da: Il Sole 24 Ore
Grandi
Virzì e Friedkin, piace la fantascienza a buon mercato
di Boris
Sollazzo
Tutti i santi giorni e Killer Joe. Se avete
poco tempo e volete sapere cosa vedere questo fine settimana, con questi due
titoli andate sul sicuro. Un gradino sopra, però, mettiamo Paolo Virzì,
ispiratissimo nel film tratto da La generazione di Simone Lenzi (Dalai
Editore), ritratto d'amore tenero e allo stesso tempo verissimo. Virzì,
spogliandosi dei trucchi del regista abile che è, si scopre e ci offre una
sensibilità creativa ed emotiva davvero speciali.
Quello che abbiamo intuito in tanti film –
quasi mai non riusciti, va detto – qui esplode in una storia d'amore vissuta
nella sua quotidianità. Due ragazzi diversissimi ma che da subito intuisci come
una coppia perfetta in tutte le sue imperfezioni, dall'inquietudine di lei alla
goffaggine di lui. Eroi di un'Italia che li maltratta, che li disprezza
ferocemente soprattutto se hanno talento (lui è un latinista e fa il portiere
di notte, lei è una cantautrice e viene scritturata solo in pub infimi e
infami), attraversano le difficoltà di un sogno infranto: un figlio che non vuole
nascere. Ci provano in ogni modo, anche con la procreazione assistita, ma
niente da fare. E qualcosa forse si spezza, mentre qualcos'altro si ricompone.
La trama è semplice, forse pure banale, ma
la forza del cineasta livornese è tutta nell'intuire l'eccezionalità della
normalità – che tale non è mai – e restituircela.
E nell'essere riuscito di
nuovo, dopo Tutta una vita davanti, a raccontare una generazione invisibile,
quei trenta-quarantenni d'oggi umiliati dal proprio paese, che surfano tra i
cambiamenti di una società schizofrenica.
Il Virzì più completo e romantico che si
ricordi: soprattutto quando la ricerca di un figlio, in ospedale, diventa dolce
e coinvolgente come un amplesso, e altrettanto naturale. Semplicemente perfetti
i due protagonisti: Federica Victoria Caiozzo in arte Thony – voce
straordinaria, naturalezza interpretativa sorprendente, e molto sensuale- e
Luca Marinelli, che conferma d'essere di talento, come d'altronde aveva già
dimostrato in In memoria di me e ne L'ultimo terrestre.
Di tutt'altra natura Killer Joe di William Friedkin. Che sfiora gli 80 anni, ma ne dimostra 18, almeno dietro la macchina da presa. Forte del suo sguardo bello, sporco e cattivo sugli uomini e sulla vita, di un Matthew McConaughey che sta vivendo una buona maturità e di una storia feroce, ci delizia con un racconto familiare improbabile.
Tutto si fonda sulla volontà di un padre (Thomas Haden Church) e di un figlio (Emile Hirsch, qui finalmente di nuovo ai suoi livelli) che vogliono far fuori la madre. Chiamano il biondo, sicario istrione che in assenza di contanti – lo pagheranno con l'assicurazione sulla vita di lei – pensa bene di volere in garanzia la piccola di casa, Juno Temple. Bella e celestiale nel suo affondare nell'oscurità, rischierà di far imprigionare, per pensieri impuri, molti spettatori.
L'etica dei personaggi, insomma, è come il junk food che vediamo ossessivamente sui loro tavoli: spazzatura. Friedkin con lucidità visionaria dipinge un ritratto straordinario, violentissimo e nel finale epicamente folle.
Folle è di sicuramente anche Iron Sky, che porta i nazisti sulla luna. Timo Vuorensola è un simpatico cialtrone che mette in gioco politica moderna e fantaimmaginario pre Guerre Stellari (quello senza effetti speciali), con una comicità a tratti corrosiva. Il film è pieno di difetti ma, alla fine, non puoi fare a meno di apprezzarlo. Nonostante il finale che non gli rende giustizia.
Non rende giustizia all'originale neanche il Total Recall con Colin Farrell. La pellicola con Schwarzenegger già era mediocre, questo è noioso e ancora peggio riuscito. Costa molto di più di Iron Sky, ma è decisamente meno efficace.
Attesissimo era Paranorman di Chris Butler, perché raramente l'horror è d'animazione. Qui si ruba qualcosa a Coraline, qualcos'altro a Burton e quasi tutto all'epica del nerd sfigato. Il risultato è un'opera di genere appena decente ma faticosa, citazionista e un po' soporifera. Peccato, perché le premesse per un cult c'erano tutte. Scult è invece Taken 2- La vendetta, con Liam Neeson che viene perseguitato dai parenti di chi aveva rapito la figlia nel primo capitolo. Arrogante e saputello come sempre, prende tutte le scelte sbagliate solo per poterle risolvere sotto una gragnuola di proiettili. Il resto del tempo lo passa a dire battute così "coatte" che in confronto Bruce Willis sembra uno umile. Alla fine ha un suo perverso fascino trash, ma solo se volete ridere di lui.
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