da: Lettera 43
Festival,
non è la vittoria del migliore
Sanremo:
trionfa Mengoni, figlio dei talent show che piacciono all'Italia. Elio
sbanca con l'anticanzone. Ma i veri protagonisti sono i
conduttori: fenomenologia della Littifazio
di Bruno Giurato
Almeno dal punto di
vista del vincitore, la finale della 63esima edizione di Sanremo si è
chiusa all’insegna del molto rumore per nulla. Peccato.
Marco Mengoni e i
Modà, con due dei brani che secondo molti sono tra i più brutti del Festival,
sono finiti sul podio. È la conferma - casomai ce ne fosse bisogno - che il
festival dei fiori è musicalmente succube della formula del talent show e che
la giuria di qualità era lì non si capisce bene a far cosa. Ma, soprattutto,
che l'autobiografia della nazione che il festival ancora rappresenta è ferma su
coordinate stracotte, talvolta capaci di sfiorare il trash involontario.
IL VERO TRASH È
MENGONI. Inutile prendersela con Toto
Cutugno e con i cori russi, con Al Bano che fa le flessioni, o con la tanto
vituperata Maria Nazionale che – lo
si è sentito nei concerti insieme con Francesco De Gregori - quando
fa musica etnica è invece eccellente.
A Sanremo vince
comunque Mengoni, uno che canta
versi già non esaltanti come «Mentre il mondo cade a pezzi/ io compongo nuovi
spazi» mettendoci sopra un improbabile
accento americano, che lo fa pronunciare, più o meno, «Cage a pecci»
e «nuouvi spacci».
E quando i Modà, restando drammaticamente seri,
intonano: «Se anche i baci si potessero mangiar /ci sarebbe un po' più amore e
meno fame», fanno rimpiangere la franca idiozia delle canzonette di una volta.
Elio
ha prodotto l'anticanzone perfetta
Certo si sa che il
vincitore di Sanremo non conta poi tanto, e non ci si può aspettare che
dall'Ariston arrivi l'innovazione pop.
Non è un caso che il
pezzo più apprezzato da critici e giornalisti, che ha fatto incetta di tutti i
premi di consolazione possibili, sia stato quello di Elio e le storie tese.
Chierichetti,
piccoli oppure obesi, a seconda delle serate, gli Elii hanno lavorato di
parodia teatrale e musicale, col solito stellare tasso di tecnica.
Mononota è
una meta-canzone su tutti i luoghi comuni del canzonettismo: in
fondo l'anticanzone sanremese perfetta.
L'OSSESIONE PER LE
MARCETTE. Tra l'altro, con il suo continuo gioco di citazioni
(da Tintarella di Luna all'inno Cubano), Mononota ha anche
fatto da parodia alla tendenza vintage, retromaniaca e citatoria, di molte
canzoni presenti quest'anno.
Da Max Gazzè a
Simone Cristicchi, da Simona Molinari con Peter Cincotti ad Annalisa (ma si
rischia di perdere il conto) le marcette in due quarti, gli zum-pà in stile
Anni ’30 e ‘40, si sprecavano.
Altrettanto diffuso
l'atteggiamento nostalgico: dai temi e modi d'antan di Daniele Silvestri («Le
parole so' sempre quelle/ ma è uscito il sole e me sembrano più belle») a
Cristicchi che da morto guarda il film di Pasolini e gioca a briscola con
Sandro Pertini.
LE COVER DEI
CLASSICI Più MODERNE DEI PEZZI NUOVI. A un certo punto, durante la serata
di venerdì, quella musicalmente più godibile, con l'esibizione senza freni di
Stefano Bollani al piano, di Raphael Gualazzi che improvvisava a ruota libera e
perfino degli Almamegretta, più solari e allegri senza Raiz, si aveva la
sensazione che i vecchi successi di
cui si stavano ascoltando le cover fossero
più moderni di molti pezzi in concorso.
I
veri vincitori: Fazio e Littizzetto
Perché infine, i veri vincitori del festival di Sanremo
2013 non sono state le canzoni, ma i presentatori.
La coppia Fabio Fazio-Luciana Littizzetto è riuscita a imbastire un racconto coerente, fatto di alto e di basso, di pop e musica colta, a costi contenuti e riuscendo a convincere il pubblico e infine a tenere in piedi il festival in una situazione politicamente impossibile.
La coppia Fabio Fazio-Luciana Littizzetto è riuscita a imbastire un racconto coerente, fatto di alto e di basso, di pop e musica colta, a costi contenuti e riuscendo a convincere il pubblico e infine a tenere in piedi il festival in una situazione politicamente impossibile.
QUANTE BATTUTE
RICICLATE. Vero che hanno saccheggiato il repertorio precedente: la
Littizzetto ha autoplagiato molte battute dei suoi libri (da Madama
Sbatterflay a Rivergination); la coppia ha ripreso pari pari l'idea
delle «Cose viste» da Quello che non ho di Fazio-Saviano. Molti degli
sketch degli ospiti erano repertorio, dall'Ingroia di Maurizio Crozza,
all'Alberto Angela di Neri Marcorè all'analisi di Qui-Quo-Qua di Claudio Bisio.
LA RESTAURAZIONE DI FAZIO. Ma il duo, infine, è riuscito a imbastire uno show meno caciarone di altre edizioni (nel 2012, come ha notato Stefania Carini su Europa, si parlava solo della farfalla di Belen e della foca di Papaleo).
LA RESTAURAZIONE DI FAZIO. Ma il duo, infine, è riuscito a imbastire uno show meno caciarone di altre edizioni (nel 2012, come ha notato Stefania Carini su Europa, si parlava solo della farfalla di Belen e della foca di Papaleo).
Uno spettacolo che
ha dissacrato le liturgie festivaliere, magari con le occhiate della
Littizzetto, ma in fondo ha camminato con sicurezza nell'alveo tradizionale,
compreso il trash, le bellone sul palco, da Bianca Balti a Bar Refaeli, e le
prediche politicamente corrette. Una sorta di compromesso storico musicale, che
per la televisione italiana, ancora, funziona.
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