lunedì 8 settembre 2014

Napoli, morire a 16 anni per mano di un carabiniere: “Ma le famiglie dove sono?” e le forze dell’ordine come vengono addestrate?



Il fatto essenziale, è che è morto un ragazzo di 16 anni. Non si può discutere il dolore della famiglia. Ciò promesso, oltre a rimandarvi di seguito all’articolo che - comunque la si pensi – merita una lettura, non vorrei che il dolore di questa famiglia passasse di contenitore televisivo del mattino in contenitore televisivo del pomeriggio, con immancabile presenza nei talk serali. Già immagino la faccia ipocrita di certe presunte  conduttrici e di certi fantomatici giornalisti che manifestano dispiacere o rabbia in relazione a ciò che in quel momento è “utile” al loro padrone televisivo:  Silvio Berlusconi. Se si è contro il governo si “sottolinea” la “giusta rabbia” della gente, se si è nel tempo perenne delle larghe intese e il ministro dell’interno è un nominato di Berlusconi, prevarrà l’ipocrito dispiacere non senza alcune “osservazioni” sulle responsabilità anche delle vittime. Sì, lo so. Questa mia analisi risulta incomprensibile al target meno che basso di questa tv. Del resto, in caso contrario, non si farebbero prendere per il culo da anni da questa televisione.

Nel target meno che basso che vive di questi contenitori televisivi e talk, pronti a ripartire nel palinsesto autunno-inverno, includo anche i laureati che passano la giornata a commentare e twittare fingendo di disprezzare ciò che non mancano di guardare costantemente (e non per ragioni professionali, a costoro va tutta la mia solidarietà). A questo punto e dopo aver letto l’articolo che contiene domande logiche sulla famiglia ma ne tralascia una fondamentale sullo Stato: ‘come vengono addestrate le giovani forze dell’ordine?’, mi chiedo: anche la cagata di programmi che alimenta un certo modo di pensare (e votare) è colpa dello Stato che consente di fare questa “libera” televisione?
Se non si capisce il senso, la provocazione della domanda, meglio rimanere in facebook e twitter a “commentare” di certa tv………


Morire a 16 anni per mano di un carabiniere. Ma le famiglie… dove sono?
di Sabrina Antenucci

Morire a 16 anni per una disobbedienza. Questo, in sintesi il sentimento che prevale in rete riguardo alla morte di Davide Bifolco, il ragazzo ucciso da un carabiniere la scorsa notte a Napoli.

La storia è nota a tutti: Nella notte tra giovedì e venerdì verso le 3 del mattino a Napoli, nel Rione Traiano, tre ragazzi non si fermano all’alt dei carabinieri. Sono in motorino, alla guida viene segnalato un pregiudicato evaso dai domiciliari.
Inizia un inseguimento, il motorino sbanda e i ragazzi cadono secondo i cc, viene speronato secondo i famigliari. Di fatto, i tre ragazzi cadono. Il sospetto, che era alla guida, riesce a scappare; gli altri due vengono inseguiti e fermati. Durante l’inseguimento Davide Bifolco viene colpito da un proiettile e muore poco dopo. I carabinieri sostengono sia stato un incidente, la famiglia un’esecuzione.
Non ci sono i dati, non c’è il responso dell’autopsia, non ci sono i risultati delle indagini. Fino a quel momento non potremo trarre alcuna conclusione. Ci dobbiamo limitare ad ascoltare quello che affermano le persone che c’erano, o che dicono di essere state lì.
Al momento, l’unico fatto incontrovertibile è che un ragazzino di 16 anni è morto, e la pistola che ha sparato il colpo mortale era nelle mani di un carabiniere. Incidente? Volontarietà? Ce lo diranno le indagini. L’unica considerazione che ci viene spontanea è che una pistola non spara incidentalmente se non è stata armata da una mano. Quindi, nel momento in cui ha sparato, la pistola era armata. Chi lo ha fatto ha preso in considerazione l’ipotesi che avrebbe potuto sparare. Che poi sia stato un incidente o meno, le condizioni erano tali perché succedesse.

