da: l’Espresso
Mentre prosegue la fatua discussione su
cosa intendesse papa Francesco quando ha detto che “è lecito fermare
l’aggressore ingiusto. Sottolineo il verbo: fermare. Non dico bombardare, fare
la guerra, ma fermarlo. I mezzi con i quali si possono fermare dovranno essere
valutati”, la diplomazia pontificia lavora sotto traccia parlando più che mai
chiaro.
Sotto traccia perché nessun organo di
informazione vaticano ha divulgato il testo integrale dell’intervento tenuto da
monsignor Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso
l’ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, alla sessione d’inizio settembre della
Commissione per i diritti umani.
Il consesso al quale Tomasi si è rivolto è
molto variegato. Comprende rappresentanti di 47 Stati, tra i quali Italia e
Stati Uniti, Argentina e Brasile, Russia e Cina, Nigeria e Sudan, Arabia
Saudita e Qatar. Ne è presidente un diplomatico del Gabon, Baudelaire Ndong
Elia. Alla sessione è intervenuto anche il vice alto commissario per i diritti
umani dell’ONU, l’italiana Flavia Pansieri. Al termine dei lavori la
Commissione ha adottato (senza votarla) una risoluzione per l’invio in Iraq di
una missione per l’accertamento dei crimini.
Ma ecco qui di seguito il testo integrale
dell’intervento di Tomasi, tradotto dall’originale inglese.
Un intervento tanto chiaro e duro nei
contenuti – per chi volesse finalmente capire qual è la linea vaticana su
questa materia incandescente – quanto inspiegabilmente tenuto in ombra.
***
“PROTEZIONE
SENZA EFFICACIA NON È PROTEZIONE”
Signor Presidente,
1. In diverse regioni del mondo ci sono
centri di violenza – l’Iraq settentrionale in particolare – che impongono alle
comunità locali e internazionali di rinnovare gli sforzi nella ricerca della
pace. Anche prima delle considerazioni di diritto internazionale umanitario e
del diritto bellico, e a prescindere delle circostanze, uno dei requisiti
indispensabili è il rispetto per la dignità inviolabile della persona umana,
che è il fondamento di tutti i diritti umani. Il tragico fallimento della
difesa di questi diritti fondamentali è evidente in quell’autoproclamata entità
distruttiva che è il cosiddetto “Stato islamico” (ISIS). Le persone sono
decapitate se resistono per la loro fede; le donne sono violate senza pietà e
vendute come schiave sul mercato; i bambini sono forzati a combattere; i
prigionieri vengono macellati contro tutte le disposizioni giuridiche.
2. La responsabilità della protezione
internazionale, in particolare quando un governo non è in grado di garantire la
sicurezza delle vittime, sicuramente si applica in questo caso, e bisogna fare
passi concreti con urgenza e decisione per fermare l’aggressore ingiusto, per
ristabilire una pace giusta e per proteggere tutti i gruppi vulnerabili della
società. Adeguate misure devono essere adottate per raggiungere questi
obiettivi.
3. Tutti gli attori regionali e
internazionali devono condannare esplicitamente il comportamento brutale,
barbaro e incivile dei gruppi criminali che combattono in Siria orientale e in
Iraq settentrionale.
4. La responsabilità della protezione deve
essere assunta in buona fede, nel quadro del diritto internazionale e del
diritto umanitario. La società civile in generale, e in particolare le comunità
religiose ed etniche, non dovrebbero diventare strumento di giochi geopolitici
regionali e internazionali. Né dovrebbero essere viste come un “oggetto
ininfluente” a causa della loro identità religiosa o perché altri attori le
considerano una “quantità trascurabile”. Protezione senza efficacia non è
protezione.
5. Le agenzie “ad hoc” delle Nazioni Unite,
in collaborazione con le autorità locali, devono fornire adeguato aiuto
umanitario, cibo, acqua, medicine e riparo a coloro che sono in fuga dalla
violenza. Questo aiuto, però, dovrebbe essere una assistenza temporanea di
emergenza. I cristiani cacciati a forza, gli yazidi e altri gruppi hanno il
diritto di tornare alle loro case, ricevere assistenza per la ricostruzione
delle loro case e dei loro luoghi di culto, e di vivere in sicurezza.
6. Il blocco del traffico di armi e del
mercato petrolifero clandestino, così come di qualsiasi sostegno politico
indiretto, del cosiddetto “Stato islamico”, contribuirà a porre fine alla
violenza.
7. Gli autori di questi crimini contro
l’umanità devono essere perseguiti con determinazione. Non deve essere loro
consentito di agire con impunità, altrimenti esiste il rischio della ripetizione
delle atrocità che sono state commesse dal cosiddetto “Stato islamico”.
Signor Presidente,
8. Come papa Francesco ha sottolineato
nella sua lettera al segretario generale Ban Ki-moon, “gli attacchi violenti…
non possono non risvegliare le coscienze di tutti gli uomini e le donne di
buona volontà ad azioni concrete di solidarietà, per proteggere quanti sono
colpiti o minacciati dalla violenza e per assicurare l’assistenza necessaria e
urgente alle tante persone sfollate, come anche il loro ritorno sicuro alle
loro città e alle loro case”. Ciò che succede oggi in Iraq è successo nel
passato e potrebbe succedere domani in altri luoghi. L’esperienza ci insegna
che una risposta insufficiente, o peggio ancora, l’inazione totale, si traduce
spesso in un ulteriore aumento della violenza. Un fallimento della protezione
di tutti i cittadini iracheni, lasciandoli diventare vittime innocenti di
questi criminali in un clima di parole vuote, equivalente a un silenzio
globale, avrà conseguenze tragiche per l’Iraq, per i paesi vicini e per il
resto del mondo. Sarà anche un duro colpo per la credibilità di quei gruppi e
individui che si sforzano di sostenere i diritti umani e il diritto umanitario.
In particolare, i leader delle diverse religioni hanno una responsabilità
particolare per chiarire che nessuna religione può giustificare questi crimini
moralmente riprovevoli e crudeli e barbari, e per ricordare a tutti che in
quanto unica famiglia umana siamo custodi dei nostri fratelli.
***
A rincarare la dose, in apertura
dell’ultimo numero de “La Civiltà Cattolica” – la rivista dei gesuiti di Roma
pubblicata con l’imprimatur riga per riga delle autorità vaticane – in un editoriale dal titolo “Fermare la
tragedia umanitaria in Iraq” è anche scritto apertis verbis che la guerra
scatenata dal Califfato islamico dell’Iraq e della Siria “è una guerra di
religione”, perché “strumentalizza il potere alla religione e non viceversa” e
“persegue obiettivi religiosi usando ‘in modo apocalittico’ gli strumenti della
politica, dell’economia e della forze armate”.
I passaggi chiave di questo editoriale
saranno oggetto del prossimo post di “Settimo cielo”.
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