da: Il Fatto Quotidiano
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha emesso oggi
una sentenza destinata ad avere notevoli impatti anche
in Italia nel mondo del diritto d’autore.
La Corte in breve ha stabilito che
l’importo del prelievo dovuto per la realizzazione di copie private di un’opera
protetta non può tener conto delle riproduzioni illegali.
Una provvedimento che, si pensa, inciderà
in Italia anche sui costi degli smartphone, sui tablet e, più in generale su
tutti gli strumenti che i consumatori utilizzano nel mondo digitale.
La sentenza ha ad oggetto il pagamento
della cosiddetta copia privata.
La copia privata è il compenso che si
applica, tramite una royalty sui supporti vergini fonografici o audiovisivi in
cambio della possibilità di effettuare registrazioni di opere protette dal
diritto d’autore.
La legge affida alla Siae il compito di
riscuotere il compenso per copia privata e di ripartirlo ai beneficiari indicati
dalla legge stessa, eventualmente anche tramite le loro associazioni di
categoria.
Per lo svolgimento di questo compito, la
legge attribuisce alla Siae anche poteri
di vigilanza su tutte le attività
connesse con la fabbricazione, l’importazione e la distribuzione in territorio
italiano di apparecchi di registrazione e di supporti vergini, nonché su tutte
le attività di duplicazione e distribuzione di supporti pre-registrati.
In Italia un Decreto ministeriale del 2009,
emanato dall’allora ministro Bondi, ha determinato l’entità del compenso, ma da
qualche mese a questa parte su impulso principale della Siae, la misura del
compenso potrebbe aumentare a dismisura.
Si parla di aumenti anche del 500% a carico
dei produttori di devices.
Il tema ha già dato luogo ad aspri
dibattiti poiché l’aumento potrebbe poi determinare
una forte rincaro dei prezzi di smartphone e devices vari, generando ricadute
negative sul potere d’acquisto dei consumatori.
Il fatto che non esista alcuna misura
tecnologica applicabile per contrastare la realizzazione di copie private
illegali non rimette in discussione tale constatazione.
Va detto innanzitutto che la Corte di
Giustizia ha stabilito definitivamente che nella determinazione delle tariffe
dell’equo compenso non è possibile tenere conto anche delle attività di copia
c.d. “illegale” o comunque non realizzate a partire da una copia dell’opera
legittimamente acquisita.
La precisazione è importante perché
consente di uscire dall’equivoco ingenerato dall’applicazione delle norme
comunitarie e nazionali secondo la quale la norma non si può applicare a
mo’ di compensazione dei titolari del diritto d’autore per il downloading
non autorizzato da internet.
Al contrario l’istituto dell’equo compenso
è stato introdotto ai tempi delle musicassette, per consentire ai consumatori di
effettuare copie dei propri dischi, legittimamente acquisiti, su cassetta,
compensando al tempo stesso gli autori per la parziale perdita della propria
esclusiva.
In Italia il ministro dei Beni Culturali Dario
Franceschini, a cui vanno i migliori auguri per la guarigione dall’evento
patologico occorsogli di recente, che, appena arrivato come ministro, ha già
salutato con favore l’ingresso del Regolamento sul diritto d’autore impugnato dalle Associazioni di
Consumatori, ha dichiarato di recente, a proposito
dell’equo compenso: “Lo aggiornerò a costo di fischi”.
La sentenza Europea in verità, chiarendo
l’ambito di applicazione della copia privata, dovrebbe diminuire l’entità del
compenso e non aumentarlo.
Trattandosi di un tema che impatta
profondamente con la propensione all’acquisto di devices digitali e, in
definitiva, con la stessa circolazione della cultura in ambito
tecnologico si spera solo che Franceschini, faccia tesoro delle
indicazioni della Corte di Giustizia, ed eviti cosi insieme ai fischi
di prendere i classici “fiaschi”.
Nessun commento:
Posta un commento