venerdì 22 febbraio 2013

Concita De Gregorio: " Le mani sul tesoro dello Ior" (2.a parte)




da: la Repubblica

Le mani sul tesoro dello Ior
di Concita De Gregorio



«Tutto ruota attorno alla non osservanza del sesto e del settimo comandamento. Non commettere atti impuri. Non rubare». Questo il nucleo della Relationem che i tre cardinali incaricati dal Papa di indagare su Vatileaks hanno consegnato nelle mani del Pontefice il 17 dicembre 2012. L’incartamento, decine e decine di interviste, delinea una rete di rapporti cementati da interessi economici talvolta complicati dal ricatto a sfondo sessuale. Ieri Repubblica ha delineato i contorni delle «influenze esterne » e dei ricatti, oggi affronta il cuore della questione: i soldi.

“GLI evangelisti Matteo e Luca presentano tre tentazioni di Gesù. Il loro nucleo centrale consiste sempre nello strumentalizzare Dio per i propri interessi dando più importanza ai beni materiali. Il tentatore è subdolo. Spinge verso un falso bene facendo credere che le vere realtà sono il potere e ciò che soddisfa i bisogni primari. (…) Non abbiamo paura di combattere.
  Benedetto XVI, 17 febbraio 2013, Angelus 

Ciò che soddisfa i bisogni primari. Il denaro. La tentazione del potere.  Settimo: non rubare. «Nelle tentazioni è in gioco la Fede. Vogliamo seguire l’io o Dio?», domanda Benedetto XVI dal suo balcone alla folla ammutolita di San Pietro. Angelus, 17 Febbraio, San Teodoro di Amasea soldato e martire. Anche il Pontefice è un soldato. «Non abbiamo paura di combattere», dice. Indicativo presente. Stiamo combattendo adesso. Noi, Papa.

«All’Angelus di domenica mancavano solo i nomi e i cognomi. L’atto di accusa verso la struttura di Potere che corrompe la Chiesa era nitido», dice un cardinale che per molti anni ha lavorato nelle finanze vaticane, ormai troppo anziano per partecipare al Conclave. Ricorda che già ad ottobre il Pontefice aveva detto che «i peccati personali diventano strutture del peccato».
La «struttura del peccato» di cui la Relationem consegnata a Benedetto svela gli snodi è, naturalmente, lo Ior. L’Istituto. La banca. A sorpresa l’anziano cardinale illumina, come in una parabola evangelica, un dettaglio. «Lei ha presente i bancomat vaticani? Ha sentito che per due mesi sono stati fuori uso? Ecco, può sembrare una minuzia ma tra le ragioni per cui i bancomat hanno smesso di funzionare ce ne sono alcune che hanno determinato il Papa al suo gesto». Partiamo dai bancomat, allora.
Il 1 gennaio 2013 i bancomat vaticani hanno smesso di funzionare. Le transazioni, operate da Deutsche Bank, sono state bloccate dalla Banca d’Italia. Il Vaticano, stato extracomunitario, ha un «assetto di vigilanza e scambio informazioni inadeguato », si legge nel provvedimento. Non rispetta le norme antiriciclaggio. La commissione incaricata nel 2011 di fare pulizia allo Ior dopo se mesi dall’insediamento è stata esautorata. Da chi? Dal Segretario di Stato Tarcisio Bertone che ha voluto bloccare lo scambio di informazioni e le libertà di ispezione. Nessuno è autorizzato a guardare dentro le casse dello Ior. Salvo Bertone stesso, si capisce, il suo plenipotenziario monsignor Balestrero, il direttore generale Cipriani, uomo chiave di tutta la vicenda. Ed eccoci nel pieno di Vatileaks. Eccoci alle lettere scritte dal cardinale Attilio Nicora, capo dell’Autorità di informazione finanziari (Aif), a Bertone e per conoscenza a Sua Santità. Le lettere trafugate dalle stanze di Benedetto XVI. «Ma non hanno una cassaforte in Vaticano?», ha chiesto al ministro Riccardi il Patriarca di Mosca in un recente incontro. Non sapeva, il Patriarca, che chi ha fatto uscire le lettere stava in realtà facendo una cortesia a papa Benedetto. Lo stava mettendo in condizione di combattere. Vediamo la guerra qual è.

Inizio 2012. Nicora scrive a Bertone che l’idea di restringere le norme antiriciclaggio è una pessima idea. In quel momento lavorano con lui al risanamento dell’istituto, a vario titolo e livello, un gruppo di banchieri e giuristi cattolici tra cui Gotti Tedeschi, presidente, De Pasquale e Pallini ai vertici dell’Aif. Sei mesi dopo la squadra è smantellata. Nicora non riconfermato. Pallini rientrato nel sistema bancario italiano. De Pasquale ad altro incarico. Al posto di Gotti Tedeschi assume l’incarico di presidenza ad interim il tedesco Hermann Schmitz, tedesco nato in Brasile, ex ad di Deutsche Bank.
Le finanze vaticane sono controllate dal Segretario di Stato. Il delegato ai rapporti con lo Ior monsignor Balestrero è suo pupillo. Suoi uomini sono il cardinale Giuseppe Versaldi, a capo della Prefettura affari economici (ora anche commissario dell’Idi di Roma, sull’orlo della bancarotta) e il savonese Domenico Calcagno, amministratore del patrimonio della sede apostolica, l’Apsa, in eccellenti rapporti con Cipriani. Tutti liguri, Versaldi appena vercellese. Si insedia il lussemburghese Renè Bruelhart. L’argomento che un banchiere di un paradiso fiscale non sia adatto all’antiriciclaggio è respinto. Ascende all’Aif l’astro del genero di Antonio Fazio, il giovane Di Ruzza. Brilla su tutti la stella del direttore generale dell’Istituto Paolo Cipriani, uomo di Geronzi, ex direttore della filiale del banco di Roma di Via della Conciliazione. Anche la geografia ha il suo perché, in questa storia. Cipriani è l’unico a conoscere cosa ci sia nel ventre nero dello Ior.
Gotti tedeschi dirà alla magistratura di non conoscere i bilanci. I banchieri laici non hanno mai avuto accesso alle carte. «Per quanto ne sappiamo — dice uno di loro — nelle casse dello Ior potrebbero esserci anche i soldi di Bin Laden e di Riina. Abbiamo chiesto i dati, non ce li hanno mai forniti».

