da: Il Fatto Quotidiano
In un romanzo di Gianni Rodari, il
centenario barone Lamberto pagava la servitù per ripetere il suo nome tutto il
giorno, perché da questo traeva vigore, ringiovaniva, addirittura resuscitava.
Il premier Matteo Renzi ci costringe a
commentare quotidianamente gli “80 euro in busta paga”,
come se bastasse questo per farli apparire nel cedolino mensile, per spazzare
via il clima cupo da crisi e magari far prendere qualche voto in più al Pd alle
Europee. Ieri il governo ha presentato il
Documento di economia e finanza che fissa i conti pubblici su cui lavorare.
E Renzi, a beneficio dei tg della sera, ha scandito: “Gli italiani avranno la
quattordicesima grazie a noi”. A forza di sentirlo, qualcuno potrebbe pensare
che il governo abbia già approvato tutti i provvedimenti necessari, che si
debba solo attendere maggio per ricevere i soldi. Non è così.
Le coperture sulla carta ci sono. Ma
trovare 4,5 miliardi tagliando sprechi non è facile, specie se chi vive di
quegli sprechi protesta e vota. Privatizzare per 12 miliardi in otto mesi è
arduo, se si vuole vendere e non svendere. Oltre 2 miliardi derivano da
un’altra misura incerta, il pagamento dei debiti arretrati della Pubblica
amministrazione. Certo, si può sempre spendere un po’ in deficit, visto che nei
numeri di ieri l’Italia resta ampiamente sotto il tetto del 3 per
cento.
Ma Renzi si espone a due rischi: il primo è
che il mantra degli “80 euro” gli si ritorca contro a settembre, quando nella
legge di stabilità emergeranno i buchi nelle coperture che l’entusiasmo di oggi
consente di ignorare. E che gli elettori rivivano la farsa dell’Imu, rinata
come Tasi. Secondo rischio: che anche con 80 euro in più in tasca i milioni di
italiani a basso reddito si accorgano che continuiamo a crescere come la Grecia,
che i tagli simbolici alla casta non spingono il Pil, che il bonus
elettorale non basta. A promettere miracoli si rischia che qualcuno ci creda
davvero.
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