martedì 23 settembre 2014

Marco Travaglio: “Codice a sbarre”



da: Il Fatto Quotidiano

“In Italia c’è una bandiera che sventola forte nel vento: questa bandiera è Matteo Renzi, dobbiamo riconoscerlo… Poi c’è una bandiera a mezz’asta che si chiama Berlusconi: vediamo di utilizzarla ancora, se è possibile”.
Povero Cainano, va capito. A lui i giudici di sorveglianza, in cambio dei servizi sociali, hanno imposto varie prescrizioni, fra l’altro molto diverse da quelle cui era abituato: coprifuoco alle ore 23, obbligo di dimora ad Arcore o a Palazzo Grazioli, niente attacchi ai magistrati e soprattutto divieto di frequentare pregiudicati. Il che gli impedisce di andare a trovare Dell’Utri in carcere e di incontrare i tre quarti del suo partito. Renzi invece, almeno per ora, non ha di questi problemi. Infatti ha ricevuto il pregiudicato B. una volta al Nazareno e tre volte a Palazzo Chigi, molte meno comunque di Denis Verdini, che ieri ha collezionato l’ennesimo rinvio a giudizio (illecito finanziamento), dopo quello estivo per associazione a delinquere e bancarotta fraudolenta.

Un amore. Ha voglia Bersani a chiedere di essere ascoltato anche lui: ha l’handicap insormontabile di essere incensurato. “Vecchia guardia” da rottamare. B. & Verdini invece no. Da quando è salito a Palazzo Chigi, il giovin Matteo s’è fatto un sacco di nemici, sfanculando nell’ordine: i costituzionalisti, i
senatori pidini dissidenti, il Parlamento tutto, i giornali italiani critici (praticamente uno), l’Economist, la Rai al gran completo, le autorità europee (ma solo a parole), il Forum di Cernobbio, Confindustria, i ministri Orlando e Giannini, l’Associazione nazionale magistrati, i sindacati, la minoranza del Pd, ovviamente i 5Stelle e molti altri gufi lumache avvoltoi rosi-coni conservatori per cui manca lo spazio. Gli unici con cui va d’amore e d’accordo sono Silvio & Denis. Il fatto di poter frequentare pregiudicati per lui non è un’opportunità: è un obbligo. E, già che c’è, lo estende anche agli indagati.

Nel giro di sei mesi quello che si atteggiava a ragazzo pulito, lontano da certi brutti giri, s’è avvolto in una nuvola nera di habitué di procure e tribunali. Barracciu, Del Basso de Caro, De Filippo e Bubbico al governo. Bonaccini candidato in Emilia Romagna. Rossi ricandidato in Toscana. De Luca candidato in Campania. D’Alfonso eletto in Abruzzo. Soru e Caputo paracadutati al Parlamento europeo. Faraone e poi Carbone in segreteria. Descalzi all’Eni. Papà Tiziano in famiglia. Prossimamente Donato Bruno alla Consulta. È la famosa “svolta garantista”: chi non ha ancora una condanna definitiva è illibato come giglio di campo.
Eppure lo Statuto del Pd, sempreché Renzi lo conosca (lo Statuto e il Pd), dice tutt’altro: “Condizioni ostative alla candidatura e obbligo di dimissioni. Le donne e gli uomini del Partito democratico si impegnano a non candidare, ad ogni tipo di elezione – anche di carattere interno al partito – coloro nei cui confronti… sia stato: a) emesso decreto che dispone il giudizio; b) emessa misura cautelare personale non annullata in sede di impugnazione; c) emessa sentenza di condanna, ancorché non definitiva, ovvero a seguito di patteggiamento; per un reato di mafia, di criminalità organizzata o contro la libertà personale e la personalità individuale; per un delitto per cui sia previsto l’arresto obbligatorio in flagranza; per sfruttamento della prostituzione; per omicidio colposo derivante dall’inosservanza della normativa in materia di sicurezza sul lavoro…” o “sia stata emessa sentenza di condanna, ancorché non definitiva, ovvero patteggiamento, per corruzione e concussione”. Appena finirono dentro le cricche di Expo & Mose, il renzianissimo sottosegretario Luca Lotti annunciò: “Le parole di Matteo contro la corruzione sono un monito, ora diamoci da fare. La pulizia deve cominciare. Ogni strumento va affinato, corretto, messo a punto: il codice etico e lo Statuto sono da cambiare e soprattutto attuare”. Matteo aveva appena promesso il “Daspo” per i corrotti. Ma tutti avevano equivocato. Era solo l’acronimo di uno straziante appello a Silvio: dai sposami.

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