mercoledì 27 febbraio 2013

Mario Calabresi: “Il dovere di scelte coraggiose”


da: La Stampa

Nelle prime elezioni sotto la neve sono venuti al pettine i nodi che la politica non ha sciolto negli ultimi vent’anni: il rapporto con i cittadini prima di tutto, quel senso di incomunicabilità che ha portato a esprimere una protesta che non ha precedenti.  
Ora abbiamo un Parlamento in cui nessuno schieramento è in grado di dare vita a una maggioranza di governo, in cui un quarto dei votanti ha scelto il Movimento di Beppe Grillo e in cui la doppia ribellione dei cittadini verso la «casta» da un lato e verso i tagli e i sacrifici dall’altro è la vera vincitrice. 

L’Italia reale ha espresso tutto il suo malessere e dentro questo voto si sentono le voci e le storie di chi non trova lavoro, di chi non riesce ad arrivare alla pensione o alla fine del mese, di chi pensa di non avere futuro e fugge all’estero, di chi ha vissuto le nuove tasse come un’insopportabile angheria. 

C’è stata nel governo e nei partiti, ce lo dicono le urne, una sottovalutazione dell’impatto sociale delle politiche di austerità, una mancanza di sensibilità drammatica. A cui si deve sommare la rabbia maturata per la distanza percepita tra i sacrifici richiesti ai cittadini e quelli rifiutati dai politici.  

La scelta di Monti di partecipare alla campagna elettorale e l’offensiva dei due
partiti maggiori contro le politiche del suo governo hanno anche impedito di dare un senso ai sacrifici, di valorizzarli come passo fondamentale verso la ripresa dell’Italia. Sulla pelle sono rimasti solo tagli che hanno perso via via senso, in un coro sguaiato di promesse impossibili. Così il nostro ancoraggio all’Europa, il recupero di credibilità, la possibilità di far sentire la propria voce ai tavoli internazionali sono stati dimenticati in fretta. Eppure, non illudiamoci, solo grazie a queste conquiste siamo stati messi al riparo dal disastro e da oggi torniamo a rappresentare un pericolo e un segnale di allarme e instabilità per tutti. 

Di fronte al malessere del Paese Beppe Grillo è stato capace di parlare un linguaggio eccessivo ma immaginifico che ha raccolto e dato cittadinanza ad ogni tipo di protesta e di rabbia, mentre Berlusconi, come avevano intuito per tempo su queste pagine Luca Ricolfi e Michele Brambilla, è stato il più abile ad intercettare la rivolta contro le tasse e i controlli fiscali. Pier Luigi Bersani invece ha confidato troppo nel risultato delle primarie, nell’assenza dell’avversario, nella corrente che lo avrebbe portato a Palazzo Chigi senza troppa fatica. Così al Pd sono mancati un progetto ma anche un sogno capaci di scaldare i cuori degli elettori, di dare risposte forti e convincenti al malessere, di indicare una direzione per il futuro. 

Il risultato è sotto gli occhi di tutti e ci racconta un’Italia nuova, provata e spaventata dalle dinamiche nuove del mondo globale, dove il lavoro si sposta senza badare ai confini, dove sarebbe necessario rimettersi a studiare e ripensarsi ogni giorno. Ma anche un’Italia profonda che continua a mostrare diffidenza verso gli eredi del vecchio Pci, tanto da non concedergli più di un terzo dei voti. 

Ora rimettere a posto i pezzi di questo sistema piombato nel caos appare impresa di difficile soluzione. Ci vorrebbero coraggio, spirito di sacrificio e saggezza, doti che scarseggiano.  

A scrutinio non ancora concluso si è già sentito parlare di nuove elezioni da tenere dopo aver approvato una nuova legge elettorale, una prospettiva che appare ancora più drammatica e irreale. Per fare una legge elettorale è necessaria una maggioranza in Parlamento, quella maggioranza che non c’è stata nell’ultimo anno nonostante i numeri ci fossero e fossero abbondanti. E pensare che il presidente della Repubblica ha insistito fino all’ultimo per riformare il sistema di voto, chiedendo che fosse ristabilito un rapporto tra elettori e eletti, affinché i cittadini potessero scegliere i propri rappresentanti e non fossero chiamati solo a ratificare le scelte dei partiti, e che venisse eliminato il mostruoso premio di maggioranza della Camera. Ma la miopia di chi pensava di avere la vittoria in tasca e di chi era convinto di poter ancora lucrare una rendita di posizione hanno avuto la meglio. La stessa miopia che ha fatto gettare via ogni modifica istituzionale: così non è stato diminuito il numero dei parlamentari, si sono mantenute le province e si è data l’idea di voler salvare l’esistente con tutti i suoi privilegi. 

Immaginate adesso se il primo atto di queste nuove Camere fosse accordarsi per dare vita a una nuova legge elettorale, immediato sorgerebbe il sospetto nei cittadini di trovarsi di fronte all’ultima disperata mossa del sistema dei partiti per salvare la propria esistenza. La rivolta salirebbe ancora più forte. 

Abbiamo invece bisogno di passi chiari, di scelte nette e coraggiose. Si provi a vedere in Parlamento se sono possibili convergenze per dare risposte urgenti ai cittadini, senza trattative incomprensibili. Dopo il voto di ieri e domenica una cosa è certa: ogni passo politico deve essere fatto alla luce del sole e deve essere leggibile e comprensibile da parte di tutti. In Parlamento si possono e si dovranno trovare convergenze, tra i partiti tradizionali ma anche tra i nuovissimi parlamentari Cinque Stelle che ora vantano come un merito la loro inesperienza politica e il loro candore. Vanno trattati come una risorsa, non come dei nemici. Sono rappresentanti degli italiani, come tutti gli altri. La politica quand’è nobile cerca soluzioni e quand’è efficace, le trova. Non c’è più tempo per giochi oscuri. Il voto degli italiani lo ha detto chiaramente. 

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