da: Il Fatto Quotidiano
Una
poltrona per te: gli amici di Renzi sempre al posto giusto
Ha
cominciato con le partecipate di Stato e non smette più. Dopo Reggi, l’”amico
ritrovato”, e Legnini (spinto da Lotti) vuole controllare anche il posto che la
Todini lascerà in Rai.
Matteo Renzi non può nominare se stesso,
così indica quelli che incarnano il renzismo, lo diffondono, lo proteggono. Non
importa se la nomina deve conservare un minimo di rigore istituzionale, una
traccia di imparzialità: vidimando una pratica istruita da Luca Lotti, la
scatola nera del renzismo, al Csm ha mandato l’ex bersaniano Giovanni Legnini,
che pure Enrico Letta aveva arruolato a Palazzo Chigi. E non sarà una
poltrona-figurina, l’abruzzese Legnini sarà designato Capo, erede di Michele
Vietti, vice soltanto di Giorgio Napolitano che presiede l’organismo
costituzionale.
Legnini in sé non c’entra nulla, le
referenze si possono rendicontare, è il metodo da conquistatore totale che non
è mai esistito, neanche con il vorace Silvio Berlusconi. Legnini è
sottosegretario al Tesoro, stessa carica di Roberto Reggi, che però sta
all’istruzione. Reggi ha completato la riabilitazione e s’è meritato il
trasloco al Demanio per vendere un po’ di immobili statali e gestire la
colossale riforma del catasto: l’ex sindaco di Piacenza, coordinatore di
primarie contro Pier Luigi Bersani, non fu candidato in Parlamento (nel 2013)
come capro espiatorio per attacchi troppo ruvidi agli avversari del renzismo.
Ha recuperato.
Le promozioni di Renzi non seguono una
logica, perché poi producono dei pastrocchi. E lo spostamento di Legnini è un
pastrocchio prevedibile. Il docente in aspettativa, che dovrà governare i
magistrati, in questi mesi s’è comportato da affidabile referente di Palazzo
Chigi al Tesoro, sempre in stretto contatto con il fiorentino Lotti (li accomuna
la pesante delega al Cipe, dove si sbloccano progetti milionari). Adesso
Legnini doveva badare alla delicata legge di Stabilità (ex Finanziaria) dentro
un ministero controllato dal tecnico (e dalemiano) Pier Carlo Padoan e da una
coppia di ex collaboratori di Letta: Fabrizio Pagani, capo di segreteria e
Roberto Garofali, capo di gabinetto. Con l’ex animatore di Vedrò, Garofali
stava a Palazzo Chigi, segretario generale, rimosso per far spazio a Mauro
Bonaretti, che Graziano Del Rio s’è portato da Reggio Emilia. Risultato:
Bonaretti non tocca palla perché la vigilessa Antonella Manzione, reggente
dell’ufficio legislativo, comanda la macchina burocratica. E il bello (o il
brutto) è che il non renziano Garofoli muove le leve al Tesoro.
Renzi “ricicla” pure gli amici di amici, il
sindaco di Arezzo, Giuseppe Fanfani, va al Csm in quota Maria Elena Boschi.
Con l’ostinazione di chi deve presidiare
gli angoli del potere e il centro assieme, Renzi perde un interlocutore
decisivo in via XX Settembre. Esemplare il caso di Reggi: la scuola è il primo
pensiero di Renzi, no? Bene, all’istruzione non c’è un democratico: il ministro
Stefania Giannini è di Scelta Civica; i sottosegretari sono Gabriele Toccafondi
(Forza Italia) e Angela D’Onghia (Popolari per l’Italia). Anche il destino di
Carlo Cottarelli e deformato dalla tattica mi-prendo-tutto di Renzi: prima l’ha
commissariato con i fidati Filippo Taddei e Yoram Gutgeld, poi l’ha immolato in
pubblico per giustificare i ritardi con la spending
review e ora lo spedirà al Fondo Monetario Internazionale come
rappresentante del governo italiano, subentrerà ad Andrea Montanino.
Come premessa a una riforma (per il
momento) esclusivamente declamata nelle conferenze stampa o durante le
interviste, Renzi vuole il posto nel Cda
Rai che sarà presto vacante per l’uscita di Luisa Todini (quota Forza Italia), da maggio presidente di Poste.
Al Pd non spetta quella poltrona in viale Mazzini, ma i frequenti e trasversali
patti con Silvio Berlusconi, a discapito di una opposizione totalmente ignorata
(i Cinque Stelle e quel che resta di Sel), possono consentire ai democratici di
raccattare un’altra seggiola nel servizio pubblico sfruttando i numeri in
Commissione di Vigilanza.
Renzi ha piazzato il suo commercialista
Marco Seracini in Eni (come sindaco), il suo avvocato Alberto Bianchi in Enel e
il suo finanziatore Fabrizio Landi in Finmeccanica. A Palazzo Chigi ha
importato fianche il fotografo compaesano. Ovvio, tutti toscani. Tutti a
ingrossare il Granducato di Matteo. Quando il serbatoio regionale è vuoto,
Renzi attinge altrove.
Nessun commento:
Posta un commento