Il grande sciopero esplose. I coltivi
rimasero a mezzo, la frutta maturò sugli alberi e i treni di centoventi vagoni
si fermarono sui binari morti. Gli operai oziosi fecero traboccare i villaggi.
La Strada dei Turchi splendette in un sabato di molti giorni, e nella sala dei
biliardi dell’Hotel di Jacob fu necessario stabilire turni di ventiquattro ore.
Lì si trovava josè Arcadio Secondo il giorno in cui si annunciò che l’esercito
era stato incaricato di ristabilire l’ordine pubblico. Benchè non fosse uomo di
presagi, la notizia fu per lui come un annuncio della morte, che aveva
aspettato fin dal lontano mattino in cui il colonnello Gerineldo Marquez gli
aveva permesso di assistere ad un fucilazione. Tuttavia, il malaugurio non
alterò la sua solennità. Tirò il colpo che aveva previsto e non sbagliò la
carambola. Poco dopo i rulli del tamburino, i latrati della tromba, le grida e
la confusione della gente, gli indicarono non soltanto che la partita a
biliardo ma anche la taciturna e solitaria partita che giocava con se stesso
dal mattino dell’esecuzione erano finalmente terminate. Allora si affacciò in
strada, e li vide. Erano tre reggimenti la cui marcia ritmata da tamburi di
galeotti faceva tremare la terra. Il loro alito di drago multicefalo impegnò di
un vapore pestilenziale il chiarore del mezzogiorno. Erano piccoli, massicci,
bruti. Sudavano con sudore di cavall, e avevano un odore di carnaccia macerata
dal sole, e l’impavidità taciturna e impenetrabile degli uomini dell’altipiano.
Benchè ci mettessero più di un’ora a passare, si sarebbe potuto pensare che
fossero
soltanto poche squadre intente a girare in giro, perchè tutti erano
identici, figli della stessa madre, e tutti sopportavano con uguale stolidità
il peso dei tascapane e delle borracce, e la vergogna dei fucili con le
baionette innestate, e la scoglionatura dell’obbedienza cieca e del senso
dell’onore.
Nessun commento:
Posta un commento