Cosa Nostra allo Stato, fino all’incarico di contattare Silvio Berlusconi e Marcello
Dell’Utri che l’ex stalliere di Arcore Vittorio Mangano avrebbe ricevuto da Leoluca
Bagarella. È a quel punto che, secondo il pm, si sarebbe siglato un nuovo patto
tra la mafia e lo Stato. Il passaggio però non è piaciuto al boss corleonese,
che ha infatti chiesto la parola per smentire di aver avuto contatti con
elementi politici.
Insieme a Bagarella, sono imputati per
violenza o minaccia a corpo politico dello Stato anche i boss Totò Riina e Antonino
Cinà, considerato il “postino” del papello, il collaboratore di giustizia Giovanni
Brusca, l’ex ministro democristiano Calogero Mannino, autore secondo i pm
del primo input per aprire un contatto con Cosa Nostra, il senatore del Pdl
Dell’Utri e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, accusato
soltanto di falsa testimonianza dopo la sua deposizione al processo Mori-Obinu
del febbraio scorso. Sia Mannino che Mancino hanno chiesto di essere giudicati
con il rito abbreviato.
Alla sbarra anche tre alti ufficiali dei
carabinieri: i generali Mario Mori e Antonio Subranni e
l’ex colonnello Giuseppe De Donno. È invece imputato per calunnia nei
confronti di Gianni De Gennaro uno dei testimoni eccellenti dell’inchiesta: Massimo
Ciancimino, “agganciato” da De Donno per organizzare i primi incontri tra il
Ros e l’ex sindaco mafioso di Palermo. “Non pensavamo che Ciancimino arrivasse
davvero a Riina” ha detto al fattoquotidiano.it lo stesso De Donno. Per i pm i
colloqui tra i carabinieri e Vito Ciancimino sono il primo atto formale di
“interlocuzione” tra le istituzioni e Cosa Nostra. Un dialogo sotterraneo che,
nella ricostruzione della procura, dura dal 1992 fino al 1994, ed ha come
oggetto una vera e propria negoziazione tra i pezzi delle istituzioni e la
mafia.
Oggetto principale della trattativa sarebbe
poi divenuto l’alleggerimento del 41 bis, obiettivo che si sarebbe realizzato
nel novembre del 1993, quando l’allora guardasigilli Giovanni Conso non rinnovò
oltre 300 provvedimenti di carcere duro a detenuti mafiosi. Ed è proprio per
proseguire la trattativa che, secondo il pm, i carabinieri del Ros non
arrestarono deliberatamente il boss Nitto Santapaola, “intercettato nella zona
di Barcellona Pozzo di Gotto senza che ne venissero informati i magistrati”.
Un importante salvacondotto sarebbe poi
stato assicurato al boss Bernardo Provenzano (per la posizione del quale
nei giorni scorsi è stato disposto lo stralcio) localizzato nella zona di
Mezzojuso nel 1995, e lasciato volontariamente libero dai militari. Il
“ragioniere” di Cosa Nostra era in origine tra gli imputati della trattativa,
ma il gup Morosini ha stralciato la sua posizione, dopo che i periti
neuropsichiatrici hanno sancito la sua incapacità di presenziare alle udienze.
Per il mancato arresto del padrino corleonese sono attualmente sotto processo
Mori e Obinu: è per questo che Di Matteo ha chiesto d’inserire agli atti
dell’inchiesta anche l’intero fascicolo del procedimento che vede i due
carabinieri accusati di favoreggiamento a Cosa Nostra.
Tra le decine di documenti dei faldoni che
costituiscono l’inchiesta sulla trattativa, il pm ha prodotto anche una
vignetta del disegnatore Giorgio Forattini. L’illustrazione, di poco successiva
all’omicidio Lima, rappresenta l’allora presidente del consiglio Giulio
Andreotti infilzato alle spalle da una lima. “Un’altra conferma – ha detto in
aula Di Matteo – che l’omicidio Lima fu percepito come una minaccia al Governo
allora in carica”. La chioma bianca dell’europarlamentare della Dc, rivolta nel
sangue di Mondello è il prequel della trattativa Stato-mafia. “Una storia – ha
detto sempre Di Matteo – nella quale la parte delle istituzioni che anche in
nome di una inconfessabile ragion di Stato ha cercato e ottenuto il dialogo con
la mafia”. Quel dialogo sotterraneo cercato da pezzi delle istituzioni avrebbe
avuto come reazione “il convincimento negli uomini della mafia che le bombe
pagano e determina la scelta della linea terroristica e un parziale cambiamento
degli obiettivi da eliminare che non sono più i politici ma coloro i quali sono
di ostacolo alla trattativa”. Alla fine della prima udienza anche il pentito Giovanni
Brusca aveva chiesto di fare dichiarazioni spontanee. “La sinistra sapeva della
trattativa – ha detto il collaboratore di giustizia – ma sono stato io il primo
a dirlo: l’aveva detto già Riina in un processo e in quella sede aveva incluso
nella Sinistra i comunisti”.
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