da: la Repubblica
Le
mani sul tesoro dello Ior
di Concita
De Gregorio
«Tutto ruota attorno alla non osservanza
del sesto e del settimo comandamento. Non commettere atti impuri. Non rubare».
Questo il nucleo della Relationem che i tre cardinali incaricati dal Papa di
indagare su Vatileaks hanno consegnato nelle mani del Pontefice il 17 dicembre
2012. L’incartamento, decine e decine di interviste, delinea una rete di
rapporti cementati da interessi economici talvolta complicati dal ricatto a
sfondo sessuale. Ieri Repubblica ha delineato i contorni delle
«influenze esterne » e dei ricatti, oggi affronta il cuore della questione: i
soldi.
“GLI evangelisti Matteo e Luca
presentano tre tentazioni di Gesù. Il loro nucleo centrale consiste sempre
nello strumentalizzare Dio per i propri interessi dando più importanza ai beni
materiali. Il tentatore è subdolo. Spinge verso un falso bene facendo credere
che le vere realtà sono il potere e ciò che soddisfa i bisogni primari. (…) Non
abbiamo paura di combattere.
Benedetto XVI, 17 febbraio 2013, Angelus
Ciò che soddisfa i bisogni primari. Il
denaro. La tentazione del potere. Settimo:
non rubare. «Nelle tentazioni è in gioco la Fede. Vogliamo seguire l’io o
Dio?», domanda Benedetto XVI dal suo balcone alla folla ammutolita di San
Pietro. Angelus, 17 Febbraio, San Teodoro di Amasea soldato e martire. Anche il
Pontefice è un soldato. «Non abbiamo paura di combattere», dice. Indicativo
presente. Stiamo combattendo adesso. Noi, Papa.
«All’Angelus di domenica mancavano solo i nomi e i cognomi. L’atto di accusa
verso la struttura di Potere che corrompe la Chiesa era nitido», dice un
cardinale che per molti anni ha lavorato nelle finanze vaticane, ormai troppo
anziano per partecipare al Conclave. Ricorda che già ad ottobre il Pontefice
aveva detto che «i peccati personali diventano strutture del peccato».
La «struttura
del peccato» di cui la Relationem consegnata
a Benedetto svela gli snodi è, naturalmente, lo Ior. L’Istituto. La banca. A sorpresa l’anziano cardinale illumina,
come in una parabola evangelica, un dettaglio. «Lei ha presente i bancomat
vaticani? Ha sentito che per due mesi sono stati fuori uso? Ecco, può sembrare
una minuzia ma tra le ragioni per cui i bancomat hanno smesso di funzionare ce
ne sono alcune che hanno determinato il Papa al suo gesto». Partiamo dai
bancomat, allora.
Il 1
gennaio 2013 i bancomat vaticani hanno smesso di funzionare. Le
transazioni, operate da Deutsche Bank, sono state bloccate dalla Banca
d’Italia. Il Vaticano, stato extracomunitario, ha un «assetto di vigilanza e
scambio informazioni inadeguato », si legge nel provvedimento. Non rispetta le
norme antiriciclaggio. La commissione incaricata
nel 2011 di fare pulizia allo Ior dopo se mesi dall’insediamento è stata esautorata. Da chi? Dal Segretario di Stato Tarcisio Bertone
che ha voluto bloccare lo scambio di informazioni e le libertà di ispezione.
Nessuno è autorizzato a guardare dentro le casse dello Ior. Salvo Bertone
stesso, si capisce, il suo plenipotenziario monsignor Balestrero, il direttore
generale Cipriani, uomo chiave di tutta la vicenda. Ed eccoci nel pieno di
Vatileaks. Eccoci alle lettere scritte dal cardinale Attilio Nicora, capo
dell’Autorità di informazione finanziari (Aif), a Bertone e per conoscenza a
Sua Santità. Le lettere trafugate dalle stanze di Benedetto XVI. «Ma non hanno
una cassaforte in Vaticano?», ha chiesto al ministro Riccardi il Patriarca di
Mosca in un recente incontro. Non sapeva, il Patriarca, che chi ha fatto uscire
le lettere stava in realtà facendo una cortesia a papa Benedetto. Lo stava
mettendo in condizione di combattere. Vediamo la guerra qual è.
Inizio
2012.
Nicora scrive a Bertone che l’idea
di restringere le norme antiriciclaggio
è una pessima idea. In quel momento lavorano con lui al risanamento
dell’istituto, a vario titolo e livello, un gruppo di banchieri e giuristi
cattolici tra cui Gotti Tedeschi, presidente, De Pasquale e Pallini ai vertici
dell’Aif. Sei mesi dopo la squadra è smantellata. Nicora non riconfermato.
Pallini rientrato nel sistema bancario italiano. De Pasquale ad altro incarico.
Al posto di Gotti Tedeschi assume l’incarico di presidenza ad interim il
tedesco Hermann Schmitz, tedesco nato in Brasile, ex ad di Deutsche Bank.
Le finanze
vaticane sono controllate dal Segretario di Stato. Il delegato ai rapporti
con lo Ior monsignor Balestrero è
suo pupillo. Suoi uomini sono il
cardinale Giuseppe Versaldi, a capo
della Prefettura affari economici (ora anche commissario dell’Idi di Roma,
sull’orlo della bancarotta) e il savonese Domenico
Calcagno, amministratore del patrimonio della sede apostolica, l’Apsa, in
eccellenti rapporti con Cipriani. Tutti liguri, Versaldi appena vercellese. Si
insedia il lussemburghese Renè Bruelhart.
