martedì 12 febbraio 2013

Festival Sanremo 2013: mezzo secolo di tormentoni


da: Il Sole 24 Ore

Da «Volare» a «Sincerità», mezzo secolo di tormentoni da Sanremo
di Francesco Prisco

Lo abbiamo capito: quest’anno vogliono farci assistere a uno spettacolo diverso. Alta la qualità degli artisti selezionati (garantisce l’ex Pfm Mauro Pagani), nuova la formula della competizione con due pezzi in gara per concorrente e zero eliminazioni, così nessuno ci rimane male (fin qui chi ha protestato per l’esclusione, in alcuni casi, è stato blandito con un posto da ospite).
È la «missione» di fra’ Fabio Fazio, lo sappiamo. Ma siamo sicuri che il festival di Sanremo ai nastri di partenza saprà fare a meno del suo tradizionale «piatto forte»? Stiamo parlando del tormentone, l’amata-odiata canzonetta orecchiabile che ti si ficca in testa e non va più via, a meno che non ci si sottoponga a una traumatica cura Ludovico. Dall’edizione del 1951 a oggi ne abbiamo fatto indigestione. Ce ne sono di orrendi, di insopportabili, di dignitosi, qualcuno è diventato addirittura leggenda. Ve ne regaliamo dieci: che vi servano come amuleto per difendervi dal buonismo faziano.

Di sicuro il più nobile tra i tormentoni, quello che nel 1958 sancì la vittoria di Domenico Modugno e il vero inizio della leggenda sanremese. Testo scritto a quattro mani con un ancora giovane Franco Migliacci, musica a firma della grande voce di Polignano a Mare. Partenza sospesa con qualche concessione
al virtuosismo, ritornello costruito intorno a quell’«o-o-o-oh» che strizza l’occhio pure agli ascoltatori più frigidi. Quando l’ex Beatle George Harrison, negli anni Ottanta, arrivò come ospite del Festival, si sentì chiedere da un giornalista quali canzoni italiane conoscesse. Rispose: «Solo Volare».

Altra prova del fatto che tormentone non deve per forza far rima con polpettone: nell’edizione del ’61 Mina si presenta in concorso con questa canzoncina frizzante, scritta dalla coppia Vito Pallavicini-Carlo Alberto Rossi. L’effetto sorpresa che ti cattura sta nel suono onomatopeico che la Tigre di Cremona intona nel ritornello. Brano secondo la critica destinato alla vittoria finale sin dalla prima esecuzione, finirà quinto in classifica. Non è un caso se la Nostra da allora non vorrà più mettere piede in Riviera.

Qualche volta (anzi spesso) i tormentoni vincono. Accadde nell’edizione del ’77 con la ballad zuccherosa «Bella da morire» eseguita dagli Homo Sapiens, band il cui nome prometteva suggestioni progressive tanto in voga nel più glorioso decennio del rock italiano. Promessa non mantenuta: quello del complesso era un pop cantautorale facile facile pensato per i primi appuntamenti galanti con la macchina presa in prestito da papà. Ma «Bella da morire» è stata soprattutto un must per le feste delle medie.

In alcuni casi gli interpreti dei tormentoni sanremesi bruciano in fretta, in altri si costruiscono carriere che, alla prima nota intonata sul palco dell’Ariston, in pochi avrebbero ipotizzato. Laura Pausini esplode nel ’93 grazie a «La solitudine», psicodramma adolescenziale di una lei che perde il lui causa trasferimento di domicilio e, dopo essersi a lungo tormentata sul giro di do della strofa e nei dubbi del ritornello, esplode tutta la propria disperazione nell’acuto del «Ti prego aspettami/ amore mio». Mentre si dispera, la ragazza vince nella categoria Giovani e si impone, grazie alla versione tradotta, in mezza Europa. Senza dubbio uno dei pezzi di maggior successo commerciale della nostra musica leggera.

