da:
La Stampa
Fabio Fazio ha annunciato
l’istituzione di un premio intitolato a Sergio Bardotti, per il migliore testo
di
Marinella Venegoni
Non è solo per il
sipario vistosamente rattoppato della scenografia più spericolata e realistica
mai vista all’Ariston. A Sanremo battuta dai venti, e tristemente ridiventata
una città invernale dopo anni di gioiosi anticipi di primavera all’ombra del
Festival, tutto parla dei tempi che viviamo e che a lungo ricorderemo. Non
solo, appunto, il palcoscenico, che evoca tutt’altro che lustrini e paillettes
con il suo sfondo di stoffa strappata da medioevo misero e imminente, a cura di
Francesca Montinaro (la prima scenografa mai capitata qui), ma anche l’aria che
porteranno le canzoni racconta in qualche modo quali umori e manie ci
attraversino, e l’uzzolo degli spiriti comuni in preda a riflessioni ahinoi
assai amare.
Fabio Fazio ha
annunciato l’istituzione di un premio intitolato a Sergio Bardotti, per il
migliore testo. Ci sarà da lavorare, per i giurati: c’è l’imbarazzo della
scelta. Si riflette cantando, si rimugina persino jazzando, come accade al
bravissimo Raphael Gualazzi che, in «Senza ritegno», canta della mancanza di
consapevolezza etica che lacera la società: «Ti sparo nelle gambe e divento
cristiano», provoca con la sua voce roca, accompagnato dalla tromba nervosa di
Fabrizio Bosso. Roba poco sanremese, d’accordo, ma non pare essere un limite,
per lui e per altri suoi compagni di gara. Pensiamo soltanto alla mania diffusa
delle religioni e ai discorsi sul sacro, da ieri di straordinaria attualità:
trovano note saltellanti in uno scatenato ska di Max Gazzé, «Sotto casa», che,
ispirato da una visita dei Testimoni di Geova
a casa sua, riesce a dire a
Sanremo che bisogna occuparsi della convivenza e del rispetto dei sentimenti
altrui, invece che annegare nei pregiudizi, anche contro gli omosessuali.
Elio e Le Storie
Tese, assai più interessati alla provocazione, in un pezzo esilarante come
«Dannati Forever», si trasformano in danteschi portinai di destinazioni
ultraterrene, e mandano all’Inferno chiunque, dai comunisti ai moderati agli
esodati e al Governo naturalmente, anche perché fa rima; esibiscono fughe
logiche ridanciane («posso smaltire i peccati con il jogging?») e anche
riferimenti alla cronaca che non mancheranno di provocare proteste elettorali
(«dopo una cena elegante all’improvviso fornichi»). Sono, quelli degli Elii,
brani di eccellente fattura musicale e di qualità dei testi, anch’essi non
proprio di impatto immediato tra le celebri masse sanremesi. Tant’è che una
loro vittoria pare improbabile, anche se il nuovo sistema di votazione, diverso
rispetto all’anno scorso, fa pesare al 50 per cento il televoto e lo bilancia
con il 50 per cento assegnato al giudizio dei giornalisti.
L’inferno spunta
anche nella dondolante «Il futuro che sarà» dell’outsider di X-Factor Chiara,
dove i versi di Bianconi dei Baustelle tratteggiano un’ansia di futuro positivo
che non disdegna gli oroscopi: «Credo negli angeli ma frequento l’inferno...
Non conosco più la mia vera identità...». Smarrimenti collettivi nei quali
perdersi, ansie che trovano coinvolti gli Almamegretta come i più giovani Marta
Sui Tubi, cioè i due gruppi del cast: i primi tratteggiano una storia tipo
«Ragazzo della via Gluck»: «Papà lavorava i campi un bel giorno poi/Siete
venuti voi/Dalla zappa alla catena...»; i secondi cantano in «Dispari» le
difficoltà di chi non ha strumenti sufficienti per decodificare la realtà: «I
dischi che non capirai/I libri che non leggerai...». Un po’ ostica la faccenda?
Certo è più pop l’altro loro brano «Vorrei», con la frase «Chiedo scusa alla
pastorizia perché con la mia condotta ho umiliato la reputazione della pecora
nera», che già spopolando prima ancora che il Festival cominci.
Nessun commento:
Posta un commento