lunedì 1 ottobre 2012

Quelli che hanno fatto il giornalismo: Arthur Ochs Sulzberger


da: la Repubblica

Morto Arthur Ochs Sulzberger
L'editore che fece grande il NYT
L'annuncio dato dal figlio Arthur Jr., ora alla guida della compagnia. "Punch", 86 anni, era un mito dell'età d'oro dei media americani. Con lui la "signora in grigio" divenne il simbolo del giornalismo di qualità nel  mondo conquistando 31 Pulitzer. E continuò a guardare al futuro

NEW YORK - L'annuncio l'ha dato il figlio, l'uomo che ne ha raccolto l'eredità nel momento più difficile, quando i giornali si stanno reinventando grazie a Internet, e l'ha fatto naturalmente con una email: "Cari colleghi, è con immensa tristezza che vi informo che Arthur Ochs Sulzberger, mio padre, è morto l'altra notte". Firmato, semplicemente: Arthur. 

Sì, nella grande famiglia del New York Times, dove gli editori si succedono di padre in figlio, come nelle antiche monarchie, la figura del vecchio Arthur O. si stagliava ancora possente, allungandosi inevitabilmente su quel figlio che porta lo stesso nome e lui stesso s'è avventurato in una grande trasformazione portando il giornale di carta a guidare la rivoluzione del digitale. Anche e soprattutto il padre Arthur, 86 anni, fu protagonista giusto mezzo secolo fa di quell'altra, enorme rivoluzione che trasformò il giornale di New York nella bandiera dei liberal d'America e di tutti il mondo. È stato sempre il figlio, nella lettera ai colleghi, a ricordare le straordinarie acquisizioni di "Punch", come Arthur il vecchio veniva chiamato. Sì, sotto Punch il Times costruì la più grande redazione giornalistica del mondo, un sogno in questi tempi di tagli e riduzioni: ma fu proprio grazie a
quell'immenso sforzo editoriale che la Signora in Grigio, come a New York chiamano il loro giornale, riuscì nella mirabile impresa di conquistare la bellezza di 31 premi Pulitzer.

Certo c'è un premio, sottolineato sempre dal figlio, che per il Times fu davvero senza prezzo: la pubblicazione dei Pentagon Papers. È il 1971 e quarant'anni prima di WikiLeaks quel grande e posatissimo giornale decide di sbattere in prima pagina le carte ricevute da una gola profonda, Daniel Ellsberg, un dipendente dell'amministrazione che non a caso oggi è uno dei più grandi difensori di Julian Assange. In quei giorni, giugno 1971, l'editore si trovava a Londra, e fu sua la decisione - contro i consigli di buona parte del gruppo dirigente - di mostrare le carte che raccontavano la verità sul Vietnam che l'America cercava da anni e che l'amministrazione di Richard Nixon cercava di coprire. Non fu uno scoop: fu una rivelazione epocale, uno dei momenti straordinari di una età del giornalismo che da lì a breve avrebbe avuto un altro fremito nell'inchiesta del Watergate di Bob Woodward e Carl Bernestein che fece cadere proprio Nixon con "Tutti gli uomini del presidente".
Ma è la storia personale del vecchio Punch a essere ovviamente di per sé affascinante: come quella di tutti i protagonisti delle grandi dinastie. Regola vuole che prima di sedere alla scrivania di dirigente, i Sulzberger - come i capitani d'industria di una volta si facevano le ossa, anche se per poco, in fabbrica - conoscessero sul campo gioie e fatiche del giornalismo. E reporter fu lui stesso, al Milwaukee Sentinel, proseguendo quella tradizione che oggi vede suo nipote, Arthur Gregg Sulzberger, schierato tra i reporter più giovani e aggressivi del giornale edito da papà Arthur Jr. Del resto il giornalismo questa famiglia ce l'ha davvero nel sangue. Il vecchio Puch era figlio lui stesso dell'editore Arthur Hays Sulzberger che aveva preso le redini del giornale sposando Iphigene Bertha Ochs: la figlia di quell'Adolph Ochs che nel 1896 comprò il giornale di Manhattan, vi appioppò il famosissimo slogan "All the news that's fit to print", cioè tutte le notizie che vanno pubblicate, e si lanciò in una ferocissima guerra proprio con il rivale e amico Joseph Pulitzer. 

Altri tempi, certo. Come altri tempi sembrano ormai anche quelli del vecchio Punch, che pure allora fu visto come un grande modernizzatore. Lo ricorda, per esempio, Gay Talese, il padre del New Journalism che al suo New York Times dedicò il libro-inchiesta "The Kingodm and the Power": "Fu un editore brillante che riuscì nell'impresa di superare il padre: realizzando un quotidiano sia giornalisticamente migliore che economicamente profittevole". I figli che sanno superare i padri. Chissà il dolore e il tormento di Arthur Jr., l'uomo che due anni fa - corsi e ricorsi - disse sì all'allora direttore Bill Keller decidendo con lui di pubblicare i cable di WikiLeaks, nel dover scrivere sul suo computer la email che annunciava ai colleghi l'ultimo viaggio del vecchio Punch.

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