L’argomento che un banchiere di un paradiso fiscale non sia adatto
all’antiriciclaggio è respinto. Ascende all’Aif l’astro del genero di
Antonio Fazio, il giovane Di Ruzza. Brilla su tutti la stella del direttore
generale dell’Istituto Paolo Cipriani, uomo di Geronzi, ex direttore della
filiale del banco di Roma di Via della Conciliazione. Anche la geografia ha il
suo perché, in questa storia. Cipriani è l’unico a conoscere cosa ci sia nel
ventre nero dello Ior.
Gotti
tedeschi dirà alla magistratura di non conoscere i
bilanci. I banchieri laici non hanno mai
avuto accesso alle carte. «Per quanto ne sappiamo — dice uno di loro — nelle
casse dello Ior potrebbero esserci anche i soldi di Bin Laden e di Riina.
Abbiamo chiesto i dati, non ce li hanno mai forniti».
Il
meccanismo è questo. Allo Ior possono aprire conti correnti,
che si chiamano “fondi”, solo religiosi, istituti religiosi e cittadini
vaticani. Sono circa 25 mila. Ciascuno di loro però può delegare ad operare sui
conti chi vuole, senza limiti nel numero di deleghe e senza che ci sia registro
dei delegati. Cioè: il parroco di Santa Severa, titolare del conto, può in
ipotesi delegare un uomo di Provenzano a muovere i capitali. Solo Cipriani lo
sa, a richiesta di riscontro non risulta: la risposta, a chi ha chiesto di
vedere l’elenco dei delegati, è sempre stata «stiamo informatizzando il
sistema». Dunque è chiaro che chiunque
può «lavare» i suoi soldi nello Ior.
Dalla politica alla criminalità, alla
finanza. Restiamo alle carte della Relationem. Parliamo dei “ladri
di polli”.
In una riunione del 13 marzo 2012, San
Rodrigo di Cordova, si vedono da Bertone
Nicora, capo dell’autorità di controllo, i suoi collaboratori laici De Pasquale e Pallini, il direttore
generale Cipriani e altri dirigenti.
Controllori e controllati insieme.
Cipriani e il suo vice massimo Tulli sono indagati per un movimento di 23
milioni operato da Credito Artigiano e
banca del Fucino su JP Morgan: soldi all’estero che non si sa da chi
partano e a chi vadano. Uno dei presenti suggerisce che «sarebbe bere
autorizzare la magistratura ad indagare su quattro casi minori, daremmo così
l’impressione di cominciare a collaborare». Bertone e Balestrero ne convengono.
I casi minori sono don Salvatore Palumbo
della parrocchia di San Gaetano, Emilio Messina dell’arcidiocesi di
Camerino, il catanese Orazio Bonaccorsi, don Evaldo Biasini detto “don
Bancomat” e indagato nell’inchiesta di Perugia sui “Grandi eventi della
Protezione civile».
Prendiamone uno, il caso di don Palumbo.
Vengono versati allo Ior da una filiale
Barclays 151 mila euro con la
causale “Obolo per restauro convento”. Versa tale Giulia Timarco, con precedenti per truffe ai danni delle assicurazioni.
L’inchiesta appura che alla Timarco i soldi arrivano da Simone Fazzari,
faccendiere in collegamento con Ernesto Diotallevi, ex uomo di fiducia di Pippo
Calò ai tempi della banda della Magliana, processato e assolto per l’omicidio
Calvi. Fazzari ottiene i 151 mila euro truffando l’Ina Assitalia: simula un
falso incidente ai danni di una Ferrari da corsa. Questi i ladri di polli,
all’ombra di Pippo Calò.
Non risulta che al momento alcuna
collaborazione alla magistratura sia mai stata fornita. L’inchiesta su Cipriani
e Tulli, coinvolto anche Gotti Tedeschi, procede stancamente. Nel frattempo la fabbrica dei veleni vaticana mette in circolo le carte relative al “buco” di Don Paglia. Balestrero, si sa, è uomo assai stimato dall’ex premier Berlusconi. Paglia invece
è un esponente della “sinistra
ecclesiastica”.
Nella Relationem si parla dei 18
milioni di debiti che il monsignore ha accumulato nella diocesi di Terni: 15 di
debiti bancari per ristrutturazione di patrimonio immobiliare, 3 di prestiti
alle parrocchie.
La struttura
di comando di Bertone fa filtrare informazioni che mettono alla stessa
stregua destra e sinistra vaticana: tutti colpevoli nessun colpevole.
Intanto, però, il sistema bancario fa terra bruciata attorno allo Ior. Le nuove norme antiriciclaggio del 2011,
quelle che l’Istituto si è ben guardato dall’assumere, impediscono di lavorare col Vaticano. È in difficoltà persino Unicredit (ex Capitalia, ex Banca di
Roma, per tornare a Geronzi) che ha sempre avuto la delega ad emettere assegni per lo Ior. In queste condizioni di
opacità diventa difficile. «Anche Bin Laden potrebbe avere i soldi all’Istituto
». Anche le mafie, anche la politica delle tangenti, anche Finmeccanica e Mps.
Una grande lavatrice, il ventre oscuro degli interessi temporali.
I
soldi, il Potere. La «tentazione da combattere», diceva il
Papa all’Angelus. Senza fare nomi e cognomi, ma quasi. Un Papa anziano. Che non ha le forze per fronteggiare da solo una
struttura di potere interna ed esterna al Vaticano. Che ha solo uno strumento per combattere la battaglia
in nome di Dio, contro l’io. Quella
descritta nel’Angelus. Ha solo, come munizione
in questa guerra, se stesso.
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