Paragrafo
secondo: come devi immaginarmi
Potrei dirti tante cose che è necessario
che tu, Gennariello, sappia del tuo pedagogo.
Non voglio fare un elenco di particolari,
che verranno certamente fuori un po’ alla volta, necessitati dalle occasioni
(infatti il nostro discorso pedagogico sarà pieno di parentesi e di
divagazioni: appena qualcosa di attuale sarà così urgente e significativo da
interrompere il nostro discorso, noi lo interromperemo).
Vorrei scegliere un solo punto: cioè ciò
che la gente dice di me, e attraverso cui tu mi hai dunque finora conosciuto
(ammesso che tu sappia della mia esistenza). Ciò che attraverso la gente hai
saputo di me si riassume eufemisticamente in poche parole: uno
scrittore-regista, molto «discusso e discutibile», un comunista «poco ortodosso
e che guadagna dei soldi col cinema», un uomo «poco di buono, un po’ come
D’Annunzio».
Non polemizzerò con queste affermazioni che
hai ricevuto, con commovente concordanza, da una signora fascista e da un
giovane extraparlamentare, da un intellettuale di sinistra e da un marchettaro.
Questo elenco è un po’ qualunquistico: lo
so. Ma ricordati: non bisogna temere nulla, e soprattutto non bisogna temere
quelle qualificazione negative che possono essere ritorte all’infinito.
Tutti gli italiani infatti si possono dare
dei «fascisti» perché in tutti gli italiani c’è qualche tratto fascista (che,
come vedremo, si spiega storicamente con la mancata rivoluzione liberale o
borghese); tutti gli italiani, per ragioni più ovvie, si possono dare a vicenda
dei «cattolici» o dei «clericali». Tutti gli italiani, infine si possono dare a
vicenda dei «qualunquisti». E’ ciò appunto che ci riguarda in questo momento.
Non perché io e te abbiamo rotto quello che dovrebbe essere ormai il tacito
patto tra persone civili, consistente nel non darsi mai dei «fascisti» o dei
«clericali» o dei «qualunquisti» a vicenda, ma perché sono io stesso che mi
accuso, qui, di un certo qualunquismo.
Che cos’è che io vedo (qualunquisticamente)
accomunare «una signora fascista e un extraparlamentare, un intellettuale di
sinistra e un marchettaro»? E’ una terribile, invincibile ansia di conformismo.
Succede spesso, in questa nostra società,
che un uomo (borghese, cattolico, magari tendenzialmente fascista) accorgendosi
consapevolmente e inconsapevolmente di tale ansia si conformismo, faccia una
scelta decisiva e divenga un progressista, un rivoluzionario, un comunista: ma (molto
spesso) a quale scopo? Allo scopo di poter finalmente vivere in pace la sua
ansia di conformismo. Egli non lo sa, ma l’essere passato con coraggio dalla
parte della ragione (uso qui la parola ragione contemporaneamente in senso
corrente e in senso filosofico) gli permette di sistemarvisi con le antiche
abitudini che gli crede rigenerate, reificate. Mentre non sono altro, appunto,
che l’antica ansia di conformismo.
Ciò durante questi trent’anni postfascisti
ma non antifasciti, è sempre accaduto. Ma le cose si sono aggravate dal ’68 in
poi. Perché da una parte il conformismo, diciamo così, ufficiale, nazionale,
quello del «sistema», è divenuto infinitamente più conformistico dal momento
che il potere è divenuto un potere consumistico, quindi infinitamente più
efficace – nell’imporre la propria volontà – che qualsiasi altro precedente
potere al mondo. La persuasione a seguire una concezione «edonistica» della
vita (e quindi a essere dei bravi consumisti) ridicolizza ogni precedente
sforzo autoritario di persuasione: per esempio quello di seguire una concezione
religiosa o moralistica della vita.
D’altra parte le grandi masse di operai e
le élites progressiste sono rimaste
isolate in questo nuovo mondo del potere: isolamento che, se da una parte ha
preservato una certa loro chiarezza e pulizia mentale e morale, le ha anche
rese conservatrici. E’ il destino di tutte le «isole» (e delle «aree
marginali»). Dunque il conformismo di sinistra – che c’era sempre stato – in
questi ultimi anni si è fossilizzato.
Ora, uno dei luoghi comuni più tipici degli
intellettuali di sinistra è la volontà di sconsacrare e (inventiamo la parola)
de-sentimentalizzare la vita. Ciò si spiega, nei vecchi intellettuali
progressisti, col fatto che sono stati educati in una società clerico-fascista
che predicava false sacralità e falsi sentimenti. E la reazione era quindi
giusta. Ma oggi il nuovo potere non impone più quella falsa sacralità e quei
falsi sentimenti. Anzi è lui stesso il primo, ripeto, a voler liberarsene, con
tutte le loro istituzione (mettiamo l’Esercito e la Chiesa). Dunque la polemica
contro la sacralità e contro i sentimenti, da parte degli intellettuali
progressisti, che continuano a macinare il vecchio illuminismo quasi che fosse
meccanicamente passato alle scienze umane, è inutile. Oppure è utile al potere.
Per queste ragioni sappi che negli
insegnamenti che ti impartirò, non c’è il minimo dubbio, io ti sospingerò a
tutte le sconsacrazioni possibili, alla mancanza di ogni rispetto per ogni
sentimento istituito.
Tuttavia il fondo del mio insegnamento
consisterà nei convincerti a non temere la sacralità e i sentimenti, di cui il
laicismo consumistico ha privato gli uomini trasformandoli in brutti e stupidi
automi adoratori di feticci.
Nessun commento:
Posta un commento