Il fatto essenziale, è che è morto un
ragazzo di 16 anni. Non si può discutere il dolore della famiglia. Ciò
promesso, oltre a rimandarvi di seguito all’articolo che - comunque la si pensi
– merita una lettura, non vorrei che il dolore di questa famiglia passasse di contenitore
televisivo del mattino in contenitore televisivo del pomeriggio, con
immancabile presenza nei talk serali. Già immagino la faccia ipocrita di certe
presunte conduttrici e di certi
fantomatici giornalisti che manifestano dispiacere o rabbia in relazione a ciò
che in quel momento è “utile” al loro padrone televisivo: Silvio Berlusconi. Se si è contro il governo
si “sottolinea” la “giusta rabbia” della gente, se si è nel tempo perenne delle
larghe intese e il ministro dell’interno è un nominato di Berlusconi, prevarrà
l’ipocrito dispiacere non senza alcune “osservazioni” sulle responsabilità
anche delle vittime. Sì, lo so. Questa mia analisi risulta incomprensibile al
target meno che basso di questa tv. Del resto, in caso contrario, non si
farebbero prendere per il culo da anni da questa televisione.
Nel target meno che basso che vive di
questi contenitori televisivi e talk, pronti a ripartire nel palinsesto
autunno-inverno, includo anche i laureati che passano la giornata a commentare e
twittare fingendo di disprezzare ciò che non mancano di guardare costantemente
(e non per ragioni professionali, a costoro va tutta la mia solidarietà). A
questo punto e dopo aver letto l’articolo che contiene domande logiche sulla
famiglia ma ne tralascia una fondamentale sullo Stato: ‘come vengono addestrate le giovani forze dell’ordine?’, mi chiedo:
anche la cagata di programmi che alimenta un certo modo di pensare (e votare) è
colpa dello Stato che consente di fare questa “libera” televisione?
Se non si capisce il senso, la provocazione
della domanda, meglio rimanere in facebook e twitter a “commentare” di certa
tv………
Morire
a 16 anni per mano di un carabiniere. Ma le famiglie… dove sono?
di Sabrina
Antenucci
Morire a 16 anni per una disobbedienza.
Questo, in sintesi il sentimento che prevale in rete riguardo alla morte di
Davide Bifolco, il ragazzo ucciso da un carabiniere la scorsa notte a Napoli.
La storia è nota a tutti: Nella notte tra
giovedì e venerdì verso le 3 del mattino a Napoli, nel Rione Traiano, tre
ragazzi non si fermano all’alt dei carabinieri. Sono in motorino, alla guida
viene segnalato un pregiudicato evaso dai domiciliari.
Inizia un inseguimento,
il motorino sbanda e i ragazzi cadono secondo i cc, viene speronato secondo i
famigliari. Di fatto, i tre ragazzi cadono. Il sospetto, che era alla guida,
riesce a scappare; gli altri due vengono inseguiti e fermati. Durante
l’inseguimento Davide Bifolco viene colpito da un proiettile e muore poco dopo.
I carabinieri sostengono sia stato un incidente, la famiglia un’esecuzione.
Non ci sono i dati, non c’è il responso
dell’autopsia, non ci sono i risultati delle indagini. Fino a quel momento non
potremo trarre alcuna conclusione. Ci dobbiamo limitare ad ascoltare quello che
affermano le persone che c’erano, o che dicono di essere state lì.
Al momento, l’unico fatto incontrovertibile
è che un ragazzino di 16 anni è morto, e la pistola che ha sparato il colpo
mortale era nelle mani di un carabiniere. Incidente? Volontarietà? Ce lo
diranno le indagini. L’unica considerazione che ci viene spontanea è che una
pistola non spara incidentalmente se non è stata armata da una mano. Quindi,
nel momento in cui ha sparato, la pistola era armata. Chi lo ha fatto ha preso
in considerazione l’ipotesi che avrebbe potuto sparare. Che poi sia stato un
incidente o meno, le condizioni erano tali perché succedesse.
Ci sono però altre condizioni che hanno
reso possibile l’incidente, o comunque l’avvenimento.
Tre persone non si sono fermate allo stop.
