lunedì 18 febbraio 2013

Festival di Sanremo 2013: “Non è la vittoria del migliore”


da: Lettera 43

Festival, non è la vittoria del migliore
Sanremo: trionfa Mengoni, figlio dei talent show che piacciono all'Italia. Elio sbanca con l'anticanzone. Ma i veri protagonisti sono i conduttori: fenomenologia della Littifazio
di Bruno Giurato

Almeno dal punto di vista del vincitore, la finale della 63esima edizione di Sanremo si è chiusa all’insegna del molto rumore per nulla. Peccato.
Marco Mengoni e i Modà, con due dei brani che secondo molti sono tra i più brutti del Festival, sono finiti sul podio. È la conferma - casomai ce ne fosse bisogno - che il festival dei fiori è musicalmente succube della formula del talent show e che la giuria di qualità era lì non si capisce bene a far cosa. Ma, soprattutto, che l'autobiografia della nazione che il festival ancora rappresenta è ferma su coordinate stracotte, talvolta capaci di sfiorare il trash involontario.
IL VERO TRASH È MENGONI. Inutile prendersela con Toto Cutugno e con i cori russi, con Al Bano che fa le flessioni, o con la tanto vituperata Maria Nazionale che – lo si è  sentito nei concerti insieme con Francesco De Gregori -  quando fa musica etnica è invece eccellente.
A Sanremo vince comunque Mengoni, uno che canta versi già non esaltanti come «Mentre il mondo cade a pezzi/ io compongo nuovi spazi» mettendoci sopra un improbabile accento americano, che lo fa pronunciare, più o meno, «Cage a pecci»  e «nuouvi spacci».

E quando i Modà, restando drammaticamente seri, intonano: «Se anche i baci si potessero mangiar /ci sarebbe un po' più amore e meno fame», fanno rimpiangere la franca idiozia delle canzonette di una volta.

Elio ha prodotto l'anticanzone perfetta
Certo si sa che il vincitore di Sanremo non conta poi tanto, e non ci si può aspettare che dall'Ariston arrivi l'innovazione pop.
Non è un caso che il pezzo più apprezzato da critici e giornalisti, che ha fatto incetta di tutti i premi di consolazione possibili, sia stato quello di Elio e le storie tese.
Chierichetti, piccoli oppure obesi, a seconda delle serate, gli Elii hanno lavorato di parodia teatrale e musicale, col solito stellare tasso di tecnica.
Mononota è una meta-canzone su tutti i luoghi comuni del canzonettismo: in fondo l'anticanzone sanremese perfetta.
L'OSSESIONE PER LE MARCETTE. Tra l'altro, con il suo continuo gioco di citazioni (da Tintarella di Luna all'inno Cubano), Mononota ha anche fatto da parodia alla tendenza vintage, retromaniaca e citatoria, di molte canzoni presenti quest'anno.
Da Max Gazzè a Simone Cristicchi, da Simona Molinari con Peter Cincotti ad Annalisa (ma si rischia di perdere il conto) le marcette in due quarti, gli zum-pà in stile Anni ’30 e ‘40, si sprecavano.
Altrettanto diffuso l'atteggiamento nostalgico: dai temi e modi d'antan di Daniele Silvestri («Le parole so' sempre quelle/ ma è uscito il sole e me sembrano più belle») a Cristicchi che da morto guarda il film di Pasolini e gioca a briscola con Sandro Pertini.
LE COVER DEI CLASSICI Più MODERNE DEI PEZZI NUOVI. A un certo punto, durante la serata di venerdì, quella musicalmente più godibile, con l'esibizione senza freni di Stefano Bollani al piano, di Raphael Gualazzi che improvvisava a ruota libera e perfino degli Almamegretta, più solari e allegri senza Raiz, si aveva la sensazione che i vecchi successi di cui si stavano ascoltando le cover fossero più moderni di molti pezzi in concorso.

I veri vincitori: Fazio e Littizzetto
Perché infine, i veri vincitori del festival di Sanremo 2013 non sono state le canzoni, ma i presentatori.
La coppia Fabio Fazio-Luciana Littizzetto è riuscita a imbastire un racconto coerente, fatto di alto e di basso, di pop e musica colta, a costi contenuti e riuscendo a convincere il pubblico e infine a tenere in piedi il festival in una situazione politicamente impossibile.
QUANTE BATTUTE RICICLATE. Vero che hanno saccheggiato il repertorio precedente: la Littizzetto ha autoplagiato molte battute dei suoi libri (da Madama Sbatterflay a Rivergination); la coppia ha ripreso pari pari l'idea delle «Cose viste» da Quello che non ho di Fazio-Saviano. Molti degli sketch degli ospiti erano repertorio, dall'Ingroia di Maurizio Crozza, all'Alberto Angela di Neri Marcorè all'analisi di Qui-Quo-Qua di Claudio Bisio.
LA RESTAURAZIONE DI FAZIO. Ma il duo, infine, è riuscito a imbastire uno show meno caciarone di altre edizioni (nel 2012, come ha notato Stefania Carini su Europa, si parlava solo della farfalla di Belen e della foca di Papaleo).
Uno spettacolo che ha dissacrato le liturgie festivaliere, magari con le occhiate della Littizzetto, ma in fondo ha camminato con sicurezza nell'alveo tradizionale, compreso il trash, le bellone sul palco, da Bianca Balti a Bar Refaeli, e le prediche politicamente corrette. Una sorta di compromesso storico musicale, che per la televisione italiana, ancora, funziona.

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