Il meccanismo è questo. Allo Ior possono aprire conti correnti, che si chiamano “fondi”, solo religiosi, istituti religiosi e cittadini vaticani. Sono circa 25 mila. Ciascuno di loro però può delegare ad operare sui conti chi vuole, senza limiti nel numero di deleghe e senza che ci sia registro dei delegati. Cioè: il parroco di Santa Severa, titolare del conto, può in ipotesi delegare un uomo di Provenzano a muovere i capitali. Solo Cipriani lo sa, a richiesta di riscontro non risulta: la risposta, a chi ha chiesto di vedere l’elenco dei delegati, è sempre stata «stiamo informatizzando il sistema». Dunque è chiaro che chiunque può «lavare» i suoi soldi nello Ior.

Dalla politica alla criminalità, alla finanza. Restiamo alle carte della Relationem. Parliamo dei “ladri di polli”.

In una riunione del 13 marzo 2012, San Rodrigo di Cordova, si vedono da Bertone Nicora, capo dell’autorità di controllo, i suoi collaboratori laici De Pasquale e Pallini, il direttore generale Cipriani e altri dirigenti. Controllori e controllati insieme. Cipriani e il suo vice massimo Tulli sono indagati per un movimento di 23 milioni operato da Credito Artigiano e banca del Fucino su JP Morgan: soldi all’estero che non si sa da chi partano e a chi vadano. Uno dei presenti suggerisce che «sarebbe bere autorizzare la magistratura ad indagare su quattro casi minori, daremmo così l’impressione di cominciare a collaborare». Bertone e Balestrero ne convengono. I casi minori sono don Salvatore Palumbo della parrocchia di San Gaetano, Emilio Messina dell’arcidiocesi di Camerino, il catanese Orazio Bonaccorsi, don Evaldo Biasini detto “don Bancomat” e indagato nell’inchiesta di Perugia sui “Grandi eventi della Protezione civile».
Prendiamone uno, il caso di don Palumbo. Vengono versati allo Ior da una filiale Barclays 151 mila euro con la causale “Obolo per restauro convento”. Versa tale Giulia Timarco, con precedenti per truffe ai danni delle assicurazioni. L’inchiesta appura che alla Timarco i soldi arrivano da Simone Fazzari, faccendiere in collegamento con Ernesto Diotallevi, ex uomo di fiducia di Pippo Calò ai tempi della banda della Magliana, processato e assolto per l’omicidio Calvi. Fazzari ottiene i 151 mila euro truffando l’Ina Assitalia: simula un falso incidente ai danni di una Ferrari da corsa. Questi i ladri di polli, all’ombra di Pippo Calò.
Non risulta che al momento alcuna collaborazione alla magistratura sia mai stata fornita. L’inchiesta su Cipriani e Tulli, coinvolto anche Gotti Tedeschi, procede stancamente. Nel frattempo la fabbrica dei veleni vaticana mette in circolo le carte relative al “buco” di Don Paglia. Balestrero, si sa, è uomo assai stimato dall’ex premier Berlusconi. Paglia invece è un esponente della “sinistra ecclesiastica”.
Nella Relationem si parla dei 18 milioni di debiti che il monsignore ha accumulato nella diocesi di Terni: 15 di debiti bancari per ristrutturazione di patrimonio immobiliare, 3 di prestiti alle parrocchie.
La struttura di comando di Bertone fa filtrare informazioni che mettono alla stessa stregua destra e sinistra vaticana: tutti colpevoli nessun colpevole. Intanto, però, il sistema bancario fa terra bruciata attorno allo Ior. Le nuove norme antiriciclaggio del 2011, quelle che l’Istituto si è ben guardato dall’assumere, impediscono di lavorare col Vaticano. È in difficoltà persino Unicredit (ex Capitalia, ex Banca di Roma, per tornare a Geronzi) che ha sempre avuto la delega ad emettere assegni per lo Ior. In queste condizioni di opacità diventa difficile. «Anche Bin Laden potrebbe avere i soldi all’Istituto ». Anche le mafie, anche la politica delle tangenti, anche Finmeccanica e Mps. Una grande lavatrice, il ventre oscuro degli interessi temporali.

I soldi, il Potere. La «tentazione da combattere», diceva il Papa all’Angelus. Senza fare nomi e cognomi, ma quasi. Un Papa anziano. Che non ha le forze per fronteggiare da solo una struttura di potere interna ed esterna al Vaticano. Che ha solo uno strumento per combattere la battaglia in nome di Dio, contro l’io. Quella descritta nel’Angelus. Ha solo, come munizione in questa guerra, se stesso.

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