A quanto ci è dato sapere, uno di loro era un sospetto pregiudicato in fuga. I
carabinieri hanno il dovere di fermare i sospetti e verificare se esistano
violazioni della legge o meno. I cittadini hanno il dovere di rispettare la
legge. A seguito dell’incidente ieri il Rione Traiano, primo tra gli altri, si
è unito in un corteo per protestare contro l’accaduto; lo slogan principale è
stato “Lo Stato non ci tutela, lo Stato
ci uccide”. La memoria non mi aiuta nel ricordare un corteo simile in
occasione degli omicidi di rappresentanti delle forze dell’ordine. Forse
qualche lettore potrà aiutarmi a ricordare. Durante una discussione con dei
conoscenti, ci è stato risposto “il carabiniere sa che rischia la vita quando
firma per accettare quel lavoro”. Vero. E’ da qui che partiremo, infatti.
Perché se è vero che un carabiniere sa che sceglie un lavoro a rischio, è
altrettanto vero che a 16 anni sai che non fermarti ad un alt è un rischio. E
prima ancora, sai che andare in 3 in motorino è un rischio. Ma c’è di più. Per attaccare il carabiniere, viene
attaccato lo Stato. Quindi, per
parlare della vittima parleremo della sua famiglia. Abbiamo visto il
filmato diffuso il giorno dopo con le interviste alla mamma e al fratello. In
sostanza, la mamma sosteneva che avevano ucciso il suo bambino, che aveva solo
16 anni, che era un angelo, che non poteva credere al fatto che 5 minuti prima
lo aveva visto perché era tornato a casa a prendere il cappellino e la felpa
per andare a fare l’ultimo giro in motorino con due amici e 5 minuti dopo non
c’era più. Analizziamo i fatti: un
ragazzino di 16 anni entra in casa alle 2.50 del mattino per prendere un
cappellino perché insieme ad altri due amici va in giro in motorino. E il casco? In 3 sul motorino? Alle 3 del
mattino? A 16 anni? Una mamma così attenta che si chiede come mai
il carabiniere non abbia notato che era un bambino, ha notato che sul
profilo facebook del suo bambino ci
sono foto che lo ritraggono con una canna
in bocca, costantemente? La mamma si
era temporaneamente distratta oppure si è bambini a seconda dei casi? Aveva
visto l’ora, quando è rientrato in casa? E’ normale che un “bambino” esca alle
3 del mattino? Forse il carabiniere non si è accorto che era un bambino perché
i “bambini” a quell’ora sono a casa.
A 24 ore di distanza, le prime azioni della
famiglia. Assunto il legale che ha già difeso la famiglia Cucchi, spunta il
guidatore del motorino (Vincenzo Ambrosino, 23 anni, incensurato) pronto a
smentire la presenza del pregiudicato. Poco dopo, la famiglia diffonde le foto
del cadavere di Davide per provare che la loro tesi è giusta. Ammiro il sangue freddo, non so in quanti
sarebbero stati capaci di organizzare una strategia così efficiente in così
poco tempo.
In redazione il Direttore e io abbiamo
valutato se pubblicare quelle foto o meno per tre ore, prima di decidere di far
prevalere il diritto di cronaca. Siamo concordi nel pensare che certe foto non
debbano essere diffuse, per rispetto alla persona che è morta e per rispetto
verso i lettori. Foto di un cadavere non
danno valore aggiunto, tendono solo ad intenerire e portare l’opinione
pubblica ad agire in modo impulsivo, abbandonando la razionalità. Ma forse il
rispetto che avremmo voluto dimostrare a quel cadavere non è lo stesso della famiglia. Forse la nostra idea di
bambino è diversa. Forse la nostra idea di angelo è diversa. Forse la nostra
idea di Stato è diversa. Il carabiniere che ha ucciso Davide deve pagare la sua
colpa. Se è stato un incidente, è giusto che sconti la pena per omicidio
colposo; altrimenti che venga giudicato e condannato per omicidio volontario. Ma
non condanniamo lo Stato, e non creiamo un martire. Il carabiniere e Davide
hanno sbagliato, pesantemente, entrambi. Davide ha pagato il prezzo più alto.
Purtroppo.
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