da: Huffington Post
I
conti di Telecom: l'Italia va male, ma la rete rimane una gallina dalle uova
d'oro. Il nodo del debito e l'azzardo dei dividendi
di Andrea
Bassi
Dove sta andando Telecom Italia? Per quasi
un anno a monopolizzare la discussione è stata la vendita delle televisioni del
gruppo. Dopo una lunga e travagliata trattativa, La7 è stata ceduta a Urbano
Cairo. O meglio, piuttosto quasi regalata e pure con una dote. Cairo ha pagato
un milione di euro per la tv di Telecom, ma si è preso una società senza debiti
(sono rimasti in capo a Ti Media) e con un patrimonio di 138 milioni di cui 88
di cassa. Si vedrà se basteranno al nuovo editore per risanare un canale
che ha perso, in media, cento milioni l’anno. Questo, però, è un problema di
Cairo.
Il futuro di Telecom, invece, resta un
grosso punto interrogativo. La società ha chiuso l’anno con un rosso di
1,6 miliardi di euro dopo aver fatto svalutazioni per 4,4 miliardi. Ha
tolto ancora polvere da sotto il tappeto. Già un anno fa una prima pulizia
aveva mandato in rosso il bilancio per 4,8 miliardi. Nonostante tutto, però,
sia dodici mesi fa che quest’anno (seppur dimezzando il monte delle cedole
a 450 milioni), Telecom ha deciso di pagare dividendi ai suoi azionisti. I
soldi saranno prelevati dalle riserve che, tuttavia, dopo le svalutazioni si
sono ridotte a meno di 5 miliardi di euro a fronte di avviamenti per 30
miliardi. Continuare a pagare dividendi sembra un azzardo. Ma i soci di Telco
(Telefonica, Mediobanca, Intesa e Generali) che controlla la società, ha
bisogno che le cedole arrivino al piano superiore per finanziare il debito
contratto per assumere il controllo della società telefonica. Che a sua
volta
è indebitata ancora per oltre 28 miliardi.
Sarebbe necessario un aumento di capitale,
ma le banche socie non hanno voglia di mettere altri soldi in un gruppo
che fino ad oggi è stato causa soprattutto di dolori. Anche l’altro socio
industriale, Telefonica, non se la passa benissimo. Così invece di mettere
mano alla tasca hanno provato a battere la strada di un prestito ibrido, uno
strumento a metà strada tra il capitale di rischio e il debito. Un meccanismo
di finanziamento molto simile a quello utilizzato per Mps con il prestito
Fresh. Per ora, però, Telecom non è riuscita a collocare ad un prezzo
accettabile l’ibrido. Puntava a venderlo ad un tasso del 7%, dopo il road show
sui mercati gli investitori avrebbero chiesto tra l’8 e il 9%. La società ha
rimandato a tempi migliori prendendosela con l’incertezza causata dalle
elezioni italiane. In realtà ha pesato anche il giudizio delle società di
rating, che hanno minacciato di abbassare il merito di Telecom con il rischio
che le obbligazioni del gruppo diventino junk, spazzatura.
Il punto è che i margini di Telecom si
assottigliano. Il motore di crescita del gruppo ormai è sempre più
rappresentato dai paesi del Sudamerica, Brasile e Argentina, che valgono il 38%
dei ricavi (11 miliardi). Dal 2008 al 2011 l’incremento è stato di 6,5 miliardi
(122%). Ma anche qui non è tutto oro quel che luccica. In Argentina le
restrizioni valutarie non permettono a Telecom di portare gli utili fuori dal
paese. Quello che guadagna lì, rimane nella cassa di Telecom Argentina. Il
Brasile cresce, ma i margini sono risicati (solo 8 milioni). E’ un mercato
molto competitivo. Ci sono quattro operatori: Vivo (Telefonica), Claro (Carlos
Slim), Tim Brasil e Oi-Telemar. Quando il mercato sarà maturo lo scenario brasiliano
assomiglierà molto al mercato italiano.
Tim non è più la gallina dalle uova d’oro
di un tempo. In quattro anni ha perso tre miliardi di fatturato (nel 2008 i
ricavi erano di 9,6 miliardi, il 2012 si è chiuso con 6,6 miliardi) e oltre 1,3
miliardi di margine (da 4,3 miliardi a circa 3 miliardi). Difficile far
crescere il fatturato con i consumi che calano. Con l’austerity si telefona
meno e nel mobile il mercato è iper competitivo. Si passa da un gestore
all’altro con molta facilità. Mantenere i clienti non è semplice. Wind ne sta
conquistando molti con offerte tutto compreso a costi bassi. Vodafone offre
servizi di qualità elevata. Tim è nel mezzo, combatte verso l’alto e verso il
basso. Anche la regolamentazione ha tolto fiato agli operatori con il
taglio delle tariffe di terminazione, il pedaggio che un operatore paga ad un
altro quando usa la sua rete. L’anno scorso questa misura è costata un miliardo
di euro all’intero sistema. Quest’anno peserà per altri 1,2 miliardi. Nel
complesso il mercato della telefonia mobile ha perso 1,5 miliardi di euro di
ricavi nel 2012. Altrettanti ne perderà nel 2013.
Nella telefonia fissa le previsioni non
sono migliori. Secondo le stime fatte da Sirmi, Gfk e il Politecnico di Milano
ed elaborate dalla stessa Telecom, il valore di mercato scenderà da 27,8
miliardi nel 2012 a 26,2 miliardi nel 2015. Anche qui Telecom perde terreno. Ne
2008 i ricavi del fisso erano 15 miliardi. Nel 2012 12,7 miliardi. I margini,
invece, tengono. In quattro anni sono diminuiti di soli 330 milioni, da 6,4
miliardi a 6,06. Ma non tutti i “segmenti” della telefonia fissa marciano allo
stesso passo. Il retail, ossia la vendita di telefonia ai consumatori finali,
perde terreno (il fatturato è sceso di 1,6 miliardi in tre anni). Quello che resiste
è il segmento wholesale. Si tratta dei soldi che Telecom ricava affittando la
sua rete in rame ai concorrenti. Un business in monopolio i cui ricavi sono
stabili a 4,1 miliardi e che, secondo stime di mercato, comporterebbe margini
per 2,7 miliardi. La rete, insomma, se i conti fossero esatti, avrebbe una
marginalità del 65% contro poco più del 40% degli altri business. La rete in
monopolio resta la vera gallina dalle uova d’oro. I settori in concorrenza,
invece, soffrono.
La strada di vendere la rete a Cassa Depositi e prestiti per tagliare il debito di Telecom è quella giusta? Conti alla mano, probabilmente, al gruppo telefonico converrebbe fare esattamente il contrario. Vendere tutte le attività in concorrenza: Brasile, Argentina, i clienti di Telecom Italia per abbattere il debito e tenersi la rete diventando una sorta di Terna. Pulita del debito e con rendimenti certi, avrebbe più facilità a finanziare e costruire la rete a banda ultra larga.
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