da: La Stampa
La
politica che dimentica l’economia
di Mario
Deaglio
Da circa una settimana, ossia da quando
sono stati resi noti i risultati elettorali, tutte le forze politiche si
comportano come se l’economia non esistesse: l’attenzione è pressoché
totalmente indirizzata a uscire dal vicolo cieco in cui la politica stessa si è
cacciata, senza alcuna vera attenzione né per la crisi economica né per le
regole e i vincoli di un’economia che, come le altre dell’Unione Europea, non
può più dirsi totalmente sovrana, risultando vincolata da regole che non è
possibile trasgredire disinvoltamente.
Un atteggiamento del genere rischia di distruggere in poche settimane il risultato
di un anno e più di sacrifici: l’Italia
ha riacquistato credibilità ma deve prendere a prestito quasi un miliardo di
euro al giorno solo per rifinanziare
il debito in scadenza, un’operazione che già è ridiventata sensibilmente
più cara. In queste condizioni il dialogo
con l’Europa non può essere condotto burocraticamente; al tavolo devono
sedere un presidente del Consiglio e un
ministro dell’Economia pienamente legittimati, ossia in grado di impegnarsi
sulla base di un sostegno generale espresso dal Parlamento con un voto di
fiducia.
L’agenda degli argomenti che attende questo
presidente del Consiglio e questo ministro dell’Economia è fitta e urgente: il 14 marzo si riunirà a Bruxelles
il Consiglio Europeo di
primavera, primo di una serie di appuntamenti in cui sarà messa a punto la
strategia economica europea per i prossimi 6-12 mesi. E’ naturalmente troppo
presto perché l’iter politico italiano sia stato completato ma qualche
indicazione dovrà essere chiara: l’Italia proprio non può sedersi al tavolo e
far scena muta, deve partecipare a decisioni collettive e usare l’autorevolezza
conquistata per fare richieste precise. Queste richieste potrebbero essere
tre.
In primo luogo, dovrebbe essere avviato un
confronto sulla differenza tra Francia
(alla quale si consente di arrivare
al pareggio del bilancio nel 2017) e
Italia (costretta, per impegni del precedente governo, al pareggio nel 2013). Non si tratta di
guadagnare qualche rinvio ma di consentire una rapida messa a punto di
strumenti di rilancio della domanda. Un’Italia divenuta più credibile deve
ricevere un trattamento più prossimo a quello dei «cugini» francesi che
consenta misure di rilancio; e deve sottolineare che l’Europa è ormai
attanagliata dalla crisi, la stessa Germania ne è almeno sfiorata e la pazienza
politica degli europei non è eterna.
Uno dei possibili strumenti di rilancio
riguarda il debito dello Stato e degli
enti pubblici verso le imprese, nell’ordine di 80 miliardi di euro. Le norme europee lo considerano un debito «commerciale» e pertanto non è incluso nel debito pubblico.
Debito commerciale, però, non è più: successivi governi hanno ritenuto comodo non pagare i fornitori per
rendere meno brutto il quadro della finanza pubblica. Chi andrà a Bruxelles
deve richiedere che almeno una parte di
questo debito venga «finanziarizzato», il che consentirebbe a Stato ed enti
pubblici di farsi anticipare le risorse per pagarlo dal mondo bancario, per il
quale si tratterebbe di un investimento analogo a un Btp o a un Cct.
Il pagamento dei debiti (ex)-commerciali è
assolutamente prioritario per evitare il
collasso di un gran numero di fornitori dell’amministrazione pubblica:
l’immissione rapida nel circuito finanziario di almeno 40-50 miliardi sarebbe
uno stimolo sufficiente a far ripartire l’economia, anche se non basterebbe a
conservarne lo slancio e dovrebbe essere seguito da altre misure espansive. Una
parte di queste risorse tornerebbe rapidamente al settore pubblico sotto forma
di maggiori entrate fiscali e potrebbe essere nuovamente utilizzata per
sostenere interventi pubblici rallentati o sospesi negli ultimi dodici mesi.
L’elenco è lunghissimo c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Nell’attuale emergenza economica non si
può, inoltre, non rimettere sul tappeto il problema delle riserve auree
italiane, molto ingenti e contabilmente valutate a circa 40 dollari l’oncia
contro un prezzo di mercato di oltre 1500 dollari. La mera rivalutazione
contabile (per un valore di circa 150 miliardi di euro) probabilmente
indurrebbe i mercati finanziari a giudizi meno severi sull’Italia e a una
riduzione dello spread. Com’è noto, spread più basso significa deficit più
basso o più alta capacità di spesa pubblica a parità di deficit. L’oro potrebbe
poi essere dato in garanzia a un ente internazionale - il miglior candidato è
il Fondo Monetario - per ottenere non un nuovo prestito, di cui non c’è
bisogno, bensì una linea di credito per fronteggiare attacchi speculativi: una
sorta di Fondo Salva Italia, senza passare necessariamente per l’europeo Fondo
Salva Stati.
Naturalmente per ottenere qualcosa è
necessario che al tavolo di Bruxelles l’Italia non mandi degli «zombie» bensì
ministri nella pienezza dei loro poteri, appoggiati da un voto di fiducia
parlamentare. In ogni modo, la partita europea che si giocherà nei prossimi 2-3
mesi è essenziale perché l’Italia possa rimanere in serie A. Se le Camere e le
forze politiche ritenessero di dedicare tutto il loro tempo, in questo periodo
cruciale, a parlare dei loro problemi, della riduzione dei costi della
politica, di fatto la politica potrebbe uccidere l’economia. E sarebbe inutile
che dopo venisse a portare fiori sulla sua tomba.
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