da: Il Fatto Quotidiano
Dal
mancato confronto tra i candidati parte la guerra per il controllo politico
della Rai
Mentre
le truppe di Berlusconi tentano di resistere all’avanzata del nuovo corso,
nella sede del Partito democratico si fanno i conti su come “conquistare” viale
Mazzini subito dopo le elezioni in modo morbido
di Sara
Nicoli
Le prossime elezioni saranno le prime degli
ultimi dieci anni in cui i cittadini italiani saranno privati di un
confronto televisivo diretto tra i principali leader in campo. Colpa della par
condicio ma, ovviamente, non solo. C’è una guerra politica in corso che
non si vede, ma che si sta combattendo con la stessa efferatezza di quella per
la vittoria elettorale: è la nuova “guerra del controllo delle tv”. Che passa
anche da un confronto tv che non si può fare, ma che s’incendierà un
minuto dopo la proclamazione del risultato elettorale. Come sempre negli ultimi
vent’anni.
In queste ore, Berlusconi preme sulla tv pubblica, insistendo oltre misura
perché venga organizzato un faccia a
faccia “ma solo con Bersani”, in senso “risarcitorio” per non aver spostato
il Festival di Sanremo che gli
avrebbe tolto “una settimana di campagna
elettorale”. Monti ha
invece chiesto ufficialmente un confronto a tre, mentre il leader Pd non ne
vuole sapere di scontrarsi, casomai, solo con il Cavaliere. Una ridda di veti
incrociati che, però, ha una lettura diversa da quella che si potrebbe
facilmente immaginare, ovvero la convenienza politica del momento; di mezzo
c’è, ancora una volta, il controllo della tv pubblica e, in questa fase, dei
suoi traballanti vertici. Da lunedì, dunque, si parlerà anche – e intensamente
– di Rai.
Berlusconi ieri ha festeggiato la decisione
del cda di Telecom di
formalizzare la vendita di La7 solo
con Urbano Cairo, ex uomo di
stretta osservanza arcoriana, ma contemporaneamente sente affievolirsi il suo
peso specifico dentro la Rai. Che ora, proprio in seguito alla decisione del
cda di Telecom, diventa motivo di nuovi appetiti e assetti politico-mediatici.
Insomma, il Cavaliere sta perdendo terreno in azienda, ma non ha alcuna
intenzione di lasciare il campo ai democratici.
Che, invece, hanno idee piuttosto bellicose sul futuro della tv pubblica. Nel
mezzo, un debolissimo dg Rai, Luigi Gubitosi. In barba all’arroganza, tutta
montiana, dimostrata nelle prime ore del suo mandato, oggi il ‘montiano’ di viale
Mazzini pare non avere più in mano
saldamente le redini dell’azienda. E quanto la situazione gli stia sfuggendo
politicamente di mano lo si capirà domani, quando sul tavolo del cda Rai, con
un consigliere Antonio Verro del
Pdl ormai con un piede fuori dalla porta della Rai e dentro il Senato, verranno portate le nomine dei nuovi vice direttori di rete;
non ce n’è neanche uno targato Pdl. E questo ha fatto infuriare Paolo
Bonaiuti, portavoce e factotum berlusconiano sul fronte mediatico. Ieri, non a
caso, Bonaiuti ha pressato in modo inverosimile i vertici Rai per il confronto
tv tra il Cavaliere e Bersani. Il tutto mentre Augusto Minzolini, scagionato
dall’accusa di peculato, portava l’ennesima aggressione sempre a Gubitosi
chiedendo il reintegro al Tg1. Ovviamente in nome e per conto del
Cavaliere.
La nuova guerra della Rai, insomma, è
appena cominciata. Se salteranno,
come probabile, le nomine dei vice
direttori di rete, per Gubitosi si aprirà un periodo di turbolenza interna dagli esiti scontati. Perché i primi a volerlo dimissionare anzitempo,
paradossalmente, sono i vertici del Pd,
non Berlusconi. Insomma, mentre le truppe del Cavaliere in Rai serrano le fila
tentando di resistere all’avanzata del nuovo corso, con i dirigenti in quota
berlusconiana (a partire da Comanducci) che non ne vogliono sapere di
essere incentivati lautamente verso la pensione, a Largo del Nazarenosi
fanno i conti su come “conquistare” viale Mazzini subito dopo il voto in modo
morbido. Casomai attraverso una rilettura del contratto di servizio tra Stato e
Rai, che è in scadenza.
In pratica: Bersani, durante il governo tecnico montiano, ha accettato che il
cda di Gubitosi-Tarantola avesse
poteri straordinari per risanare l’azienda e raggiungere un grado di equilibrio
politico che consentisse di avere una Rai “pulita” in vista delle elezioni. Gubitosi (il dg che vuole portare l’attacco a Google e Youtube ignorando che la Rai ha un accordo siglato nel 2008 con entrambe le
società internet), nonostante i poteri speciali, non è riuscito a portare a
termine nessuno di questi due, fondamentali, obiettivi: il risanamento
dell’azienda è di là da venire, non si ha traccia del nuovo piano industriale targato Mc Kinsey,
è stato siglato il contratto di lavoro con i dipendenti, ma il piano di incentivazione agli esodi dei
dirigenti – come si diceva- è stato bloccato dalla chiusura dell’Adrai, il
“sindacato” dei dirigenti Rai diretto dal democratico Andrea Lorusso Caputi
(che, però, starebbe per intascare la nomina a dirigente della moglie).
Prosegue, poi, con estrema lentezza, il tentativo di recupero delle vistose
perdite pubblicitarie maturate in epoca in cui governava la berlusconiana Lorenza
Lei, oggi alla Sipra, e solo il successo di Sanremo ha strappato un
sorriso ai piani alti di viale Mazzini. I berlusconiani, intanto, mantengono
saldamente le posizioni di sempre. Il tutto con una presidente, Anna Maria Tarantola, che pesa
enormemente sulle casse dell’azienda
(è considerata sempre in trasferta da Milano, dunque “costa” il doppio), ma il
cui apporto professionale è ancora tutto da dimostrare. L’affaire Mps, a quanto
sembra, l’ha convinta – specie negli ultimi tempi – a mantenere un profilo sempre
più basso. Troppo basso, però, anche per gli standard Rai.
Insomma, non gira affatto bene per i vertici “bocconiani” di viale Mazzini.
Tanto che Bersani, subito dopo le elezioni, avrà gioco facile nel
tentativo di sostituzione. Come? Attraverso il contratto di servizio, si dice.
Cioè: il Pd vorrebbe inserire dentro il contratto in scadenza un cambio
di regole per la governance della tv pubblica? La cosa appare un po’ in
salita. La verità è che in questi giorni da parte del ministero dello Sviluppo
Economico guidato ancora da Passera,
ci sarebbe stata un’accelerazione nel tentativo di arrivare a rinnovare prima del voto il contratto
di servizio. Questo ha profondamente indispettito i vertici Pd che vogliono
usare quel contratto come un grimaldello per dare il via alla nuova legge sulla
governance Rai accanto a quella sul conflitto d’interessi che ha in mente
Bersani. Per questo, subito dopo il voto, la Rai diventerà nuovamente un campo
di manovra politica di primo piano. Passano gli anni, ma gli assetti del potere
si decidono tutti sul controllo delletelevisioni. E finché sarà in politica il
Cavaliere, nulla cambierà più di tanto su questo fronte. Ma per fortuna “torna
Carosello”. E siamo tutti più felici.
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