lunedì 18 febbraio 2013

Festival di Sanremo: "Un'operazione riuscita"



da: Huffington Post

Sanremo, operazione riuscita
di Gregorio Paolini

A Sanremo concluso possiamo serenamente affermare che Fabio Fazio e Giancarlo Leone, anzi @fabfazio e @giankaleone, i loro avatar su twitter, hanno capito tutto. La loro è stata un'operazione politico-editoriale pensata, costruita, abilmente gestita (solo qualche sbavatura, ma "quando si taglia l'albero qualche scheggia arriva") che lascerà un segno nella Rai del dopo-elezioni.
Cominciamo dagli ascolti. Sono stati certamente favoriti dal fatto che Raidue fosse spenta (i partiti che impongono le tribune elettorali in prima serata sono patetici come quelle ex fidanzate che pensano ancora di poter imporre qualcosa al loro ex, e i risultati d'ascolto sono stati da prefisso telefonico, solo amici e parenti). Ma se Raidue fosse stata accesa non avrebbe portato via più di due punti al risultato di audience del festival. Il dato davvero importante è che il Sanremo di Fabfazio e Giankaleone ha raccolto più attenzione sul pubblico giovane, centrale e delle grandi città. La Sipra dovrebbe far loro un monumento, perché nella crisi spaventosa degli investimenti pubblicitari la profilazione dell'ascolto è il vero valore aggiunto.
In scarsità di risorse (i soldi per fare il festival erano davvero pochi) i mattoncini usati da Fazio e dai suoi autori per costruire il festival 2013 sono stati quelli che provenivano dal loro mondo, il fazismo-lasettismo. Sostanzialmente il mondo di Raitre, quel mondo che va da madre Teresa a Bollani. Raitre portata su Raiuno. Un'operazione che ha funzionato perché corrisponde a smottamenti reali
nel pubblico. Non tanto o soltanto elettorali ma culturali e valoriali. Il middlebrow di Fazio (il coro dell'opera mixato con il recupero "da sinistra" di Al Bano, Cutugno ecc. ecc.) può far sorridere i commentatori più snob ma, alla fine della fiera, è un'operazione culturale, di quelle che tanti anni fa si sarebbero definite "egemoniche".
Il linguaggio visivo del Festival è la dimostrazione plastica di quell'operazione. Duccio Forzano è un regista molto attento alle tendenze internazionali, uno che si intriga anche di tecnica, di linguaggi, di illuminazione, di grafica, di qualità dell'emissione. L'immagine del festival potrà essere anche middlebrow ma probabilmente grazie a quel set milioni di persone hanno scoperto chi erano Burri o Lucio Fontana, e grazie a quell'immagine qualche produttore televisivo in meno reciterà la celebre giaculatoria "ci vuole più luce, è tutto troppo scuro" tipica dell'ignoranza nostrana verso le tendenze internazionali del broadcasting tv.
Ovviamente questa operazione è una formula chimica molto instabile: basta che uno dei componenti sia inserito in dosi sbagliate o non abbia la composizione prevista che tutto precipita. E' accaduto con l'incipit di Crozza nella prima serata (ma non poteva prendere un microfono e scendere dal palco?) e con l'antico monologo da circolo Arci di Bisio nella serata finale (eppure Bisio è un grande improvvisatore, ma la prima volta è come entrare a dire messa grande in Duomo, evidentemente). Comunque, nella somma generale delle serate questi momenti di impazzimento della formula sono comodamente rientrati, anche grazie alla rabdomantica capacità di tenere il palco dimostrata da Luciana Littizzetto.
Se questa è una possibile prefigurazione della Rai del futuro, fossi in quelli del Giornale e di Libero non mi scalderei troppo. A crisi finita (e prima o poi, almeno un po' la situazione migliorerà) una Rai middlebrow, intelligente e un po' educativa consegnerà praterie intere di telespettatori a chi saprà fornire un'alternativa politicamente ed eroticamente scorretta.

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