mercoledì 2 aprile 2014

Carlo Maria Martini e Georg Sporschill: Conversazioni notturne da Gerusalemme / 2



Questa liberalità vale anche per il tema Chiesa e omosessualità?
Nel rispondere a questa domanda, conceda anche a me la riservatezza e la discrezione che a mia volta chiedo alla Chiesa in tema di sessualità. Nella mia cerchia di conoscenze vi sono coppie omosessuali, persone stimate e altruiste. Non mi è mai stato chiesto, né mai mi sarebbe venuto in mente, di giudicarle. La questione è come possiamo affrontare questo argomento. Mi riesce più facile trovare un modo quando conosco qualcuno di persona e non devo difendere tesi generali.
La Bibbia condanna l’omosessualità con parole forti. A motivarle era la problematica prassi dell’antichità, quando gli uomini avevano, accanto alla famiglia, amanti di sesso maschile, a volte anche ragazzi. Un famoso esempio è Alessandro Magno. La Bibbia vuole invece tutelare la famiglia, la donna e lo spazio per i figli. Nella Chiesa ortodossa l’omosessualità è considerata un orrore. Nella Chiesa evangelica i rapporti sono molto più aperti. Esistono coppie omosessuali anche tra i pastori, sono autorizzate ad esercitare le loro funzioni, purché non pubblicizzino questo modo di vivere. Sappiamo che l’argomento ha
messo a dura prova la Chiesa anglicana. Nell’ebraismo gli ortodossi vietano severamente l’omosessualità, ma nell’ebraismo riformato esistono apposite sinagoghe per gli omosessuali.
In questa pluralità cerchiamo la nostra strada. La preoccupazione principale delle Sacre Scritture è la tutela della famiglia e uno spazio sano per i figli, che in ogni caso vengono dalle coppie eterosessuali. Di conseguenza io propendo per una gerarchia di valori e non, in linea di principio, per una parità di diritti. Ho già detto più di quanto non avrei dovuto. Percorriamo insieme e con prudenza cammini che si differenziano. Ma non dobbiamo farci la guerra a causa di questi percorsi diversi. Ho già citato i limiti trattati dalla Bibbia.
Nel rapporto con l’omosessualità, tuttavia, nella Chiesa dobbiamo rimproverarci di essere spesso stati insensibili. Penso a un giovane che si sforzava di comprendere il proprio orientamento sessuale. Era in grande difficoltà. Non poteva parlarne con nessuno perché si vergognava. Sentiva che se avesse confessato le sue tendenze omosessuali, sarebbe stato emarginato. Questo giovane si è ammalato perché non lo abbiamo aiutato. Le depressioni lo hanno condotto da uno psichiatra, dal quale ha trovato un orecchio pronto ad ascoltarlo e un incoraggiamento.

Che insegnamento deve trarne la Chiesa?
La Chiesa deve lavorare a una nuova cultura della sessualità e della relazione. Deve farlo anche per contribuire a risolvere un problema fondamentale: nei paesi occidentali un matrimonio su due o su tre termina con il divorzio. La sofferenza che ne deriva è incommensurabile. Non dovremmo accusarne singoli individui. Possiamo e dobbiamo, tuttavia, sviluppare una nuova cultura che favorisca la tenerezza e la fedeltà. Soltanto in un mondo di questo genere i bambini potranno essere se stessi e crescere felici.
Questa cultura comprende anche la critica alla commercializzazione della sessualità che, dalla pubblicità al porno, entra in ogni salotto. E’ una minaccia al mistero dell’amore, le relazioni perdono il loro slancio. Un tempo parlavamo di profondo rispetto nel rapporto con gli altri e con il proprio corpo. Nella formazione durante il noviziato sentivamo molto parlare del profondo rispetto come virtù generale, che comprendeva le relazioni umane, la discrezione e la riservatezza. Questa parola può sembrare fuori moda, ma oggi assume una nuova e cruciale attualità. Il profondo rispetto tocca anche la sessualità e riguarda proprio la dignità dell’essere umano. Tengo molto ad aggiungere questa provocazione invitando alla riflessione.  

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