Ci sono però altre condizioni che hanno reso possibile l’incidente, o comunque l’avvenimento.
Tre persone non si sono fermate allo stop. A quanto ci è dato sapere, uno di loro era un sospetto pregiudicato in fuga. I carabinieri hanno il dovere di fermare i sospetti e verificare se esistano violazioni della legge o meno. I cittadini hanno il dovere di rispettare la legge. A seguito dell’incidente ieri il Rione Traiano, primo tra gli altri, si è unito in un corteo per protestare contro l’accaduto; lo slogan principale è stato “Lo Stato non ci tutela, lo Stato ci uccide”. La memoria non mi aiuta nel ricordare un corteo simile in occasione degli omicidi di rappresentanti delle forze dell’ordine. Forse qualche lettore potrà aiutarmi a ricordare. Durante una discussione con dei conoscenti, ci è stato risposto “il carabiniere sa che rischia la vita quando firma per accettare quel lavoro”. Vero. E’ da qui che partiremo, infatti. Perché se è vero che un carabiniere sa che sceglie un lavoro a rischio, è altrettanto vero che a 16 anni sai che non fermarti ad un alt è un rischio. E prima ancora, sai che andare in 3 in motorino è un rischio. Ma c’è di più. Per attaccare il carabiniere, viene attaccato lo Stato. Quindi, per parlare della vittima parleremo della sua famiglia. Abbiamo visto il filmato diffuso il giorno dopo con le interviste alla mamma e al fratello. In sostanza, la mamma sosteneva che avevano ucciso il suo bambino, che aveva solo 16 anni, che era un angelo, che non poteva credere al fatto che 5 minuti prima lo aveva visto perché era tornato a casa a prendere il cappellino e la felpa per andare a fare l’ultimo giro in motorino con due amici e 5 minuti dopo non c’era più. Analizziamo i fatti: un ragazzino di 16 anni entra in casa alle 2.50 del mattino per prendere un cappellino perché insieme ad altri due amici va in giro in motorino. E il casco? In 3 sul motorino? Alle 3 del mattino? A 16 anni?   Una mamma così attenta che si chiede come mai il carabiniere non abbia notato che era un bambino, ha notato che sul profilo facebook del suo bambino ci sono foto che lo ritraggono con una canna in bocca, costantemente? La mamma si era temporaneamente distratta oppure si è bambini a seconda dei casi? Aveva visto l’ora, quando è rientrato in casa? E’ normale che un “bambino” esca alle 3 del mattino? Forse il carabiniere non si è accorto che era un bambino perché i “bambini” a quell’ora sono a casa.

A 24 ore di distanza, le prime azioni della famiglia. Assunto il legale che ha già difeso la famiglia Cucchi, spunta il guidatore del motorino (Vincenzo Ambrosino, 23 anni, incensurato) pronto a smentire la presenza del pregiudicato. Poco dopo, la famiglia diffonde le foto del cadavere di Davide per provare che la loro tesi è giusta. Ammiro il sangue freddo, non so in quanti sarebbero stati capaci di organizzare una strategia così efficiente in così poco tempo.

In redazione il Direttore e io abbiamo valutato se pubblicare quelle foto o meno per tre ore, prima di decidere di far prevalere il diritto di cronaca. Siamo concordi nel pensare che certe foto non debbano essere diffuse, per rispetto alla persona che è morta e per rispetto verso i lettori. Foto di un cadavere non danno valore aggiunto, tendono solo ad intenerire e portare l’opinione pubblica ad agire in modo impulsivo, abbandonando la razionalità. Ma forse il rispetto che avremmo voluto dimostrare a quel cadavere non è lo stesso della famiglia. Forse la nostra idea di bambino è diversa. Forse la nostra idea di angelo è diversa. Forse la nostra idea di Stato è diversa. Il carabiniere che ha ucciso Davide deve pagare la sua colpa. Se è stato un incidente, è giusto che sconti la pena per omicidio colposo; altrimenti che venga giudicato e condannato per omicidio volontario. Ma non condanniamo lo Stato, e non creiamo un martire. Il carabiniere e Davide hanno sbagliato, pesantemente, entrambi. Davide ha pagato il prezzo più alto. Purtroppo.

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