da: la
Repubblica
Morto
Arthur Ochs Sulzberger
L'editore
che fece grande il NYT
L'annuncio
dato dal figlio Arthur Jr., ora alla guida della compagnia. "Punch",
86 anni, era un mito dell'età d'oro dei media americani. Con lui la
"signora in grigio" divenne il simbolo del giornalismo di qualità
nel mondo conquistando 31 Pulitzer. E continuò a guardare al futuro
NEW YORK -
L'annuncio l'ha dato il figlio, l'uomo che ne ha raccolto l'eredità nel momento
più difficile, quando i giornali si stanno reinventando grazie a Internet, e
l'ha fatto naturalmente con una email: "Cari colleghi, è con immensa
tristezza che vi informo che Arthur Ochs Sulzberger, mio padre, è morto l'altra
notte". Firmato, semplicemente: Arthur.
Sì, nella grande famiglia del New York Times, dove gli editori si succedono di
padre in figlio, come nelle antiche monarchie, la figura del vecchio Arthur O.
si stagliava ancora possente, allungandosi inevitabilmente su quel figlio che
porta lo stesso nome e lui stesso s'è avventurato in una grande trasformazione
portando il giornale di carta a guidare la rivoluzione del digitale. Anche e
soprattutto il padre Arthur, 86 anni, fu protagonista giusto mezzo secolo fa di
quell'altra, enorme rivoluzione che trasformò il giornale di New York nella
bandiera dei liberal d'America e di tutti il mondo. È stato sempre il figlio,
nella lettera ai colleghi, a ricordare le straordinarie acquisizioni di
"Punch", come Arthur il vecchio veniva chiamato. Sì, sotto Punch il
Times costruì la più grande redazione giornalistica del mondo, un sogno in
questi tempi di tagli e riduzioni: ma fu proprio grazie a
quell'immenso sforzo
editoriale che la Signora in Grigio, come a New York chiamano il loro giornale,
riuscì nella mirabile impresa di conquistare la bellezza di 31 premi Pulitzer.Certo c'è un premio, sottolineato sempre dal figlio, che per il Times fu davvero senza prezzo: la pubblicazione dei Pentagon Papers. È il 1971 e quarant'anni prima di WikiLeaks quel grande e posatissimo giornale decide di sbattere in prima pagina le carte ricevute da una gola profonda, Daniel Ellsberg, un dipendente dell'amministrazione che non a caso oggi è uno dei più grandi difensori di Julian Assange. In quei giorni, giugno 1971, l'editore si trovava a Londra, e fu sua la decisione - contro i consigli di buona parte del gruppo dirigente - di mostrare le carte che raccontavano la verità sul Vietnam che l'America cercava da anni e che l'amministrazione di Richard Nixon cercava di coprire. Non fu uno scoop: fu una rivelazione epocale, uno dei momenti straordinari di una età del giornalismo che da lì a breve avrebbe avuto un altro fremito nell'inchiesta del Watergate di Bob Woodward e Carl Bernestein che fece cadere proprio Nixon con "Tutti gli uomini del presidente".
Ma è la storia personale del vecchio Punch a essere ovviamente di per sé
affascinante: come quella di tutti i protagonisti delle grandi dinastie. Regola
vuole che prima di sedere alla scrivania di dirigente, i Sulzberger - come i
capitani d'industria di una volta si facevano le ossa, anche se per poco, in
fabbrica - conoscessero sul campo gioie e fatiche del giornalismo. E reporter
fu lui stesso, al Milwaukee Sentinel, proseguendo quella tradizione che oggi
vede suo nipote, Arthur Gregg Sulzberger, schierato tra i reporter più giovani
e aggressivi del giornale edito da papà Arthur Jr. Del resto il giornalismo
questa famiglia ce l'ha davvero nel sangue. Il vecchio Puch era figlio lui
stesso dell'editore Arthur Hays Sulzberger che aveva preso le redini del
giornale sposando Iphigene Bertha Ochs: la figlia di quell'Adolph Ochs che nel
1896 comprò il giornale di Manhattan, vi appioppò il famosissimo slogan
"All the news that's fit to print", cioè tutte le notizie che vanno
pubblicate, e si lanciò in una ferocissima guerra proprio con il rivale e amico
Joseph Pulitzer.
Altri tempi, certo. Come altri tempi sembrano ormai anche quelli del vecchio
Punch, che pure allora fu visto come un grande modernizzatore. Lo ricorda, per
esempio, Gay Talese, il padre del New Journalism che al suo New York Times
dedicò il libro-inchiesta "The Kingodm and the Power": "Fu un
editore brillante che riuscì nell'impresa di superare il padre: realizzando un
quotidiano sia giornalisticamente migliore che economicamente
profittevole". I figli che sanno superare i padri. Chissà il dolore e il
tormento di Arthur Jr., l'uomo che due anni fa - corsi e ricorsi - disse sì
all'allora direttore Bill Keller decidendo con lui di pubblicare i cable di
WikiLeaks, nel dover scrivere sul suo computer la email che annunciava ai
colleghi l'ultimo viaggio del vecchio Punch.
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