giovedì 28 febbraio 2013

Musica: Carlo Verdone incontra Joe Bonamassa


da: la Repubblica

Verdone: io e la star Joe Bonamassa.
Con lui rinasce la chitarra dei grandi
Il regista, noto esperto e fan del rock, incontra il bluesman italo-americano, ex enfant prodige, che stasera si esibisce all'Alcatraz di Milano e sabato a Padova 
di Carlo Verdone



Il firmamento del blues e del rock ha una nuova stella: un ragazzo che iniziò a suonare la chitarra classica da bambino per poi innamorarsi del grande blues di B. B. King che lo volle in un suo tour a soli 12 anni. Uno straordinario chitarrista dal cognome italiano: Joe Bonamassa. Tutti sanno della mia passione per la musica, per i grandi chitarristi (Hendrix, Page, Beck e Clapton su tutti), e così non potevo resistere alla tentazione d'incontrare un ragazzo che ha fatto riscoprire la chitarra ai tanti giovani (ma anche ai tanti nostalgici dei tempi d'oro del blues-rock come me) che accorrono ai suoi concerti con l'entusiasmo dei vecchi tempi.

La grandezza e l'eleganza di Bonamassa non è solo nel suo immenso talento nel toccare le corde ora con dolcezza, ora con rapidità impressionante, ora con foga aggressiva e trascinante, e in una voce che migliora di album in album. S
ta nell'essere rimasto un fan dei grandi vecchi che lo hanno preceduto e dai quali ha attinto quei frammenti di energia e creatività che lo hanno portato a identificare un suo stile molto personale. E non è un caso che Eric Clapton alla Royal Albert Hall abbia voluto duettare con lui nella famosa Further on up the road.

Venti album a soli 36 anni testimoniano la sua esplosiva creatività. Ma è sufficiente ascoltare The ballad of John Henry, Driving towards the daylight e lo splendido Don't explain insieme alla superba cantante blues Beth Hart per capire che Joe ci ha fatto innamorare di nuovo della chitarra elettrica. Come ai vecchi tempi. I concerti di stasera all'Alcatraz di Milano e sabato a Padova saranno per molti l'occasione di salutare un 'nuovo' grande del blues-rock del quale si sentiva il bisogno. E il divertimento è assicurato. Parola di Carlo Verdone.

Visitando blog specializzati e leggendo molte recensioni sui tuoi numerosi album, appare ormai chiaro che sei entrato prepotentemente nell'Olimpo dei chitarristi viventi di blues e rock. Che effetto fa trovarsi accanto a Jeff Beck e Eric Clapton? Te lo saresti mai aspettato?
"Aspettarmelo... no, sul serio. Non credo neanche di essere ancora collocabile a quel livello, nell'Olimpo dico. Mi piace l'idea di poter essere sulla giusta via, ma probabilmente sono ancora alla ricerca del mio pubblico, o meglio che il pubblico di un certo respiro voglia trovare me. Sono stato fortunato, ci sono tanti bravissimi chitarristi lì fuori, ma il punto rimane quello di toccare più gente possibile con la tua arte... Il salto di qualità è proprio lì, quella diventa la strada giusta da seguire, quando sai che stai arrivando alla gente e a quello che sarà il tuo pubblico di domani".

Credo che alla base del tuo successo ci sia non solo una straordinaria passione per la chitarra ma anche un fortissimo rispetto per i "grandi del passato" ai quali spesso dedichi fantastiche cover che riesci a personalizzare con il tuo stile. Quanto è importante restare fan nonostante il successo?
"Credimi, sono e sarò sempre un fan, non mi vedo dall'altra parte. Ti dicevo, ho la fortuna di essere a un certo livello e posso anche dividere il palco con le leggende, ma rimango un loro fan, sono loro che mi hanno spinto a essere chi sono attraverso l'ispirazione che poi mi sono trovato a elaborare. Chiaro, è sempre un piacere, e così rimarrà: suonare i pezzi dei grandi, dando quel colore che poi ti appartiene e fa parte della tua personalità e del tuo suono, quello che hai nelle mani. Del resto è nel ciclo delle cose: per chi ha scritto quei pezzi ce ne sono stati tanti altri a cui si sono ispirati a loro volta e che hanno suonato alla loro maniera. Vale in tutte le arti credo".

È chiaro che devi avere un'immensa cultura blues e rock. Se dovessi scegliere tre album del cuore, quali giudicheresti fondamentali per la tua crescita?
"Parecchi. Ma diciamo Truth di Jeff Beck Group, Irish Tour 74 di Rory Gallagher, Fresh Cream dei Cream e potrei continuare con John Mayall's Bluesbreakers con Eric Clapton, ma la lista andrebbe avanti tra BB King e ZZ Top, ecc. Ce ne sarebbero di nomi, sai com'è quando si parla di queste cose... C'è tutta l'adolescenza di mezzo, e anche di più".

