lunedì 15 settembre 2014

Non tutta la spesa pubblica è un costo: la distinzione che dovrebbe conoscere chi governa



Il punto della questione è il solito. Per chi è avvezzo a logiche di bilancio familiare, ma del tutto sconosciuto dalla classe politica che governa e legifera dal 1948.

I tagli sono necessari in ogni dove si sostengano costi che potrebbero essere ridotti con razionalizzazione, criteri uniformi di assunzione e gestione delle spese, controlli sulla spesa, revisione e risoluzione di criticità. Sia chiaro: un sistema adeguato di controlli ha un costo, ma consente di creare lavoro, qualificato, tra l’altro.
Il controllo è un tipo di costo che si ammortizza per effetto dell’efficientamento e dell’adeguatezza della gestione. Ergo: è un costo necessario, produttivo, non improduttivo.

I tagli per eliminare i costi improduttivi richiedono tempo. L’effetto può essere in taluni settori immediato, in altri a medio-lungo termine. Come si dice a casa mia: prima si comincia, prima si finisce. Concetto che ritengo sia noto anche all’annunciatore Renzi che ha ragione quando afferma: c’è un tempo per discutere, e uno per decidere. Ineccepibile. Se non fosse che le discussioni le evita perché le ritiene tutte di ostacolo al “fare” (vero, se pensiamo alla classe politica che l’ha preceduto, ma in questo modo rischia di gettare via il bambino insieme all’acqua sporca).

Individuare i tagli comporta, conseguentemente, definire il tipo di spesa. La spesa non è – in assoluto - un costo in sé, cioè una perdita. Le spese improduttive sono costi; ma se spendo in ottica di investimento, per creare risorse, quel costo è necessario né più né meno come il taglio della spesa che è un disservizio e non un servizio.
C’è poi un altro tipo di spesa imprescindibile. Poiché in questo paese a pagare le tasse sono i soliti noti, è un loro diritto e un dovere di chi gestisce lo Stato: sia a livello esecutivo, sia a livello legislativo, che siano definiti e garantiti alcuni servizi che sono, sì, spesa, ma bilanciati da entrate: cioè le tasse.
Tali servizi devono però essere gestiti con criteri di efficienza e devono essere sottoposti a controlli. Lo stato sociale non ha nulla a che vedere con lo stato assistenzialista. Quest’ultimo è un costo e crea diseguaglianze, ingiustizie, privilegi, perché fondato sul clientelismo. Il clientelismo è l’individualismo fatto forma collettiva.

Il compito del governo e del Parlamento – perché l’obiettivo lo raggiunge la squadra, non l’uomo solo al comando - è complesso e difficile: si tratta di capire quale spesa tagliare e come, quale spesa sostenere per gli investimenti, quali servizi garantire e con quali criteri. Posto che, tutto questo richiede un ragionevole lasso di tempo, mi chiedo se la classe politica della camicia bianca (quella in posa per la foto alla festa del PD) abbia le capacità per gestire secondo criteri che ho descritto, scontati per parecchie famiglie e noti anche ad alcune aziende .
Perché c’è un costo che supera tutti gli altri. Il peggiore di tutti.
E’ il costo della classe politica incapace. Siamo tutti consapevoli che una classe politica disonesta è un costo sociale. Ma una classe politica, seppure onesta, incapace di rappresentare e gestire il paese è un altrettanto costo sociale.

C’è un ultimo aspetto “pesante”, riflesso della condizione politica di ladrocinio e di incapacità politica.
Ammesso e non concesso che sia arrivato il momento in cui un gruppo politico sia in grado, quanto meno, di iniziare ad attuare decisioni e azioni che vanno nel senso sopra indicato, troppi anni di malgoverno o non governo, di leggi contorte o di assenza di leggi, si pagano pesantemente. Sarà probabilmente inevitabile che nella riallocazione della spesa si tagli anche ciò che in realtà, se quanto sopra ha un senso logico, non dovrebbe essere ridotto. Voglio dire che quando hai un’esigenza in casa, attingi ai soldi immediati che hai a disposizione e in un secondo momento ti attrezzi – se non sei un inetto o un incosciente – a disporre le tue finanze rinunciando a qualcosa (tagli necessari) e mantenendo le spese che ritieni essenziali e che consideri un investimento. Questo sarà il punto sui cui misureremo quanto prima Renzi e il suo governo. E su cui si giocherà il tanto strombazzato consenso.

Matteo Renzi vuole sicuramente passare alla storia come colui che, tra l’altro (è piuttosto ambizioso, un obiettivo non gli basta), ha guidato una classe politica che ha compreso cosa sia la spesa pubblica e come debba essere gestita. Che ci riesca è tutto da vedere, perché il compito è veramente difficile.
I nostri vicini di casa europeei ci ritengono da sempre incapaci di adottare un modello gestionale che, piaccia o no, i tedeschi conoscono e praticano da sempre. Ed è per questa incapacità gestionale che l’Europa, cioè la Merkel, ci ha imposto i compitini e non molla sui vincoli. Senza i quali, di là delle strumentalizzazioni di Grillo e Salvini, non avremmo manco le toppe al culo. Non avremmo proprio più dove attaccarle le toppe.

Non si può continuare a spendere e fare debiti se non si capisce una volta per tutte cosa sia la spesa improduttiva e quella produttiva. E agire sulla spesa significherà toccare interessi clientelari radicati da anni nel nostro paese. Si tratta di eliminare le diseguaglianze dei privilegi e distribuire – non sotto forma di mancetta elettorale da 80 euro – a coloro che da troppi anni si sono visti appiattire salari e pensioni o che non riescono a entrare nel mondo del lavoro.
Stabilita la distinzione tra spesa improduttiva a produttiva, da dimostrare non solo con il power point con cui Renzi tutto può e tutto fa, l’Europa, allora sì, dovrà modificare i vincoli e introdurre alcune flessibilità.

Non ci aspetta un autunno caldo. Ci aspetta una stagione nella quale non possiamo più permetterci disonesti e incapaci. E fanfaroni.

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