da: la Repubblica
La televisione
senza regole
di Giovanni
Valentini
Alla vigilia di un’elezione politica, la
vendita di qualsiasi giornale – anche regionale o di provincia – susciterebbe
sospetti e polemiche.
Figuriamoci quella di una rete tv come La 7
che aspira a rappresentare un “terzo polo” fra due colossi come la Rai e
Mediaset. E oggettivamente non c’è dubbio che di una procedura accelerata si
tratti, nella logica frettolosa del fatto compiuto che ha distorto nel corso
degli anni il mercato televisivo italiano.
Basterebbe già questa coincidenza temporale
per avanzare legittime riserve sulla decisione con cui il Cda di Telecom ha
dato il via libera a una “trattativa in esclusiva” con l’editore Urbano Cairo. Quasi
che si volesse precostituire uno stato di fatto irreversibile, in vista di una
prospettiva o di una svolta politica sfavorevole.
Concludere l’affare, insomma, prima che
possa arrivare qualcuno a cambiare le regole.
Eppure, è proprio questo ciò che occorre in
primo luogo. Cambiare le regole di un sistema squilibrato, ancora dominato in
gran parte del duopolio Raiset, per adottare finalmente una riforma anti-trust:
contro la concentrazione televisiva e pubblicitaria che ha danneggiato il
pluralismo dell’informazione e la libera concorrenza. E dunque, aprire a nuovi
soggetti, nuovi mezzi, nuove iniziative e nuove idee.
Altro è la necessità di regolamentare il
conflitto di interessi: cioè la commistione tra affari privati e incarichi
pubblici, fra il business e il mandato parlamentare o
di governo. Non solo nel
campo televisivo. Ma tanto più necessaria in un settore nevralgico della vita
democratica, dove diventa assolutamente intollerabile la sovrapposizione tra il
ruolo politico e lo “status” di concessionario pubblico, titolare di un
contratto d’affitto con lo Stato e quindi in pratica controparte di se stesso.
Sono concetti che andiamo ripetendo da
anni. Un conto è la concentrazione televisiva e un conto è il conflitto di
interessi. Per una malvagità della storia, nel nostro disgraziato Paese le due
questioni s’incarnano nell’inquietante figura di Silvio Berlusconi. Ma restano
diverse e distinte, anche se molti non vogliono o fingono di non capirlo,
confondendo i due obiettivi per trincerarsi nel baluardo del conflitto di
interessi.
Ora è indubbio che Cairo – per quanto dica
di aver rotto con il Cavaliere nel ’95, come s’è affrettato a precisare lui
stesso – proviene da quella medesima “scuola di pensiero”. È stato il suo
assistente, s’è formato a Publitalia. E ha applicato il “modello berlusconiano”
perfino nel calcio, rilevando il vecchio e glorioso Torino. Un “follower”,
insomma, come si direbbe nel gergo degli internauti.
È pur vero che nel frattempo è cresciuto.
S’è messo in proprio, è diventato anche editore e possiede una batteria di
periodici che macinano pagine patinate e pubblicità. Per cui bisogna metterlo e
aspettarlo alla prova dei fatti, verificando sul campo se La 7 manterrà
l’identità di tv indipendente che è riuscita a costruirsi oppure se si
trasformerà nella quarta rete Mediaset. Un’emittente collaterale,
fiancheggiatrice, vassalla.
Per il momento, a voler vedere il bicchiere
mezzo pieno, possiamo anche dire: mezzo pericolo scampato.
Sarebbe stato molto più grave, infatti, se
Telecom avesse accettato la “proposta indecente” presentata dal Fondo Clessidra
che fa capo a un altro berlusconiano doc come Claudio Sposito, ex
amministratore di Fininvest.
Non tanto per una questione di persone, per
carità. Quanto per il fatto che l’azienda guidata da Franco Bernabè avrebbe
svenduto, insieme alla televisione, anche i tre “multiplex” che comprendono le
frequenze televisive ottenute in concessione dallo Stato per vent’anni. Quelle,
ricordiamolo en passant, sono un bene pubblico che appartiene a tutti i
cittadini. Ma in forza della distinzione fra operatori di rete e fornitori di
contenuti a La 7 basterà affittare da Telecom un solo “mux” per trasmettere
tutto quello che vuole.
Adesso è necessario, come ha detto ieri
Pierluigi Bersani, disciplinare le posizioni dominanti, dirette o indirette. E
perciò il leader del centrosinistra s’è attirato da Berlusconi l’accusa di
lanciare “minacce mafiose”, quasi che le regole – a cominciare proprio
dall’anti-trust – non rientrassero nella logica del capitalismo di mercato e
della democrazia economica. Soltanto così, invece, si può favorire la
formazione di un “terzo polo” televisivo, rafforzando nel contempo l’intero
sistema dell’informazione a vantaggio di tutti i media, vecchi e nuovi.
La televisione è stata, insieme alla giustizia, la vera posta in palio nell’infausto ventennio berlusconiano. E ancor più, lo è stata la ricca torta della pubblicità televisiva. Ecco la “mission” del partito- azienda, il suo codice genetico. Fra pochi giorni, avremo l’opportunità di chiudere con il voto quella lunga stagione di abusi e di malversazioni.
La televisione è stata, insieme alla giustizia, la vera posta in palio nell’infausto ventennio berlusconiano. E ancor più, lo è stata la ricca torta della pubblicità televisiva. Ecco la “mission” del partito- azienda, il suo codice genetico. Fra pochi giorni, avremo l’opportunità di chiudere con il voto quella lunga stagione di abusi e di malversazioni.
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