domenica 28 settembre 2014

Pier Paolo Pasolini: Lettere Luterane / 1



Gennariello

Paragrafo primo: come ti immagino 

Poiché tu sei il destinatario di questo mio tratterello pedagogo, che qui esce a puntate – rischiando naturalmente di sacrificare l’attualità all’esecuzione progressiva del suo progetto – è bene, prima di tutto, che io ti descriva come ti immagino.
E’ molto importante, perché è sempre necessario che si parli e si agisca in concreto.
Come il tuo nome immediatamente suggerisce, sei napoletano. Dunque, prima di andare avanti con la tua descrizione, poiché la domanda sorge impellente, dovrò spiegarti in poche parole perché ti ho voluto napoletano.
Io sto scrivendo nei primi mesi del 1975: e, in questo periodo, benchè sia ormai un po’ di tempo che non vengo a Napoli, i napoletani rappresentano per me una categoria di persone che mi sono appunto, in concreto, e, per di più, ideologicamente simpatici. Essi infatti in questi anni – e, per la precisione in questo decennio – non sono molto cambiati. Sono rimasti gli stessi napoletani di
tutta la storia. E questo per me è molto importante, anche se so che posso essere sospettato, per questo, delle cose più terribili, fino ad apparire un traditore, un reietto, un poco di buono. Ma cosa vuoi farci, preferisco la povertà dei napoletani al benessere della repubblica italiana, preferisco l’ignoranza dei napoletani alle scuole della repubblica italiana, preferisco le scenette, sia pure un po’ naturalistiche, cui si può ancora assistere nei bassi napoletani alle scenette della televisione della repubblica italiana. Coi napoletani mi sento in estrema confidenza, perché siamo costretti a capirci a vicenda. Coi napoletani non ho ritegno fisico, perché essi, innocentemente, non ce l’hanno con me. Coi napoletani posso presumere di poter insegnare qualcosa perché essi sanno che la loro attenzione è un favore che essi mi fanno. Lo scambio di sapere è dunque assolutamente naturale. Io con un napoletano posso semplicemente dire quel che so, perché ho, per il suo sapere, un’idea piena di rispetto quasi mitico, e comunque pieno di allegria e di naturale affetto. Considero anche l’imbroglio uno scambio di sapere. Un giorno mi sono accorto che un napoletano, durante un’effusione di affetto, mi stava sfilando il portafoglio: gliel’ho fatto notare, e il nostro affetto è cresciuto.
Potrei continuare così per molte pagine, e, anzi, trasformare questo intero mio tratterello pedagocico in un tratterello dei rapporti tra un borghese settentrionale e i napoletani. Ma per ora mi trattengo, e torno a te.
Prima di tutto tu sei, e devi essere, molto carino. Magari non in senso convenzionale. Puoi anche essere un po’ minuto e addirittura anche un po’ miserello di corporatura, puoi già avere nei lineamenti il marchio che, in là con gli anni, ti renderà fatalmente una maschera. Però i tuoi occhi devono essere neri e brillanti, la tua bocca un po’ grossa, il tuo viso abbastanza regolare, i tuoi capelli devono essere corti sulla nuca e dietro le orecchie, mentre non ho difficoltà a concederti un bel ciuffo, alto, guerresco e magari anche un po’ esagerato e buffo sulla fronte. Non mi dispiacerebbe che tu fossi anche un po’ sportivo, e che quindi fossi stretto di fianchi e solido di gamba (quanto allo sport, preferirei che tu amassi il pallone, così ogni tanto potremmo fare qualche partitella insieme). E tutto questo – tutto questo che riguarda il tuo corpo, sia ben chiaro – non ha, nel tuo caso, nessun fine pratico e interessato: è una pura esigenza estetica, un di pù che mi mette meglio a mio agio.
Intendiamoci bene: se tu fossi bruttarello, proprio bruttarello, sarebbe lo stesso, purché tu fossi simpatico e normalmente intelligente e affettuoso come sei. 
Basta, in tal caso, che i tuoi occhi siano ridarelli: come, del resto, se anziché essere un Gennariello, tu fossi una Concettina.
Qualcuno potrebbe pensare che un ragazzo come quello che sto descrivendo sia miracoloso. Infatti tu non puoi essere che un borghese, cioè uno studente che fa la prima o la seconda liceo. Sarei disposto ad ammettere la miracolosità nel caso che tu fossi un milanese, un fiorentino o anche ormai un romano. Ma il fatto che tu sia napoletano esclude che tu, pur essendo un borghese, non possa essere anche interiormente carino. Napoli è ancora l’ultima metropoli plebea, l’ultimo grande villaggio (e per di più con tradizioni culturali non strettamente italiane): questo fatto generale e storico livella fisicamente e intellettualmente le classi sociali. La vitalità è sempre fonte di affetto e ingenuità. A Napoli sono pieni di vitalità sia il ragazzo povero che il ragazzo borghese. Dunque, come ti ho scelto, tu mi hai scelto. Siamo pari. Ci stiamo scambiando dei favori. Naturalmente, se letto da altri, questo mio testo pedagogico è bugiardo, perché ci manchi tu: il tuo dialogo, la tua voce, il tuo sorridere. Ma tanto peggio per i lettori che non sapranno immaginarti. Se non sei un miracolo, se un’eccezione, questo sì. Magari anche per Napoli, dove tanti tuoi coetanei sono schifosi fascisti. Ma cosa potevo trovare di meglio per rendere almeno letteralmente eccezionale questo mio testo?

6 marzo 1975

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