da: La Stampa
Nelle prime elezioni sotto la neve sono
venuti al pettine i nodi che la politica non ha sciolto negli ultimi vent’anni:
il rapporto con i cittadini prima di tutto, quel senso di incomunicabilità che
ha portato a esprimere una protesta che non ha precedenti.
Ora abbiamo un Parlamento in cui nessuno
schieramento è in grado di dare vita a una maggioranza di governo, in cui un
quarto dei votanti ha scelto il Movimento di Beppe Grillo e in cui la doppia
ribellione dei cittadini verso la «casta» da un lato e verso i tagli e i sacrifici
dall’altro è la vera vincitrice.
L’Italia reale ha espresso tutto il suo
malessere e dentro questo voto si sentono le voci e le storie di chi non trova
lavoro, di chi non riesce ad arrivare alla pensione o alla fine del mese, di
chi pensa di non avere futuro e fugge all’estero, di chi ha vissuto le nuove
tasse come un’insopportabile angheria.
C’è stata nel governo e nei partiti,
ce lo dicono le urne, una sottovalutazione dell’impatto sociale delle politiche
di austerità, una mancanza di sensibilità drammatica. A cui si deve sommare la
rabbia maturata per la distanza percepita tra i sacrifici richiesti ai
cittadini e quelli rifiutati dai politici.
La scelta di Monti di partecipare alla
campagna elettorale e l’offensiva dei due
partiti maggiori contro le politiche
del suo governo hanno anche impedito di dare un senso ai sacrifici, di
valorizzarli come passo fondamentale verso la ripresa dell’Italia. Sulla pelle
sono rimasti solo tagli che hanno perso via via senso, in un coro sguaiato di
promesse impossibili. Così il nostro ancoraggio all’Europa, il recupero di
credibilità, la possibilità di far sentire la propria voce ai tavoli
internazionali sono stati dimenticati in fretta. Eppure, non illudiamoci, solo
grazie a queste conquiste siamo stati messi al riparo dal disastro e da oggi
torniamo a rappresentare un pericolo e un segnale di allarme e instabilità per
tutti.
Di fronte al malessere del Paese Beppe
Grillo è stato capace di parlare un linguaggio eccessivo ma immaginifico che ha
raccolto e dato cittadinanza ad ogni tipo di protesta e di rabbia, mentre
Berlusconi, come avevano intuito per tempo su queste pagine Luca Ricolfi e
Michele Brambilla, è stato il più abile ad intercettare la rivolta contro le
tasse e i controlli fiscali. Pier Luigi Bersani invece ha confidato troppo nel
risultato delle primarie, nell’assenza dell’avversario, nella corrente che lo
avrebbe portato a Palazzo Chigi senza troppa fatica. Così al Pd sono mancati un
progetto ma anche un sogno capaci di scaldare i cuori degli elettori, di dare
risposte forti e convincenti al malessere, di indicare una direzione per il
futuro.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti e
ci racconta un’Italia nuova, provata e spaventata dalle dinamiche nuove del
mondo globale, dove il lavoro si sposta senza badare ai confini, dove sarebbe
necessario rimettersi a studiare e ripensarsi ogni giorno. Ma anche un’Italia
profonda che continua a mostrare diffidenza verso gli eredi del vecchio Pci,
tanto da non concedergli più di un terzo dei voti.
Ora rimettere a posto i pezzi di questo
sistema piombato nel caos appare impresa di difficile soluzione. Ci vorrebbero
coraggio, spirito di sacrificio e saggezza, doti che scarseggiano.
A scrutinio non ancora concluso si è già
sentito parlare di nuove elezioni da tenere dopo aver approvato una nuova legge
elettorale, una prospettiva che appare ancora più drammatica e irreale. Per
fare una legge elettorale è necessaria una maggioranza in Parlamento, quella
maggioranza che non c’è stata nell’ultimo anno nonostante i numeri ci fossero e
fossero abbondanti. E pensare che il presidente della Repubblica ha insistito
fino all’ultimo per riformare il sistema di voto, chiedendo che fosse
ristabilito un rapporto tra elettori e eletti, affinché i cittadini potessero scegliere
i propri rappresentanti e non fossero chiamati solo a ratificare le scelte dei
partiti, e che venisse eliminato il mostruoso premio di maggioranza della
Camera. Ma la miopia di chi pensava di avere la vittoria in tasca e di chi era
convinto di poter ancora lucrare una rendita di posizione hanno avuto la
meglio. La stessa miopia che ha fatto gettare via ogni modifica istituzionale:
così non è stato diminuito il numero dei parlamentari, si sono mantenute le
province e si è data l’idea di voler salvare l’esistente con tutti i suoi
privilegi.
Immaginate adesso se il primo atto di
queste nuove Camere fosse accordarsi per dare vita a una nuova legge
elettorale, immediato sorgerebbe il sospetto nei cittadini di trovarsi di
fronte all’ultima disperata mossa del sistema dei partiti per salvare la propria
esistenza. La rivolta salirebbe ancora più forte.
Abbiamo invece bisogno di passi chiari, di
scelte nette e coraggiose. Si provi a vedere in Parlamento se sono possibili
convergenze per dare risposte urgenti ai cittadini, senza trattative incomprensibili.
Dopo il voto di ieri e domenica una cosa è certa: ogni passo politico deve
essere fatto alla luce del sole e deve essere leggibile e comprensibile da
parte di tutti. In Parlamento si possono e si dovranno trovare convergenze, tra
i partiti tradizionali ma anche tra i nuovissimi parlamentari Cinque Stelle che
ora vantano come un merito la loro inesperienza politica e il loro candore.
Vanno trattati come una risorsa, non come dei nemici. Sono rappresentanti degli
italiani, come tutti gli altri. La politica quand’è nobile cerca soluzioni e
quand’è efficace, le trova. Non c’è più tempo per giochi oscuri. Il voto degli
italiani lo ha detto chiaramente.
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