mercoledì 3 settembre 2014

Marco Travaglio: “La prevalenza del cretino”



da: Il Fatto Quotidiano -19 agosto 2014

Ormai da tempo immemorabile, non appena si ventila l’ipotesi di riformare la giustizia, si varano subito norme per riformare i giudici: correnti, carriere, responsabilità civile o disciplinare, Csm. E, non appena i detenuti superano il 150% dei posti cella, s’approntano leggi svuotacarceri per farne uscire un po’. Poi è arrivato Renzi. E chi si è bevuto la favola del Rottamatore s’è illuso che la musica cambiasse Per qualche minuto, non di più: il tempo di vederlo salire al Quirinale col nome di Gratteri alla Giustizia e tornare indietro con quello di Orlando. A quel punto doveva essere chiaro a tutti che la riforma della giustizia – quella vera, che dovrebbe tagliare alla fonte il numero dei processi penali e civili, snellirne l’iter per abbreviarne la durata e punire severamente i delitti che ci hanno portati alla bancarotta – non avrebbe mai visto la luce. Invece i boccaloni han continuato a cascarci, grazie anche alle paginate di fuffa giornalistica intitolate “Così cambierà la Giustizia”, quando è chiaro a tutti che non cambierà una mazza.
L’epocale Riforma, annunciata da Renzi entro e non oltre fine luglio, poi ridotta a 12 “linee guida” – una serie di pensierini da terza elementare o da letterina a Babbo Natale da discutere in Rete – è stata spostata entro e non oltre il 20 agosto (a proposito, è domani: novità?). E, se abortirà, non è detto che sia una
disgrazia. Intanto perché sarebbe affidata alla classe politica più stupida e incompetente della terra. E poi perché soggiace al diritto di veto del noto pregiudicato, secondo il lodo Renzi che ricorda tanto il Comma 22: le riforme costituzionale ed elettorale si fanno con chi ci sta (cioè B.), mentre invece sulla giustizia bisogna ascoltare l’opposizione (cioè B.).
L’altro ieri Piercamillo Davigo ha spiegato che le 12 linee guida “si occupano di cose inutili” perché “contengono un errore di fondo: si vuole fissare ancora una volta la durata massima di un processo, anziché cercare di ridurre il numero dei processi. Occorre disincentivare il ricorso ai tribunali. Chi ha torto deve pagare, non costringere chi ha ragione a fargli causa. Deve sapere che se finirà davanti a un giudice e questi capirà che ha torto, si prenderà una condanna ancora più pesante. Non serve una rivoluzione, bisogna partire da pochi principi che avranno ricadute a lungo termine”. Idem per le carceri: “L’Italia, rispetto agli altri Paesi europei e agli Usa, ha il numero di carcerati più basso rispetto alla popolazione, ma le carceri scoppiano. Per l’insipienza della classe politica, però, si andrà a svuotarle di nuovo. Le soluzioni sono altre: costruire nuove carceri o limitare i reati per cui la pena si sconta in carcere”.
Nelle stesse ore Enrico Costa del Ncd rilanciava la boiata del “processo breve” (cioè della legge che ammazza i processi se non finiscono entro e non oltre la data fissata dal legislatore cretino). E Donatella Ferranti del Pd salmodiava su Repubblica sulla necessità di assicurare la “durata ragionevole ai processi” per “allinearci con gli altri paesi europei”. Senza naturalmente spiegare quale ragionevole durata potrà mai garantire un Paese dove ogni anno 8 mila magistrati si vedono piovere addosso 6-7 milioni di nuovi processi fra civili e penali, da celebrare in tre gradi di giudizio, con la collaborazione straordinaria di 250 mila avvocati che nel 2024 saranno 400 mila. Intanto i politici cretini, a furia di varare inutili “pacchetti sicurezza” e di inventare reati assurdi tipo la clandestinità, il porto abusivo di bombolette di vernice spray e – ultimo nato – l’istigazione all’anoressia, convincevano gl’italiani che i delinquentelli di strada sono più pericolosi di bancarottieri, corrotti, corruttori, concussori, evasori fiscali e falsificatori di bilanci.
Finché i governi erano composti da nutrite delegazioni di queste categorie criminali, si poteva capirli: sapevano quel che facevano. Ora che non è più così, delle due l’una: o non sanno quello che fanno, oppure fanno quello che ancora non sappiamo.

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