Ogni tuo concerto è sempre sold out in poche ore, la tua voce migliora di album in album e la raffinatezza nel tocco è ormai superba. Ritieni in questo momento di aver raggiunto l'apice del successo o senti di poterti spingere oltre? E in che modo?
"Per me è sempre questione di cercare un contatto con il pubblico attraverso la musica e tentando di andare un gradino più in alto se possibile. Tenti sempre di dimostrare chi sei o chi sei diventato. Sai com'è, mi dicono che anche tu sei un musicista. Quando sei sul palco vuoi essere sicuro di andare al massimo, sei sempre alla prova, una sfida infinita con te stesso. Perché solo dentro di te sai quando stai andando bene. Te lo senti, lo vedi in chi ti sta di fronte. Di volta in volta cerchi di ricreare quella sensazione di benessere. Non esiste rimanere seduto sugli allori, capisci?".

Quello che sorprende il pubblico è l'assoluta sicurezza e precisione in ogni tuo concerto dal vivo. Mi chiedo se come tutti i mortali sei ansioso prima di ogni concerto o se sei concentrato e sicuro. Non credo sia stato facile affrontare la Royal Albert Hall e il Beacon Theatre... Ma eri una macchina da guerra!
"Grazie del complimento! Beh, finché il tour non è finito, non sai mai cosa possa succedere sera dopo sera, cerco di non farmi trovare impreparato, fa parte dell'esperienza. Ma quella strana sensazione allo stomaco mentre esci là fuori rimane sempre, sono il più umano di tutti quando si tratta di queste cose. Poi chiaramente entrano in gioco i fattori pubblico, interazione, energia, risposta... Tutto si compone e diventa un quadro che cambia nei colori ma non nell'intensità".

Tra i tuoi 20 e più album a soli 36 anni qual è quello che ti pare più riuscito? E perché?
"Se devo pensare a quelli che mi piace riascoltare dall'inizio alla fine, direi sicuramente The ballad of John Henry e Black Rock, e Driving towards the daylight. Che poi è il materiale che mi ha definito maggiormente nei vari live al Beacon Theater e alla Royal Albert Hall. Il disco in uscita a marzo An acoustic evening at the Vienna Opera House è un concentrato di tutto questo nella versione, diciamo, unplugged. Son tutti figli miei alla fine. Sono un padre giovane... (ride). Ti devo dire però che spero di non aver fatto ancora il mio miglior disco. Magari succederà quando avrò 60 anni, vorrà dire che starò ancora 'spingendo'".

La collaborazione con la cantante Beth Hart nell'album Don't explain è una perla di grande raffinatezza ed energia. Avete un nuovo progetto insieme?
"Beth è una di quelle cantanti che il mondo intero dovrebbe conoscere: così vera, intensa, potentissima, la voce della natura è in lei. So che ne avete avuto un assaggio in tv ultimamente in Italia (a Quelli che il calcio, ndr) e che lo show di stasera a Milano è già esaurito. Merita tutto quello che questo mondo può offrire. Va a capire il business a volte... Comunque stiamo finendo un disco assieme che uscirà tra qualche mese. E sicuramente seguirà un tour".

Stasera sei a Milano, il 3 a Padova. Cosa trovi nel pubblico italiano rispetto a quello di altre città europee?
"Per quanto sembri un cliché, anch'io mi ritrovo nelle radici italiane quando torno a suonare nella patria dei miei nonni, ho sempre avuto una buona stella in questo paese, son stato seguito anche quando suonavo le prime volte in piccoli club, un istinto forse. Manco da un paio di anni, credo che con questa nuova band e l'energia accumulata riuscirò a convincere un numero sempre maggiore di persone a diventare il mio pubblico di riferimento. Abbiamo il fuoco dentro...".

Si dice che tu abbia in casa circa cento chitarre. Altri dicono quasi duecento! Ma di quanti metri quadri è questa casa, perché deve essere un percorso di guerra camminarci.
"Eh, eh... lo so, è diventato un gossip, a dire il vero ne avevo molte di più una volta, ora sono circa 100, ma ci sono gemme di prima purezza, come Les Paul del '59 e '60 con certi numeri di serie che fan la differenza per chi è del mestiere. Nel tempo mi sono liberato delle cose che non mi emozionavano più. Tutto si evolve nella vita. Ma comunque sì, ne possiedo molte".

Possiamo contare di vederti presto anche a Roma? Qui i tuoi fan crescono...
"Cavolo, lo so, sfondi una porta aperta. Roma sarebbe uno di quei posti da sogno, chiaramente il famoso 'routing', l'itinerario di un tour, spesso obbedisce a leggi superiori chiamate 'logistica' che non sempre vanno a braccetto con le tappe ideali. Ma ci arrivo, stai sicuro! Grazie Carlo della tua attenzione per la mia musica, ci vediamo a Milano, mi sa... ". 

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