da: la Repubblica
"Roma
città aperta" nelle sale. Il figlio: "Senza teatri né pellicola, così
nacque il neorealismo"
Lunedì
31 marzo esce in 70 sale la versione restaurata del capolavoro di Roberto
Rossellini, a quasi settant'anni dalla sua realizzazione. Il figlio Renzo:
"Il nuovo stile di linguaggio venne dall'impossibilità di girare nei
teatri e dalla pellicola che mio padre riuscì a trovare che imponeva un certo
tipo di riprese"
La corsa di Anna Magnani, un braccio
alzato, la voce che grida "Francesco, Francesco" e il corpo che cade
sotto i colpi dei fucili nazisti sotto gli occhi del figlio è una delle più
forti e strazianti sequenze del neorealismo e di tutto il cinema italiano. Roma
città aperta, il capolavoro di Roberto Rossellini, girato tra il febbraio e
il settembre del 1945, ritorna in 70 cinema a partire da lunedì in versione
restaurata dalla Cineteca di Bologna con l'Istituto Luce e la Cineteca
Nazionale. Un'occasione imperdibile per vedere o rivedere un film che ha
segnato profondamente la storia del cinema rivoluzionandone completamente il
linguaggio. Oggi le tragiche vicende della popolana Pina (Anna Magnani) e di
Don Pietro (Aldo Fabrizi, ispirato alle vere figure di Don Pappagallo e Don Morosini)
tornano sul grande schermo in alta risoluzione grazie ad un lavoro sulla
pellicola originale che fino al 2004 si considerava perduta e che invece è
stata ritrovata negli archivi della Cineteca Nazionale.
Ne abbiamo parlato con Renzo Rossellini, il
primogenito del regista, di cui è stato assistente e produttore. Ora sta
lavorando ad un documentario che uscirà nell'ottobre del 2015, in occasione dei
70 anni del film, che attraverso interviste e materiali spesso inediti
provenienti dall'archivio del padre, racconta la genesi di Roma città aperta.
Ad
un ragazzo che deve scegliere fra andare a vedere "Captain America" o
il film di suo padre che cosa dice?
"Dico che vale la pena vedere il film
di mio padre perché è come assistere ad una magia: restaurare un film è farlo
tornare in vita e in questo caso restaurare un suo film è anche un po'
resuscitare Roberto Rossellini. Realizzare Roma città aperta è stato un atto
eroico. Fare un film nella Roma dell'inverno del '45 è stato un grande atto di
coraggio. Da un lato c'erano le difficoltà pratiche: reperire la pellicola,
trovare dove girare il film e poi c'erano i problemi di natura politica. I
problemi tecnici hanno fatto sì che mio padre reinventasse il modo di fare
cinema".
Della difficile lavorazione del film suo padre che cosa le ha raccontato?
"Indiscutibilmente ci sono state tante
difficoltà, ma sono anche quelle che hanno fatto Roma città aperta il film che
è. Era nato per essere un film ad episodi e aveva anche un altro titolo Storie
di ieri, poi lo sceneggiatore Sergio Amidei convinse mio padre a mescolare le
cinque storie intrecciandole in un film unico. Fino ad allora i film si
giravano nei teatri di posa che però in quel momento erano occupati dagli
sfollati e per questo il film si girò nelle strade con grande stupore dei
passanti che li guardavano come si fa con gli animali da circo. E poi c'era il
problema della pellicola, mio padre utilizzò della pellicola di scarto, rimasta
ai fotografi che fotografavano le truppe di liberazione davanti al Colosseo.
Questo tipo di pellicola finì per condizionare le riprese e di conseguenza fece
nascere un linguaggio cinematografico nuovo, quello del neorealismo".
Poi ci furono anche problemi politici
Poi ci furono anche problemi politici
"Sì soprattutto con la censura, che
era ancora la censura di epoca fascista. Chiesero di eliminare la scena finale
del film quella in cui Don Pietro viene fucilato non capendo nulla del film e
di cosa stava rappresentando. Il film raccontava la fine eroica di un
partigiano comunista e un parroco antifascista, era un modo che mio padre aveva
pensato per ricucire, a livello simbolico, un paese lacerato dalla guerra
civile. Poi è stato trovato una specie di compromesso trasformando l'ufficiale
che fucilava il parroco da italiano a tedesco".
