da: la Repubblica
Inizio d’anno in una scuola elementare di
Torino, città che si fregia della definizione di “educativa”. Stremati dalla
lunga estate i genitori si rallegrano che, almeno per chi non frequenta la
prima, già dal primo giorno funzioni il tempo pieno.
Meraviglie di una scuola ben organizzata.
Peccato che ci sia subito la prima doccia fredda: la palestra è inagibile
perché richiede manutenzione e non ci sono soldi per farla, con buona pace
delle promesse di Renzi di investire prioritariamente nell’edilizia scolastica.
Se si vorrà far fare ginnastica ai bambini, occorrerà chiedere ospitalità a
qualche scuola vicina, rassegnandosi a prendere le ore lasciate libere dalle
classi di questa e perdendo prezioso tempo per andare e venire tra una scuola e
l’altra (certo, anche questo è un modo di fare esercizio motorio…).
Non è tutto, però. Posto che si trovino gli
incastri giusti tra le due scuole nella fruizione della palestra, i bambini
“ospiti” potranno fruirne effettivamente solo se, per ogni classe, accanto alla
maestra ci sarà un genitore disposto ad accompagnare i bambini nel tragitto di
andata e ritorno.
Non è chiaro come si pensi di trovarlo:
chiedendo che i genitori a turno prendano mezza giornata di permesso o ferie?
Costringendo chi non ha un
lavoro, perché casalinga o disoccupato/a, a mettersi
a disposizione? Precettando qualche nonno/a?
Ma non è finita qui. In una quinta
elementare finalmente la classe quest’anno ha entrambe le maestre di ruolo,
dopo quattro anni di sistematico turn over della maestra di italiano. O meglio,
le ha sulla carta. La maestra appena assunta in ruolo due giorni prima
dell’inizio della scuola è andata in congedo di maternità anticipato. Per ora,
quindi, tempo pieno, ma, come gli anni scorsi, attesa non si sa quanto lunga di
un/una supplente, in più niente ginnastica. Questo in una classe in cui un buon
numero di scolari è, non solo straniero, ma da poco in Italia; quindi avrebbe
più bisogno di continuità nell’insegnamento. È questa la #buona scuola che è stata promessa? Il rispetto dovuto ai bambini,
l’attenzione necessaria per non spegnere in loro la fiducia nella scuola e
l’entusiasmo di imparare cose nuove? Ovviamente, la maestra in maternità ha
tutti i diritti e probabilmente avrà tirato un sospiro di sollievo
nell’apprendere che poteva mettersi in congedo di maternità senza timore di
perdere punti in graduatoria come quando era supplente. Sicuramente avrà buoni
motivi di salute per averlo chiesto anticipato e il medico che glieli ha
certificati avrà agito con scrupolo e non chiudendo un occhio. Sono anche
sicura che il Comune di Torino, o qualsiasi ente sia responsabile dell’edilizia
scolastica, ha avuto priorità più urgenti (tetti che crollano, servizi igienici
rotti e simili) di una palestra su cui concentrare le risorse disponibili per
la manutenzione (se pur sono arrivate). Ciò non impedisce di rimanere
sconfortati di fronte allo scarto tra le promesse e la realtà e al semplicismo
delle prime.
Lasciamo pure stare la questione della
palestra, anche se poi è inutile lamentarsi che i bambini italiani fanno poco
moto e praticano poche attività sportive, se anche quelle che dovrebbero fare a
scuola dipendono dalla disponibilità di tempo dei genitori, oltre che dal fatto
che un’altra scuola possa cedere parte delle proprie attrezzature, senza
ridurre il servizio per i propri studenti. La faccenda della maestra di ruolo in maternità (una
eventualità non remota in una professione al 90% femminile) mostra come
la stabilizzazione, l’immissione in ruolo dei supplenti possa essere un
passaggio necessario e doveroso, specie per coloro che fanno supplenze da anni,
talvolta nella stessa scuola e stessa classe. Ma non risolve la questione di
come garantire agli studenti continuità
e qualità didattica e neppure il diritto minimo ad avere un insegnante
annuale stabile, se non il primo, almeno il secondo giorno di scuola. Su questo
punto anche i sindacati sono troppo silenti. Eppure, se non lo si affronta,
insieme a quello della qualità dell’insegnamento, il nostro continuerà ad
essere un sistema scolastico che troppo si affida alla supplenza non solo degli
insegnanti “supplenti”, ma delle famiglie.
Se si può chiudere un occhio sulle
richieste di contributi per il materiale didattico o la carta igienica; si
possono imbiancare i muri delle aule e tagliare l’erba in giardino; ma non si
può accettare che la solidità dell’istruzione dei bambini e ragazzi sia
affidata alla capacità e disponibilità delle famiglie di integrarla quando questa
è mancante, o intermittente. In questo modo la scuola, invece di essere
strumento di compensazione delle disuguaglianze, le conferma, quando non le
acuisce.
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