domenica 28 settembre 2014

Pier Paolo Pasolini: Lettere Luterane / 2




Paragrafo secondo: come devi immaginarmi 

Potrei dirti tante cose che è necessario che tu, Gennariello, sappia del tuo pedagogo.
Non voglio fare un elenco di particolari, che verranno certamente fuori un po’ alla volta, necessitati dalle occasioni (infatti il nostro discorso pedagogico sarà pieno di parentesi e di divagazioni: appena qualcosa di attuale sarà così urgente e significativo da interrompere il nostro discorso, noi lo interromperemo).
Vorrei scegliere un solo punto: cioè ciò che la gente dice di me, e attraverso cui tu mi hai dunque finora conosciuto (ammesso che tu sappia della mia esistenza). Ciò che attraverso la gente hai saputo di me si riassume eufemisticamente in poche parole: uno scrittore-regista, molto «discusso e discutibile», un comunista «poco ortodosso e che guadagna dei soldi col cinema», un uomo «poco di buono, un po’ come D’Annunzio».
Non polemizzerò con queste affermazioni che hai ricevuto, con commovente concordanza, da una signora fascista e da un giovane extraparlamentare, da un intellettuale di sinistra e da un marchettaro.

Questo elenco è un po’ qualunquistico: lo so. Ma ricordati: non bisogna temere nulla, e soprattutto non bisogna temere quelle qualificazione negative che possono essere ritorte all’infinito.
Tutti gli italiani infatti si possono dare dei «fascisti» perché in tutti gli italiani c’è qualche tratto fascista (che, come vedremo, si spiega storicamente con la mancata rivoluzione liberale o borghese); tutti gli italiani, per ragioni più ovvie, si possono dare a vicenda dei «cattolici» o dei «clericali». Tutti gli italiani, infine si possono dare a vicenda dei «qualunquisti». E’ ciò appunto che ci riguarda in questo momento. Non perché io e te abbiamo rotto quello che dovrebbe essere ormai il tacito patto tra persone civili, consistente nel non darsi mai dei «fascisti» o dei «clericali» o dei «qualunquisti» a vicenda, ma perché sono io stesso che mi accuso, qui, di un certo qualunquismo.
Che cos’è che io vedo (qualunquisticamente) accomunare «una signora fascista e un extraparlamentare, un intellettuale di sinistra e un marchettaro»? E’ una terribile, invincibile ansia di conformismo.
Succede spesso, in questa nostra società, che un uomo (borghese, cattolico, magari tendenzialmente fascista) accorgendosi consapevolmente e inconsapevolmente di tale ansia si conformismo, faccia una scelta decisiva e divenga un progressista, un rivoluzionario, un comunista: ma (molto spesso) a quale scopo? Allo scopo di poter finalmente vivere in pace la sua ansia di conformismo. Egli non lo sa, ma l’essere passato con coraggio dalla parte della ragione (uso qui la parola ragione contemporaneamente in senso corrente e in senso filosofico) gli permette di sistemarvisi con le antiche abitudini che gli crede rigenerate, reificate. Mentre non sono altro, appunto, che l’antica ansia di conformismo.
Ciò durante questi trent’anni postfascisti ma non antifasciti, è sempre accaduto. Ma le cose si sono aggravate dal ’68 in poi. Perché da una parte il conformismo, diciamo così, ufficiale, nazionale, quello del «sistema», è divenuto infinitamente più conformistico dal momento che il potere è divenuto un potere consumistico, quindi infinitamente più efficace – nell’imporre la propria volontà – che qualsiasi altro precedente potere al mondo. La persuasione a seguire una concezione «edonistica» della vita (e quindi a essere dei bravi consumisti) ridicolizza ogni precedente sforzo autoritario di persuasione: per esempio quello di seguire una concezione religiosa o moralistica della vita.
D’altra parte le grandi masse di operai e le élites progressiste sono rimaste isolate in questo nuovo mondo del potere: isolamento che, se da una parte ha preservato una certa loro chiarezza e pulizia mentale e morale, le ha anche rese conservatrici. E’ il destino di tutte le «isole» (e delle «aree marginali»). Dunque il conformismo di sinistra – che c’era sempre stato – in questi ultimi anni si è fossilizzato.
Ora, uno dei luoghi comuni più tipici degli intellettuali di sinistra è la volontà di sconsacrare e (inventiamo la parola) de-sentimentalizzare la vita. Ciò si spiega, nei vecchi intellettuali progressisti, col fatto che sono stati educati in una società clerico-fascista che predicava false sacralità e falsi sentimenti. E la reazione era quindi giusta. Ma oggi il nuovo potere non impone più quella falsa sacralità e quei falsi sentimenti. Anzi è lui stesso il primo, ripeto, a voler liberarsene, con tutte le loro istituzione (mettiamo l’Esercito e la Chiesa). Dunque la polemica contro la sacralità e contro i sentimenti, da parte degli intellettuali progressisti, che continuano a macinare il vecchio illuminismo quasi che fosse meccanicamente passato alle scienze umane, è inutile. Oppure è utile al potere.
Per queste ragioni sappi che negli insegnamenti che ti impartirò, non c’è il minimo dubbio, io ti sospingerò a tutte le sconsacrazioni possibili, alla mancanza di ogni rispetto per ogni sentimento istituito.
Tuttavia il fondo del mio insegnamento consisterà nei convincerti a non temere la sacralità e i sentimenti, di cui il laicismo consumistico ha privato gli uomini trasformandoli in brutti e stupidi automi adoratori di feticci.

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