da: Il Fatto Quotidiano
“Recessione?
Accelerare sulle riforme”. Ma alle leggi di Renzi mancano 148 decreti
La
velocità dell'esecutivo si infrange contro il muro dei decreti inattuati: a 23
leggi mancano quasi 150 provvedimenti di secondo livello e 14 regolamenti sono
ormai scaduti. Tra gli altri, quelli su Tasi, abolizione delle Province,
lavoro, Expo e Irpef. In pratica la summa dell’intera attività di Governo. Al
palo anche le contromisure annunciate, task-force e meccanismo di
silenzio-assenso. L'arretrato da smaltire a quota 543, il record a un
regolamento atteso da 14 anni
“Dobbiamo accelerare sulle riforme”. Matteo Renzi ha reagito così, mercoledì, alla batosta di un Pil negativo oltre le previsioni, e pure giovedì, dopo le parole di Mario Draghi che ha definito l’Italia “in ritardo”. Le riforme come unica soluzione per uscire dal pantano velocemente, dunque. Con un ostacolo che gli è noto da tempo: “E’ inutile fare leggi se non si applicano, è allucinante”. A fine luglio era intervenuto sull’annosa questione dei decreti attuativi mai attuati, quel fardello di migliaia di provvedimenti legislativi privi di norme di secondo livello che rallenta l’entrata in vigore delle leggi o le rende del tutto inapplicabili. Quel giorno, il presidente del Consiglio aveva scoperto che il senso della velocità che
voleva imprimere alle sue riforme rischiava di
schiantarsi contro il muro degli atti mancati e dei regolamenti mai regolati
che ingessano le leggi ai blocchi di partenza. Oggi, dopo l’approvazione del
decreto Pubblica amministrazione, il premier ha twittato di nuovo sull’argomento:
“E ora sotto coi decreti attuativi“.
Perché la svolta buona, su questo fronte,
non è arrivata. Lo certificano i numeri forniti dall’Ufficio per il Programma
di Governo (Upg) a metà luglio: dopo soli cinque mesi di attività
legislativa, i decreti inattuati imputabili all’esecutivo Renzi sono già 148. E
presto saliranno ancora, per effetto dei decreti legge che stanno per essere
convertiti: la riforma della Pubblica amministrazione e Dl competitività ne
aggiungeranno altri 60-70. Stando all’oggi, dei 33 provvedimenti
legislativi pubblicati in Gazzetta soltanto nove non rimandano a norme di
secondo livello. Sono rimasti privi di attuazione, tra gli altri: i
provvedimenti sulla Tasi, l’abolizione delle Province, il decreto Poletti sul
lavoro, quello sull’Expo di Milano, la proroga dei commissari per le opere
pubbliche e perfino il decreto Irpef che contiene il famoso bonus di
80 euro (di ieri, l’impegno di Padoan a rendere permanente il beneficio con la
prossima Legge di stabilità). Non solo. Nonostante gli interventi normativi
siano recenti, 14 regolamenti hanno già superato i termini fissati per
l’emanazione, come nel caso del Durc semplificato: il decreto del Lavoro
previsto dal Dl 34 (primo capitolo del Jobs act) che avrebbe dovuto rendere
operativa la verifica online della regolarità contributiva delle imprese e che
allunga a 120 giorni la validità dei dati dichiarati è scaduto da due mesi. Ma
mancano anche i decreti che determinano e autorizzano le uscite per le misure
urgenti per la competitività e la giustizia sociale (Dl 66), quello che
definisce i criteri per l’iscrizione all’albo delle “centrali acquisti” di beni
e servizi diversi da Consip e Regioni (doveva arrivare entro il 23 giugno) e
altri ancora. In pratica, la summa dell’intera attività di governo, o poco meno
è rimasta sulla carta.
Il male, va detto, è antico. I governi
Monti e Letta hanno lasciato un’ingombrante fardello alle amministrazioni
centrali, schiacciate sotto il peso di 889 decreti inattuati. “Da allora però
l’arretrato è calato, i decreti sono scesi a 543”, tiene a precisare Alessandra
Gasparri, capo dell’Upg. Il motivo del miracolo, a ben vedere, non è un cambio
di passo quanto il fatto che oltre 300, nel frattempo, siano decaduti per
decorrenza dei termini. Quelli con termine puramente ordinatorio, invece no.
Quelli non scadono mai. Così, tra i tanti ancora da smaltire, spunta il più
vecchio di tutti. E’ il “regolamento sulla formazione artistica, musicale e
coreutica” e quest’anno compie 14 anni. Ancora un anno fa veniva evocato dalla
legge del governo Letta contente “misure urgenti in materia di istruzione,
università e ricerca” (n. 104/2013). L’urgenza si è però fermata all’articolo
19 che richiama quel fantasma rimasto sulla carta dal 1999 a oggi. E’ ancora
questo, secondo il Comitato per la legislazione della Camera, il decreto
attuativo (inattuato) più longevo della Repubblica.
Ciò detto, su questo terreno Renzi non si è
rivelato immune al male, anzi. Proprio quel sottobosco di regolamenti
successivi, cui demandare in seconda battuta la concreta realizzazione dei
provvedimenti, si è rivelato congeniale a una politica che privilegia la mera
enunciazione di principi e obiettivi, spesso motivo di conferenza stampa,
titoli di giornale e annunci. Il morbo del rimando, paradossalmente, si è fatto
sentire perfino sulle contromisure che il premier aveva annunciato per guarire
il malato accelerando la produzione dei decreti attuativi: una dopo l’altra,
sono finite nel cestino.
La prima prevedeva l’istituzione di una
speciale task-force incaricata di smaltire il lavoro arretrato, affidando al
ministero di Maria Elena Boschi un “potere sostitutivo” nei confronti dei
colleghi che non varavano decreti attuativi entro un determinato termine. La
seconda prevedeva un meccanismo di silenzio-assenso, se il dicastero competente
restava a guardare senza fare nulla il provvedimento veniva emanato comunque.
Renzi ci puntava molto, e infatti entrambe le soluzioni erano state
inizialmente inserite nel decreto legge sulla Pa. La disposizione è però sparita
nella versione pubblicata in Gazzetta. In un primo tempo si era pensato a una
vittoria degli apparati della burocrazia, poi si è appreso che erano state
cancellate a seguito di un Consiglio dei ministri definito “acceso” dallo
stesso presidente del Consiglio che, per la prima volta, si era trovato a fare
i conti con la resistenza dei componenti del suo governo. Fatto sta che la cura
da cavallo è uscita di lì trasformata in un proposito molto vago: “Ogni volta
il Consiglio si aprirà con il ministro dell’Attuazione del programma, Maria
Elena Boschi, che indicherà nome e cognome del ministro responsabile del
ritardo”, ha detto Renzi in conferenza stampa “e speriamo che questo funzioni
come campanello di allarme”. E speriamo.
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