martedì 2 ottobre 2012

L’Agenda Monti e la….”Smemoranda” degli altri…


da: La Stampa

Chi si nasconde dietro l’agenda monti
di Luca Ricolfi

Mi capita raramente di pensarla come Alfano o come Bersani, ma questa volta ho l’impressione che un po’ di ragione ce l’abbiano.  

Ai segretari dei due maggiori partiti italiani non è piaciuta l’uscita di Monti, che l’altro ieri si è detto disponibile – se molto pregato – a riaccomodarsi sulla sedia di Palazzo Chigi dopo le elezioni politiche.  

Certo, in pubblico Bersani e Alfano parlano in modo cortese e politicamente forbito, ma la sostanza del loro discorso è chiara, e anche parecchio ruvida: «Caro Monti, grazie del lavoro svolto fin qui, ma se vuoi fare il presidente del Consiglio anche dopo le elezioni del 2013, allora devi chiederlo esplicitamente agli elettori, o facendo un partito tuo, o facendoti candidare da un partito altrui». Insomma, una sorta di «è la democrazia, bellezza!», rivolto al Presidente del Consiglio. 

Naturalmente capisco che il cattivo umore di Alfano e Bersani (ma anche di Renzi) sia dettato, più che dal loro amore per la democrazia, dalla preoccupazione di combattere una battaglia politica inutile.  

E’ c ome se pensassero: prima ci scanniamo per decidere i nostri candidati leader (Bersani o Renzi? Alfano o Berlusconi? ), poi facciamo una campagna elettorale
massacrante, infine si va alle urne, uno di noi prende più voti dell’altro, e che cosa succede ? che chi se ne è stato comodamente a bordo campo viene «chiamato» una seconda volta a salvare la Patria! Capisco anche che chi non ama Bersani e Alfano potrebbe apostrofarli a sua volta così: ma come? con i vostri pastrocchi sulla legge elettorale state facendo di tutto perché non ci sia un vero vincitore, e poi vi lamentate che qualcuno si ponga fin da ora il problema di gestire un Parlamento balcanizzato, in cui non ci saranno maggioranze politiche omogenee?  

E tuttavia c’è anche qualcosa di ragionevole nella preoccupazione dei leader Pd e Pdl per il gran parlare che si sta facendo di Monti-bis. Il continuo richiamo a un Monti-bis è anche un indizio, un segno, di una serie di patologie del nostro sistema politico. E’ patologico, ad esempio, che nella seconda Repubblica le elezioni politiche non siano mai state vinte da un vero politico, ma sempre da un messia, esterno al sistema dei partiti: 3 volte da Berlusconi, 2 volte da Prodi. La destra non ha mai avuto il coraggio di candidare un politico puro, come Fini, Casini o Bossi. La sinistra ci ha provato per 3 volte e invariabilmente ha perso: con Occhetto nel 1994, con Rutelli nel 2001, con Veltroni nel 2008.  

E’ patologico che, pur avendo capito che una figura alta come quella del professor Monti riscuote un notevole (e meritato) consenso, nessun partito – nemmeno quelli che fermamente vogliono un Monti-bis (Udc e Fli) – sia in grado di presentare un proprio candidato con un profilo e una credibilità comparabili. Non è strano? Se Monti non fosse solo un marchio per acchiappare voti, un partito che volesse realizzare l’agenda Monti la spiegherebbe dettagliatamente al Paese e, stante il rifiuto di Monti di candidarsi, presenterebbe un altro candidato, tecnico o politico, in grado di attuarla. O l’agenda Monti è come la «cura Di Bella» contro il cancro, che a quanto pare funzionava solo se era lui a occuparsi del malato? 

Ma il segnale più patologico è ancora un altro. Osserviamo chi, finora, ha sottoscritto l’agenda Monti. Se ci pensiamo un attimo, ci rendiamo subito conto che c’è qualcosa che non va. Monti piace a Udc e Fli, due partiti radicati soprattutto al Sud, che finora – di fatto – hanno difeso una concezione assistenziale della spesa pubblica e osteggiato in tutti i modi il federalismo, ossia l’unica proposta che ha tentato di scalfire questo male italiano. Ma Monti piace anche alla nascente lista di Oscar Giannino (Fermare il declino), imbottita di pensatori liberal-liberisti, che hanno idee perfettamente speculari a quelle dei cattolici in politica: tagli draconiani alla spesa pubblica, riduzione delle tasse sui produttori per rilanciare la crescita. E per finire Monti piace anche a Montezemolo, ma in un modo che lascia di stucco. Con un capolavoro dialettico il leader di Italia Futura (un’altra lista che sarà in qualche forma presente alle prossime elezioni) afferma di auspicare un Monti-bis, ma al tempo stesso ne prende le distanze. Per chi non ci credesse, cito dall’intervista di domenica al Corriere della Sera: «La crescita è il grande tema della prossima legislatura. Con molta franchezza, è su questo tema che dall’attuale governo sono venute le maggiori delusioni. Si è data l’impressione di perdersi in mille rivoli e annunci mirabolanti, mentre occorreva una visione netta e pochi obiettivi chiari».  

Ecco perché dicevo, all’inizio, che Alfano e Bersani un po’ li capisco. Il richiamo a una fantomatica agenda Monti, a mio parere, non è una mossa di un gioco politico leale. Se l’agenda Monti è sottoscritta da Casini, da Fini, da Montezemolo e persino da Oscar Giannino, vuol dire che una tale agenda non esiste, o tutt’al più coincide con l’impegno a non sfasciare un’altra volta i conti pubblici (il cosiddetto rigore). Tutto il resto, ed è proprio questo «resto» che fa la differenza fra un progetto politico e l’altro, non sta nell’agenda Monti ma nei modi in cui ogni forza politica intende andare oltre il governo Monti.  

Anziché dichiararsi sostenitori, eredi o ammiratori di Monti, sarebbe più utile che i suoi fan si decidessero a dire con precisione qual è la loro agenda, chi propongono come prossimo presidente del Consiglio, e quali cose condividono e quali no fra le molte che questo governo ha fatto, o ha omesso di fare. Se questa operazione venisse condotta esplicitamente, la competizione elettorale diventerebbe più equa e trasparente, e meglio ci renderemmo conto che il prestigio di Monti, più che nel sostegno a un programma politico ben definito, ha le sue radici in un fatto stilistico, per non dire estetico. Quella metà degli italiani che sta dalla parte di Monti, e forse accetterebbe pure un Monti-bis, di questo governo ha apprezzato soprattutto serietà, competenza, sobrietà, senso delle istituzioni, tutte cose che in politica dovrebbero essere normali e anzi obbligatorie, ma di cui purtroppo da molti anni si era persa ogni traccia. Scambiare tutto questo per un programma vero e proprio, per un’agenda programmatica, è un salto logico che non aiuta a fare chiarezza. 

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