da: Il Fatto Quotidiano
Non tutta la riforma costituzionale targata
Renzi è da buttare. Oltre ai pericoli autoritari e funzionali insiti
nel combinato disposto fra Italicum e Senato di serie B, c’è anche qualcosa di buono: la riforma del Titolo V della Costituzione
per eliminare le follie della
Bassanini del 2001 che – per compiacere la Lega – regalava troppe competenze alle Regioni e creava un’infinità di conflitti
con lo Stato; e soprattutto l’abolizione
dei rimborsi ai gruppi consiliari
(rubati a man bassa da quasi tutti i partiti, come dimostrano le
“Rimborsopoli” che vedono 18 consigli regionali su 20 indagati, perlopiù in
blocco, per le varie Rimborsopoli) e la riduzione delle indennità sotto quella
del sindaco del capoluogo. Il sospetto, però, è che si tratti del solito pacco
dono rutilante e infiocchettato per occultare la sorpresa nascosta all’interno.
Un po’ come la riduzione del numero dei
parlamentari, usata da Lega e centrodestra nel 2006 per coprire i guasti della
Devolution (poi fortunatamente bocciata nel referendum confermativo). In ogni
caso Renzi ha ragione quando dice che abolire i rimborsi ai gruppi regionali
significa “mai più Rimborsopoli”: col suo fiuto da cane da trifola, ha colto
l’impatto devastante dello spettacolo di quelle orde di cavallette intente ad
arraffare a spese dei contribuenti mutande
verdi, libri porno, tinture per
capelli (per un consigliere pelato), chewingum, pecore, Redbull, Suv, salsicce,
mazze da golf, caldaie, caramelle, frigoriferi, gelati, tergicristalli,
campanacci per bovini, corni d’avorio, feste di nozze, gorgonzola, saune, night
club, cenoni di Capodanno, aeroplani di carta, camere d’albergo per amanti,
spazzolini da denti personalizzati con le iniziali, cravatte, salatini,
finimenti per carrozze. Ma questo rende incomprensibile la sua indifferenza ai
sottosegretari inquisiti del suo governo.
Lasciamo pure da parte i casi del ministro
Lupi e del sottosegretario Bubbico, l’uno indagato l’altro imputato per nomine
fuorilegge (abuso d’ufficio): fermo restando che nelle altre democrazie ci si
dimette per molto meno, si tratta di atti amministrativi sulla cui legittimità
decideranno i giudici. Ma gli altri tre
sottosegretari inquisiti, Vito De Filippo, Francesca Barracciu e Umberto Del
Basso De Caro, sono accusati di
peculato per le Rimborsopoli di Basilicata, Sardegna e Campania. De Filippo
per 3 mila euro (che dice di aver speso in francobolli), Barracciu per 33-45
mila (a suo dire per la benzina di viaggi istituzionali da giro del mondo), De
Caro per 11 mila (“attività politiche” mai documentate). Qui i processi servono
a stabilire se la vecchia legge sui rimborsi regionali, ora modificata,
coprisse anche le spese non giustificate, o se invece sia stata violata e
giustifichi le accuse di peculato e in certi casi di truffa alle Regioni. Ma i
fatti sono certi, tant’è che gli indagati non contestano di aver speso quelle
somme: dicono solo che la legge lo consentiva.
Ce n’è abbastanza per affermare che hanno
dilapidato denaro pubblico. Il che, reato o meno, li rende indegni di stare al
governo con “disciplina e onore”. Renzi può farsi raccontare dal suo neoamico
Cameron che ne è stato dei deputati inglesi sorpresi a fare la cresta sulle
note spese: tutti fuori dal Parlamento, qualcuno in galera. Del resto fu lui
stesso a stabilire che la Barracciu non poteva candidarsi a governatore di
Sardegna pur avendo appena vinto le primarie. Salvo poi promuoverla
sottosegretario ai Beni culturali. E che dire di De Caro, sottosegretario alle
Infrastrutture, che sarà presto imputato dopo l’avviso di chiusura indagini? Un
premier serio lo caccerebbe solo per quel che ha detto: “Non rendicontavo le
spese perché la legge non lo prevedeva”. Ma nemmeno una bocciofila rimborsa le
spese ai dipendenti senza scontrini. Poi il sottosegretario lancia un
avvertimento: “Sono il parlamentare più votato alle primarie del Pd”. L’altro è
Francantonio Genovese, quello col mandato di cattura. A questo punto Renzi
dovrebbe decidere una buona volta che cos’è e che cosa dev’essere il Pd.
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