da: Huffington Post
Sanremo,
operazione riuscita
di Gregorio Paolini
A Sanremo concluso
possiamo serenamente affermare che Fabio Fazio e Giancarlo Leone, anzi
@fabfazio e @giankaleone, i loro avatar su twitter, hanno capito tutto. La loro
è stata un'operazione politico-editoriale pensata, costruita, abilmente gestita
(solo qualche sbavatura, ma "quando si taglia l'albero qualche scheggia
arriva") che lascerà un segno nella Rai del dopo-elezioni.
Cominciamo dagli
ascolti. Sono stati certamente favoriti dal fatto che Raidue fosse spenta (i partiti
che impongono le tribune elettorali in prima serata sono patetici come quelle
ex fidanzate che pensano ancora di poter imporre qualcosa al loro ex, e i
risultati d'ascolto sono stati da prefisso telefonico, solo amici e parenti).
Ma se Raidue fosse stata accesa non avrebbe portato via più di due punti al
risultato di audience del festival. Il dato davvero importante è che il Sanremo
di Fabfazio e Giankaleone ha raccolto più attenzione sul pubblico giovane,
centrale e delle grandi città. La Sipra dovrebbe far loro un monumento, perché
nella crisi spaventosa degli investimenti pubblicitari la profilazione
dell'ascolto è il vero valore aggiunto.
In scarsità di
risorse (i soldi per fare il festival erano davvero pochi) i mattoncini usati
da Fazio e dai suoi autori per costruire il festival 2013 sono stati quelli che
provenivano dal loro mondo, il fazismo-lasettismo. Sostanzialmente il mondo di
Raitre, quel mondo che va da madre Teresa a Bollani. Raitre portata su Raiuno.
Un'operazione che ha funzionato perché corrisponde a smottamenti reali
nel
pubblico. Non tanto o soltanto elettorali ma culturali e valoriali. Il
middlebrow di Fazio (il coro dell'opera mixato con il recupero "da
sinistra" di Al Bano, Cutugno ecc. ecc.) può far sorridere i commentatori
più snob ma, alla fine della fiera, è un'operazione culturale, di quelle che
tanti anni fa si sarebbero definite "egemoniche".
Il linguaggio visivo
del Festival è la dimostrazione plastica di quell'operazione. Duccio Forzano è
un regista molto attento alle tendenze internazionali, uno che si intriga anche
di tecnica, di linguaggi, di illuminazione, di grafica, di qualità
dell'emissione. L'immagine del festival potrà essere anche middlebrow ma
probabilmente grazie a quel set milioni di persone hanno scoperto chi erano
Burri o Lucio Fontana, e grazie a quell'immagine qualche produttore televisivo
in meno reciterà la celebre giaculatoria "ci vuole più luce, è tutto
troppo scuro" tipica dell'ignoranza nostrana verso le tendenze
internazionali del broadcasting tv.
Ovviamente questa
operazione è una formula chimica molto instabile: basta che uno dei componenti
sia inserito in dosi sbagliate o non abbia la composizione prevista che tutto
precipita. E' accaduto con l'incipit di Crozza nella prima serata (ma non
poteva prendere un microfono e scendere dal palco?) e con l'antico monologo da
circolo Arci di Bisio nella serata finale (eppure Bisio è un grande
improvvisatore, ma la prima volta è come entrare a dire messa grande in Duomo,
evidentemente). Comunque, nella somma generale delle serate questi momenti di
impazzimento della formula sono comodamente rientrati, anche grazie alla
rabdomantica capacità di tenere il palco dimostrata da Luciana Littizzetto.
Se questa è una
possibile prefigurazione della Rai del futuro, fossi in quelli del Giornale e
di Libero non mi scalderei troppo. A crisi finita (e prima o poi, almeno un po'
la situazione migliorerà) una Rai middlebrow, intelligente e un po' educativa
consegnerà praterie intere di telespettatori a chi saprà fornire un'alternativa
politicamente ed eroticamente scorretta.
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