Alla grandezza del film hanno contribuito sicuramente due interpreti straordinari come Anna Magnani e Aldo Fabrizi. Che tipi erano nella realtà?
Alla grandezza del film hanno contribuito sicuramente due interpreti straordinari come Anna Magnani e Aldo Fabrizi. Che tipi erano nella realtà?
"L'incontro tra la Magnani e mio padre
generò poi un amore che durò degli anni oltre a dar vita ad un personaggio
straordinario, quello della popolana Pina. E Aldo Fabrizi, che io ho avuto modo
di frequentare perché mio padre aveva mantenuto ottimi rapporti, era divertente
come nei ruoli comici cui ci aveva abituato. Anche la Magnani era un'attrice di
varietà, mio padre per entrambi è stato capace di riconoscere un talento e
scommettere sul fatto che fossero capaci di realizzare un film drammatico, cosa
che non avevano mai fatto prima".
Cosa
ci può raccontare del film a cui sta lavorando "Roma città aperta: genesi
di un capolavoro"?
"È un film documentario che ricostruisce la nascita del film attraverso le testimonianze dei protagonisti. Ho ritrovato un'intervista ad una televisione francese di Federico Fellini, che del film è stato sceneneggiatore e un po' aiuto regista, poi dal mio archivio ho i racconti in video di mio padre e di Amidei della lavorazione. Ci sono poi le testimonianze di alcuni spettatori eccellenti, la prima volta che hanno visto il film Martin Scorsese o Ingrid Bergman".
Lei è stato per più di dieci anni assistente alla regia di suo padre e poi ne è stato anche produttore. Che tipo di regista era?
"È un film documentario che ricostruisce la nascita del film attraverso le testimonianze dei protagonisti. Ho ritrovato un'intervista ad una televisione francese di Federico Fellini, che del film è stato sceneneggiatore e un po' aiuto regista, poi dal mio archivio ho i racconti in video di mio padre e di Amidei della lavorazione. Ci sono poi le testimonianze di alcuni spettatori eccellenti, la prima volta che hanno visto il film Martin Scorsese o Ingrid Bergman".
Lei è stato per più di dieci anni assistente alla regia di suo padre e poi ne è stato anche produttore. Che tipo di regista era?
"Era un regista molto docile, lui non
inventava i problemi ma sempre le soluzioni ai problemi. Era facile lavorare
con lui. Pochi mesi prima di morire mi ha scritto una lettera, una sorta di
testamento spirituale in cui mi ha passato il testimone. Io però non me la sono
sentita di portare a termine i suoi progetti incompiuti perché ho capito,
facendo l'aiuto, che non sarei stato un buon regista, non avevo abbastanza
talento".
La lettera inizia così: "ho dedicato tutta la mia esistenza per tentare di fare del Cinema un'arte utile agli uomini". Crede che pensava di esserci riuscito?
"Lui pensava di averci provato tutta
la vita se ci sia riuscito lo dirà la storia. Lui non era completamente
soddisfatto, avrebbe voluto fare molto di più".
Secondo lei oggi ci sono registi che tentano di fare altrettanto, di fare del cinema un'arte utile agli uomini?
"Qualche volta mi sembra di vedere film molto rosselliniani nella cinematografia iraniana. In Italia, no, mi sembra che il nostro cinema sia soprattutto un cinema di evasione, di evasione dalle responsabilità. Mi arrivano tantissimi progetti ma la maggior parte delle sceneggiature che mi arrivano sembra che vengano da Marte, come se non vedessero nulla di ciò che li circonda. Vedo poca rabbia nei film italiani, un pò di rabbia nei confronti di quello che si ha intorno fa sì che un artista riesca ad esprimersi. Ecco vorrei trovare film un po' più arrabbiati".
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