Dimissioni
Papa/ La nomina in extremis del presidente dello Ior garantisce Germania e
Stati Uniti
Non esiste, nel lessico e nelle funzioni di
un Pontefice, il disbrigo degli affari correnti, in analogia con le prerogative
di un governo dimissionario: il Papa è Papa, nella pienezza dei poteri, o
altrimenti la sede è vacante, come accadrà dal 28 febbraio alle 20.
Fino ad allora qualunque decisione, anche
se formalmente deliberata da un’apposita commissione cardinalizia, si deve
ricondurre a una precisa volontà e responsabilità di Benedetto XVI e del suo
Segretario di Stato.
La corsa
frenetica per nominare in
extremis il Presidente dello IOR, che ha favorito sul filo del traguardo il
connazionale del Papa Ernest Von Freyberg, offre misura e dismisura,
purtroppo economica, della portata dello scontro in atto in Vaticano e incrina
il fronte compatto dei consensi che da Lunedì si era erto intorno alla figura
di Joseph Ratzinger, apparso forte per una settimana e repentinamente tornato
fragile.
Oltre alla matrice interna e curiale, la
decisione ha un profilo esterno e geoconomico, garantendo i due paesi che
sostengono le finanze della Chiesa: Germania e Stati Uniti, che già dispongono
del Segretario del Board, l’americano Carl Anderson.
Ma il cammino del Conclave, faticosamente
instradato da Benedetto XVI lungo un percorso liturgico di ascesi e
purificazione quaresimale, scivola e precipita
rovinosamente in un ambito solo
mondano: dalla Basilica si trasferisce in banca. Dalle ceneri ai conti
correnti.
La chiave di lettura alta e provvidenziale,
che il Pontefice aveva voluto offrire di questa fase della vita della Chiesa,
improvvisamente diventa la chiave del Torrione di San Pio V, sede dello IOR:
dalla cifra mistica a quella contabile.
La decisione ipoteca pesantemente e in
maniera politicamente scorretta l’autonomia del nuovo Papa.
Sarebbe come se, alla vigilia delle
elezioni e dell’investitura di un nuovo premier, l’esecutivo uscente nominasse
il Governatore della Banca d’Italia.
La scelta suscita interrogativi e
spiegazioni inquietanti sul ruolo dello IOR nella congiuntura delicatissima del
Conclave e della guerra, che a questo punto si deve definire tale, tra le
fazioni curiali.
Come ultimo atto di governo del Pontificato
l’Europa non si attendeva la nomina di una persona, ma l’adozione di nuove
regole, cancellando le restrizioni ultimamente imposte all’autonomia e
dell’AIF, l’Autorità d’Informazione Finanziaria, l’organismo antiriciclaggio
che il Vaticano si è dato spinta e sul modello di altri stati.
Inizialmente autonoma, l’attività ispettiva
dell’AIF, che ha il compito di vigilare sullo IOR, è stata rigidamente
ricondotta sotto il controllo della Segreteria di Stato.
Una scelta che trova unanimi gli esponenti
delle diverse fazioni. Divisi sui nomi ma uniti sul metodo, con l’unica
eccezione, solitaria e profetica, del Cardinale Attilio Nicora, inventore
dell’8 per mille ai tempi della revisione del Concordato e oggi presidente
dell’AIF, che il porporato avrebbe voluto uniformare all’UIF, l’analogo ufficio
della Banca d’Italia, che in questi mesi ha dato efficace prova di sé, portando
alla luce numerosi scandali finanziari.
Se la Chiesa ambisce a essere l’anima del
mondo, conforme al suo mandato divino, non deve temere di sottoporre le sue
strutture terrene, soprattutto economiche, agli strumenti diagnostici in uso
nella società degli uomini, magistratura e media in primis, nell’auspicio che
guardandole dentro e scrutando i suoi organi visibili, si colga il riflesso
della sua natura invisibile.
Ci auguriamo che il nuovo Presidente dello
IOR, entrato nel Torrione di San Pio V, abbia la forza di intimare ai non
aventi titolo un cristallino “extra omnes”, al pari di quello che a poche
centinaia di metri verrà sonoramente pronunciato sulla soglia del Conclave,
sbarrando le porte della Sistina.
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