da: La Stampa
Che i primi ospiti dei talk show rivali del
martedì sera siano stati Scalfari e Prodi è la rappresentazione plastica di un
problema politico: la mancanza dell’anti
Renzi, cioè di un leader della sua generazione alternativo a lui. È una
situazione anomala e in fondo inedita: Craxi dovette vedersela con Berlinguer e
con De Mita, Berlusconi col succitato Prodi e con Veltroni (per tacere di
D’Alema, che non si è mai capito se fosse un rivale o un sodale). Renzi non ha
un antagonista vero, riconosciuto e riconoscibile al punto da essere invitato
in televisione per fargli il controcanto. Alla sua sinistra l’unico ad avere il
carisma necessario sarebbe Tsipras, che però parla il greco e andrebbe
sottotitolato da Fassina. Ma è alla sua destra che il deserto avanza.
Berlusconi
è oramai una sorta di Breznev in tuta da ginnastica: dalle sue
parti gli unici segnali di vita arrivano da Brunetta e dal barboncino Dudù.
Giorgia Meloni è giovane e sveglia, però senza una struttura forte alle spalle.
L’unico ad averne una, e a bucare il video, sarebbe il leghista Salvini: il
secondo Matteo. Ma finché continuerà a passare le vacanze in Corea del Nord con
Razzi non uscirà dalla maledizione macchiettistica che da un quarto di secolo
impedisce al suo partito di essere preso sul serio. Restano i «Di»
pentastellati: il
litigioso Di Battista
e il diplomatico Di Maio. Ma perché
uno dei due possa emergere, devono prima fare
fuori Grillo e poi farsi fuori tra
loro. E così, in attesa che dall’esterno emerga un avversario credibile, Renzi si può concedere il lusso di cercarlo nel suo posto preferito: allo specchio.
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