da: Il Sole 24 Ore
Da
«Volare» a «Sincerità», mezzo secolo di tormentoni da Sanremo
di Francesco Prisco
Lo abbiamo capito:
quest’anno vogliono farci assistere a uno spettacolo diverso. Alta la qualità
degli artisti selezionati (garantisce l’ex Pfm Mauro Pagani), nuova la formula
della competizione con due pezzi in gara per concorrente e zero eliminazioni, così
nessuno ci rimane male (fin qui chi ha protestato per l’esclusione, in alcuni
casi, è stato blandito con un posto da ospite).
È la «missione» di
fra’ Fabio Fazio, lo sappiamo. Ma siamo sicuri che il festival di Sanremo ai
nastri di partenza saprà fare a meno del suo tradizionale «piatto forte»?
Stiamo parlando del tormentone, l’amata-odiata canzonetta orecchiabile che ti
si ficca in testa e non va più via, a meno che non ci si sottoponga a una
traumatica cura Ludovico. Dall’edizione del 1951 a oggi ne abbiamo fatto
indigestione. Ce ne sono di orrendi, di insopportabili, di dignitosi, qualcuno
è diventato addirittura leggenda. Ve ne regaliamo dieci: che vi servano come
amuleto per difendervi dal buonismo faziano.
Di sicuro il più
nobile tra i tormentoni, quello che nel 1958 sancì la vittoria di Domenico
Modugno e il vero inizio della leggenda sanremese. Testo scritto a quattro mani
con un ancora giovane Franco Migliacci, musica a firma della grande voce di
Polignano a Mare. Partenza sospesa con qualche concessione
al virtuosismo,
ritornello costruito intorno a quell’«o-o-o-oh» che strizza l’occhio pure agli
ascoltatori più frigidi. Quando l’ex Beatle George Harrison, negli anni
Ottanta, arrivò come ospite del Festival, si sentì chiedere da un giornalista
quali canzoni italiane conoscesse. Rispose: «Solo Volare».
Altra prova del
fatto che tormentone non deve per forza far rima con polpettone: nell’edizione
del ’61 Mina si presenta in concorso con questa canzoncina frizzante, scritta
dalla coppia Vito Pallavicini-Carlo Alberto Rossi. L’effetto sorpresa che ti
cattura sta nel suono onomatopeico che la Tigre di Cremona intona nel
ritornello. Brano secondo la critica destinato alla vittoria finale sin dalla
prima esecuzione, finirà quinto in classifica. Non è un caso se la Nostra da
allora non vorrà più mettere piede in Riviera.
Qualche volta (anzi
spesso) i tormentoni vincono. Accadde nell’edizione del ’77 con la ballad
zuccherosa «Bella da morire» eseguita dagli Homo Sapiens, band il cui nome
prometteva suggestioni progressive tanto in voga nel più glorioso decennio del
rock italiano. Promessa non mantenuta: quello del complesso era un pop
cantautorale facile facile pensato per i primi appuntamenti galanti con la macchina
presa in prestito da papà. Ma «Bella da morire» è stata soprattutto un must per
le feste delle medie.
In alcuni casi gli
interpreti dei tormentoni sanremesi bruciano in fretta, in altri si
costruiscono carriere che, alla prima nota intonata sul palco dell’Ariston, in
pochi avrebbero ipotizzato. Laura Pausini esplode nel ’93 grazie a «La
solitudine», psicodramma adolescenziale di una lei che perde il lui causa
trasferimento di domicilio e, dopo essersi a lungo tormentata sul giro di do
della strofa e nei dubbi del ritornello, esplode tutta la propria disperazione
nell’acuto del «Ti prego aspettami/ amore mio». Mentre si dispera, la ragazza
vince nella categoria Giovani e si impone, grazie alla versione tradotta, in
mezza Europa. Senza dubbio uno dei pezzi di maggior successo commerciale della
nostra musica leggera.
