da: la Repubblica
Intervistato da Concita De Gregorio per
questo giornale (clicca qui) , il neosindaco
cinquestellato di Livorno dice parecchie cose, alcune interessanti altre meno,
ma almeno una non comune in bocca a un politico o un amministratore: “Non
costruiamo il nuovo ospedale, facciamo funzionare quello vecchio”. Non so
niente di specifico, ovviamente, sulla situazione della sanità a Livorno (né
altrove). Ma quel concetto a me pare, specie in un paese come il nostro,
rivoluzionario, perché la riparazione, il ripristino, il risanamento, la cura
di ciò che già esiste (dalle città d’arte alle periferie degradate) sarebbe una
prodigiosa opera di rinascita economica, culturale, progettuale, politica. In
un territorio già cementificato in modo forsennato, prima di costruire il nuovo
si dovrebbe imparare a “costruire” il vecchio, distruggendo ciò che non è
salvabile e onorando ciò che è recuperabile, funzionale, estetico. L’immagine
penosissima del terrazzino vacillante nella famigerata “new town” voluta
all’Aquila dal palazzinaro Berlusconi (clicca qui) ci dice, tra l’altro,
quanto il “nuovo”, in Italia, spesso sia deperibile, risicato, tirchio. Un
paese generoso verso se stesso ha rispetto prima di tutto per ciò che è e per
ciò che ha. “A buttare giù tutto e a rifarlo nuovo si risparmia”, hanno detto
ai nostri padri e nonni geometri e costruttori frettolosi. Il risultato è lo
sfascio del territorio. Il suo oggettivo impoverimento. Era meglio spendere
qualcosa di più rammendando il vecchio.
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