da: La Stampa
Mengoni
difende la vittoria, talent non è vergogna
Il
vincitore: “In questi anni sono cresciuto” La Rai gongola: il festival ripagato
dagli spot
di Gabriele Ferraris
Dedico la vittoria a
tutte le persone che mi hanno sostenuto e continuano a farlo, la dedico alla
mia crew di lavoro, che è si è fatta un mazzo tanto per arrivare qui e creare
un nuovo progetto, la dedico a Luigi Tenco e ringrazio la famiglia per aver
mandato degli auguri sentiti». Sono le prime parole di Marco Mengoni dopo aver
vinto il 63° Festival. Aggiunge: «Sono contento, mi sembra di essere un pò cresciuto grazie alle collaborazioni
avute in questi anni».
Non ha molto da
dire, questo ragazzo di 24 anni, da Ronciglione (Viterbo), ennesimo prodotto di
un talent show che si afferma a Sanremo. Però sa bene come considerano quelli
come lui i critici severi e militanti, e attacca preventivamente: «C’è chi pensa che chi viene da un talent non ha basi, non ha un passato.
Ma io ce l’ho e me lo tengo ben stretto, poi chi pensa male continui a farlo, o
si ricreda, non so, non importa». Frasi brevi, smozzicate. Forse il suo colpo
vincente è stato scegliere, per la serata di Sanremo Story, la canzone di
Tenco, Ciao amore ciao. Ha commosso il pubblico. «Io la vicenda la
conoscevo più o meno bene, ho visto un filmato e mi sono messo a piangere, e ho
voluto farla, quella canzone, su questo palco». E spiega che «il testo
rappresenta molto, per me, parla di un ragazzo che vuole evadere da una realtà
che gli sta stretta, va via, lascia gli affetti, e si ritrova in un città un
po’ sola, l’ho vista come globalizzazione…». Un po’ confuso, magari,
ma il
concetto è la nostalgia delle radici, immagino, dato che Mengoni tiene a
precisare: «Io le trovo spesso, le mie radici, quando torno da dove vengo».
Lapalissiano, ma ha funzionato. La sua vittoria non è mai stata in
discussione.
Il resto sono
calcoli un po’ maniacali su quanto abbia pesato la giuria di qualità, e quanto il voto
popolare. Di sicuro il secondo posto di Elio e Le Storie Tese è frutto di una scelta forte dei giurati di
qualità, tra i quali, ci dicono, s’è spesa molto per la causa Serena Dandini,
che degli Elii è antica sodale. Giusto per curiosità, la classifica del
televoto vedeva, nell’ordine, Mengoni, Modà, Annalisa, Chiara, seguiti da
Gualazzi e soltanto sesto Elio, mentre quella di qualità è sempre stata
dominata da Elio, seguito da Malika Ayane, Gualazzi, Silvestri, Gazzè e
finalmente, ma solo sesto Mengoni, con i Modà settimi. La media delle due
graduatorie ha fatto risalire Elio fino al secondo posto, sorpassando i Modà.
Di più non si poteva pretendere, e in fondo chi se ne frega. A parte gli Elii,
s’intende, che tutto sommato un pensierino alla vittoria l’avevano fatto, pur
ostentando la massima indifferenza. Possono consolarsi con il profluvio di
premi della critica («però preferiremmo un premio del complimento, siamo stufi
di critiche…») e con la certezza di aver dominato la scena con le loro
deliranti invenzioni sceniche.
Ma l’importante è
che il Festival di Fazio e Littizzetto
sia stato un successo epocale per Raiuno e per il suo direttore. Giancarlo
Leone, forte di questo risultato, potrà procedere al tanto auspicato
svecchiamento della rete. Con la benedizione del direttore generale Gubitosi,
che giubila perché il Festival, costato
neppure 18 milioni (11 scarsi di costi vivi, più i 7 che vanno al Comune di
Sanremo in base alla convenzione con la Rai) è stato un buon affare: completamente pagato dagli spot
pubblicitari. Non era mai accaduto.
Così come non accadeva dal 2000 (primo Sanremo di Fazio) di avere una media di spettatori, nelle cinque
serate, di quasi 12 milioni. Anche la
finale ha inanellato ascolti
monstre: quasi 13 milioni di spettatori
e il 53,80 di share, con punte del 73 per cento al momento della proclamazione
del vincitore.
E Leone tiene a
precisare che ciò che conta è avere vinto una scommessa tutt’altro che facile:
«Più che il vincitore - dice - è importante il contesto musicale del Festival.
La televisione italiana ha bisogno di scosse che alzino il livello qualitativo:
il fatto che 11 milioni di spettatori abbiano ascoltato Wagner e Verdi con la
direzione di Daniel Harding, e 13 milioni abbiano ammirato la grande danza di
Foster, o ancora il 60 per cento del pubblico abbia seguito il bellissimo
monologo di Bisio, sono risultati importantissimi».
Tutto è cambiato, al
Festival. Giancarlo Leone, dandolo in mano a Fazio e Littizzetto, e
sostenendoli nei momenti difficili, non ha vinto soltanto una scommessa. Ha
cancellato, con un colpo di spugna, l’era Mazza. Leone non nomina mai il suo
predecessore. Ma si vede lontano un miglio che quel recente passato non lo
rimpiange. Nemmeno un po’.
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