da: La Stampa
Chi si nasconde dietro l’agenda monti
di Luca
Ricolfi
Mi
capita raramente di pensarla come Alfano o come Bersani, ma questa volta ho
l’impressione che un po’ di ragione ce l’abbiano.
Ai
segretari dei due maggiori partiti italiani non è piaciuta l’uscita di Monti,
che l’altro ieri si è detto disponibile – se molto pregato – a riaccomodarsi
sulla sedia di Palazzo Chigi dopo le elezioni politiche.
Certo,
in pubblico Bersani e Alfano parlano in modo cortese e politicamente forbito,
ma la sostanza del loro discorso è chiara, e anche parecchio ruvida: «Caro
Monti, grazie del lavoro svolto fin qui, ma se vuoi fare il presidente del
Consiglio anche dopo le elezioni del 2013, allora devi chiederlo esplicitamente
agli elettori, o facendo un partito tuo, o facendoti candidare da un partito
altrui». Insomma, una sorta di «è la democrazia, bellezza!», rivolto al
Presidente del Consiglio.
Naturalmente
capisco che il cattivo umore di Alfano e Bersani (ma anche di Renzi) sia
dettato, più che dal loro amore per la democrazia, dalla preoccupazione di
combattere una battaglia politica inutile.
E’
c ome se pensassero: prima ci scanniamo per decidere i nostri candidati leader
(Bersani o Renzi? Alfano o Berlusconi? ), poi facciamo una campagna elettorale
massacrante, infine si va alle urne, uno di noi prende più voti dell’altro, e
che cosa succede ? che chi se ne è stato comodamente a bordo campo viene
«chiamato» una seconda volta a salvare la Patria! Capisco anche che chi non ama
Bersani e Alfano potrebbe apostrofarli a sua volta così: ma come? con i vostri
pastrocchi sulla legge elettorale state facendo di tutto perché non ci sia un
vero vincitore, e poi vi lamentate che qualcuno si ponga fin da ora il problema
di gestire un Parlamento balcanizzato, in cui non ci saranno maggioranze
politiche omogenee?
E
tuttavia c’è anche qualcosa di ragionevole nella preoccupazione dei leader Pd e
Pdl per il gran parlare che si sta facendo di Monti-bis. Il continuo richiamo a
un Monti-bis è anche un indizio, un segno, di una serie di patologie del nostro
sistema politico. E’ patologico, ad esempio, che nella seconda Repubblica le
elezioni politiche non siano mai state vinte da un vero politico, ma sempre da
un messia, esterno al sistema dei partiti: 3 volte da Berlusconi, 2 volte da
Prodi. La destra non ha mai avuto il coraggio di candidare un politico puro,
come Fini, Casini o Bossi. La sinistra ci ha provato per 3 volte e
invariabilmente ha perso: con Occhetto nel 1994, con Rutelli nel 2001, con
Veltroni nel 2008.
E’
patologico che, pur avendo capito che una figura alta come quella del professor
Monti riscuote un notevole (e meritato) consenso, nessun partito – nemmeno
quelli che fermamente vogliono un Monti-bis (Udc e Fli) – sia in grado di
presentare un proprio candidato con un profilo e una credibilità comparabili.
Non è strano? Se Monti non fosse solo un marchio per acchiappare voti, un
partito che volesse realizzare l’agenda Monti la spiegherebbe dettagliatamente
al Paese e, stante il rifiuto di Monti di candidarsi, presenterebbe un altro
candidato, tecnico o politico, in grado di attuarla. O l’agenda Monti è come la
«cura Di Bella» contro il cancro, che a quanto pare funzionava solo se era lui
a occuparsi del malato?
Ma
il segnale più patologico è ancora un altro. Osserviamo chi, finora, ha
sottoscritto l’agenda Monti. Se ci pensiamo un attimo, ci rendiamo subito conto
che c’è qualcosa che non va. Monti piace a Udc e Fli, due partiti radicati
soprattutto al Sud, che finora – di fatto – hanno difeso una concezione
assistenziale della spesa pubblica e osteggiato in tutti i modi il federalismo,
ossia l’unica proposta che ha tentato di scalfire questo male italiano. Ma
Monti piace anche alla nascente lista di Oscar Giannino (Fermare il declino),
imbottita di pensatori liberal-liberisti, che hanno idee perfettamente
speculari a quelle dei cattolici in politica: tagli draconiani alla spesa
pubblica, riduzione delle tasse sui produttori per rilanciare la crescita. E
per finire Monti piace anche a Montezemolo, ma in un modo che lascia di stucco.
Con un capolavoro dialettico il leader di Italia Futura (un’altra lista che
sarà in qualche forma presente alle prossime elezioni) afferma di auspicare un
Monti-bis, ma al tempo stesso ne prende le distanze. Per chi non ci credesse,
cito dall’intervista di domenica al Corriere della Sera: «La crescita è il
grande tema della prossima legislatura. Con molta franchezza, è su questo tema
che dall’attuale governo sono venute le maggiori delusioni. Si è data
l’impressione di perdersi in mille rivoli e annunci mirabolanti, mentre occorreva
una visione netta e pochi obiettivi chiari».
Ecco
perché dicevo, all’inizio, che Alfano e Bersani un po’ li capisco. Il richiamo
a una fantomatica agenda Monti, a mio parere, non è una mossa di un gioco
politico leale. Se l’agenda Monti è sottoscritta da Casini, da Fini, da
Montezemolo e persino da Oscar Giannino, vuol dire che una tale agenda non
esiste, o tutt’al più coincide con l’impegno a non sfasciare un’altra volta i
conti pubblici (il cosiddetto rigore). Tutto il resto, ed è proprio questo «resto»
che fa la differenza fra un progetto politico e l’altro, non sta nell’agenda
Monti ma nei modi in cui ogni forza politica intende andare oltre il governo
Monti.
Anziché
dichiararsi sostenitori, eredi o ammiratori di Monti, sarebbe più utile che i
suoi fan si decidessero a dire con precisione qual è la loro agenda, chi
propongono come prossimo presidente del Consiglio, e quali cose condividono e
quali no fra le molte che questo governo ha fatto, o ha omesso di fare. Se
questa operazione venisse condotta esplicitamente, la competizione elettorale
diventerebbe più equa e trasparente, e meglio ci renderemmo conto che il
prestigio di Monti, più che nel sostegno a un programma politico ben definito,
ha le sue radici in un fatto stilistico, per non dire estetico. Quella metà
degli italiani che sta dalla parte di Monti, e forse accetterebbe pure un
Monti-bis, di questo governo ha apprezzato soprattutto serietà, competenza,
sobrietà, senso delle istituzioni, tutte cose che in politica dovrebbero essere
normali e anzi obbligatorie, ma di cui purtroppo da molti anni si era persa
ogni traccia. Scambiare tutto questo per un programma vero e proprio, per
un’agenda programmatica, è un salto logico che non aiuta a fare
chiarezza.
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