In un’ideale
selezione dei tormentoni sanremesi non può mancare almeno un brano di due
specialisti del genere: il duo composto dal soul singer americano Wess e Dori
Ghezzi, particolarmente in voga negli anni Settanta. Al Festival del ’76
arrivarono secondi con «Come stai? Con chi sei?», brano che – con quella struttura
che alternava strofa a e ritornello – non era certo un capolavoro
d’innovazione. Il valore aggiunto era dato proprio dal refrain semplice e
insistente in quanto a musica. Il tema amoroso del testo faceva il resto.
Il brano che nel
2009 porta la lucana Rosalba Pippa, in arte Arisa, a trionfare nella categoria
Giovani è forse l’ultimo tormentone di qualità della storia di Sanremo. Non
certo per la struttura armonica, ennesima rilettura del giro di do, neanche per
l’originalità del tema. Anzi: a dirla tutta, all’epoca insospettiva una certa
somiglianza con il jingle anni Settanta della Coca Cola. A catturare era
piuttosto l’attitudine di Arisa: quel discettare di un amore «che punti
all’eternità» dietro a un look alla Franca Valeri, giocando con una melodia da
bubblegum song. Trionfo dell’immaginario anni Cinquanta. Bisogna ammetterlo:
c’era un certo gusto in tutto ciò.
Brano che potrebbe
concorrere per la palma di tormentone sanremese più insopportabile della
storia. Le sorelline milanesi Pala e Chiara nel ’97 vincono nella categoria
delle Nuove proposte con questa ballata acustica dalla melodia elementare,
sottolineata nel ritornello da un po’ di cornamuse campionate giusto per fare
esotico. Sono in due, ma sono in troppe: nel loro cantato non c’è uno straccio
di armonia vocale. Pure l’esecuzione è approssimativa. Quanto al testo, siamo
alle solite meditazioni adolescenziali sull’amore che finisce. In barba a tutto
quanto, fu il solito successone di vendite.
Forse il titolo non
vi dice niente. Forse ve la ricordate come «Trottolino amoroso», improbabile
epiteto che i due cantanti si indirizzano nel testo. Forse non sarà il
tormentone sanremese più brutto di tutti i tempi ma il brano, arrivato terzo
nell’edizione del ’90, stravince di sicuro per l’originalità delle liriche:
«Magari ti chiamerò:/ trottolino amoroso duddù daddà dà./ Il tuo nome sarà/ il
nome di ogni città. Di un gattino annaffiato/ che miagolerà». Sapete com’è: il
coautore è un certo Pasquale Panella che ha sempre saputo di essere un padre
nobile dell’italico cantautorato, di quelli che certe licenze se le prendono
quando vogliono. Alla faccia di noi maligni, «Vattene amore» fu il singolo più
venduto di Sanremo ’90.
L’apoteosi degli
«Amici» di Maria De Filippi. Valerio Scanu, a Sanremo 2010, canta un pezzo di
Pierdavide Carone, duetta con Alessandra Amoroso, diretto dal maestro Beppe
Vessicchio. E arriva primo. Il brano è un poppettino mieloso che resta
indigesto a tutti i non appassionati del genere. Probabilmente resterà nella
storia della canzone italiana per il ritornello in cui un lui auspica a una lei
di «far l’amore in tutti i modi/ in tutti i luoghi/ in tutti i laghi/ in tutto
il mondo/ l’universo che ci insegue/ ma ormai siamo irraggiungibili». Con i
nostri migliori auguri.
Un po’ di gloria
pure per una meteora: il fiorentino Alessandro Canino che, nel ’92, in gara per
la categoria Nuove proposte porta all’Ariston la canzoncina «Brutta», nel senso
del titolo. Brano adolescenziale: sia perché parla alle teenager, sia perché
tratta di teenager che nella fatidica età del ginnasio crescono, cambiano e non
si piacciono. Chi c’era si ricorda il brano, ma farà una certa fatica a
focalizzare l’interprete. Un caso da manuale nel genere tormentoni sanremesi.
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