In un’ideale selezione dei tormentoni sanremesi non può mancare almeno un brano di due specialisti del genere: il duo composto dal soul singer americano Wess e Dori Ghezzi, particolarmente in voga negli anni Settanta. Al Festival del ’76 arrivarono secondi con «Come stai? Con chi sei?», brano che – con quella struttura che alternava strofa a e ritornello – non era certo un capolavoro d’innovazione. Il valore aggiunto era dato proprio dal refrain semplice e insistente in quanto a musica. Il tema amoroso del testo faceva il resto.

Il brano che nel 2009 porta la lucana Rosalba Pippa, in arte Arisa, a trionfare nella categoria Giovani è forse l’ultimo tormentone di qualità della storia di Sanremo. Non certo per la struttura armonica, ennesima rilettura del giro di do, neanche per l’originalità del tema. Anzi: a dirla tutta, all’epoca insospettiva una certa somiglianza con il jingle anni Settanta della Coca Cola. A catturare era piuttosto l’attitudine di Arisa: quel discettare di un amore «che punti all’eternità» dietro a un look alla Franca Valeri, giocando con una melodia da bubblegum song. Trionfo dell’immaginario anni Cinquanta. Bisogna ammetterlo: c’era un certo gusto in tutto ciò.

Brano che potrebbe concorrere per la palma di tormentone sanremese più insopportabile della storia. Le sorelline milanesi Pala e Chiara nel ’97 vincono nella categoria delle Nuove proposte con questa ballata acustica dalla melodia elementare, sottolineata nel ritornello da un po’ di cornamuse campionate giusto per fare esotico. Sono in due, ma sono in troppe: nel loro cantato non c’è uno straccio di armonia vocale. Pure l’esecuzione è approssimativa. Quanto al testo, siamo alle solite meditazioni adolescenziali sull’amore che finisce. In barba a tutto quanto, fu il solito successone di vendite.

Forse il titolo non vi dice niente. Forse ve la ricordate come «Trottolino amoroso», improbabile epiteto che i due cantanti si indirizzano nel testo. Forse non sarà il tormentone sanremese più brutto di tutti i tempi ma il brano, arrivato terzo nell’edizione del ’90, stravince di sicuro per l’originalità delle liriche: «Magari ti chiamerò:/ trottolino amoroso duddù daddà dà./ Il tuo nome sarà/ il nome di ogni città. Di un gattino annaffiato/ che miagolerà». Sapete com’è: il coautore è un certo Pasquale Panella che ha sempre saputo di essere un padre nobile dell’italico cantautorato, di quelli che certe licenze se le prendono quando vogliono. Alla faccia di noi maligni, «Vattene amore» fu il singolo più venduto di Sanremo ’90.

L’apoteosi degli «Amici» di Maria De Filippi. Valerio Scanu, a Sanremo 2010, canta un pezzo di Pierdavide Carone, duetta con Alessandra Amoroso, diretto dal maestro Beppe Vessicchio. E arriva primo. Il brano è un poppettino mieloso che resta indigesto a tutti i non appassionati del genere. Probabilmente resterà nella storia della canzone italiana per il ritornello in cui un lui auspica a una lei di «far l’amore in tutti i modi/ in tutti i luoghi/ in tutti i laghi/ in tutto il mondo/ l’universo che ci insegue/ ma ormai siamo irraggiungibili». Con i nostri migliori auguri.

Un po’ di gloria pure per una meteora: il fiorentino Alessandro Canino che, nel ’92, in gara per la categoria Nuove proposte porta all’Ariston la canzoncina «Brutta», nel senso del titolo. Brano adolescenziale: sia perché parla alle teenager, sia perché tratta di teenager che nella fatidica età del ginnasio crescono, cambiano e non si piacciono. Chi c’era si ricorda il brano, ma farà una certa fatica a focalizzare l’interprete. Un caso da manuale nel genere tormentoni sanremesi. 

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