Ma
quale offesa agli ebrei?
L'antisemitismo
è un reato grave e una brutta malattia, ma il post di Grillo non è antisemita
Non
amo Beppe Grillo, non corro il rischio di votarlo nemmeno per sbaglio,
considero demagogiche molte delle sue prese di posizione e inquietanti le
espulsioni ingiustificate di molti dissidenti del M5s, non corro il rischio che
la mia opinione sia viziata da qualsiasi simpatia politica nei suoi confronti.
Ma, premesso questo, credo che l’accusa di antisemitismo che gli è stata
scaraventata addosso ieri, oggi asseverata da articoli di fuoco sui principali
quotidiani italiani, abbia qualcosa di incredibile e persino di grottesco. Ho
letto con attenzione — per esempio — gli editoriali di Gad Lerner su La Repubblica
e di Pierluigi Battista sul Corriere
della Sera, senza trovare il benché minimo appiglio alla
tesi violentissima che sostengono. L’antisemitismo infatti non è un’opinione,
ma un reato. È un sentimento venato di razzismo, di intolleranza, è una
barbarie, è l’affermazione di una volontà persecutoria.
Ovviamente a Beppe
Grillo si possono imputare molte colpe, ma non quella di essersi macchiato di
questa infamia: in passato il comico ligure ha pronunciato delle frasi ambigue,
inopportune, in alcuni caso decisamente sbagliate sul tema, ma l’istigazione
all’odio etnico e razziale sono decisamente un’altra cosa, nulla a che vedere
con il (brutto) post sul suo blog.
Che cosa ha fatto,
dunque, il leader del Movimento 5 stelle? Ha giocato con la parafrasi e con
l’iperbole, secondo l’abitudine più antica dei comici e dei parodisti. Ha preso
il testo di una celebre e bellissima poesia, quell’invettiva con cui Primo Levi
apriva le pagine di Se questo è un uomo («Voi che vivete sicuri/ nelle vostre
tiepide case») e l’ha adattata alla sua invettiva polemistica. Ha preso una
foto del più celebre e terribile cancello della storia dell’umanità — quello di
Auschwitz — e ha composto un fotomontaggio propagandistico («P2 macht
frei») al posto dell’epigrafe originale scolpita dalle Ss, quella secondo cui «Arbeit
macht frei» ovvero il lavoro (ma in realtà lo sterminio) rende liberi. Ha preso
Giorgio Napolitano e lo ha accusato, in questa prosa maldestramente “leviana”
di essere «un vecchio impaurito»: un giudizio strampalato e irriguardoso,
certo, ma che in nulla — proprio in nulla — ha a che fare con l’antisemitismo.
Così come le frasi di un secolo fa su Rita Levi Montalcini,
ora irriverenti («Quella con i capelli di zucchero filato»), ora ingiuriose
(«Quella vecchia puttana») precipitosamente riesumate dagli archivi in queste
ore, avevano a che fare con le discutibili idee di Grillo sulla ricerca contro
il cancro e le prese di posizioni scientifiche (uguali invettive sono piovute sulla testa di Umberto Veronesi), non
certo con l’identità razziale dell’ex premio Nobel. Così come le opinioni su Ahmadinejad attribuite da
Grillo al suocero in una intervista («Lo traducono male») possono essere
considerate approssimazioni da bar o maldestra trasposizione di un lessico
familiare filo-iraniano, ma non certo antisemitismo.
La parafrasi di Se
questo è un uomo, infine, è un’indubbia storpiatura di una delle più belle
poesie civili della letteratura italiana, un crimine contro la lirica, non
certo contro gli ebrei. Non è nemmeno la profanazione di un testo religioso o
di un salmo: se conosco la laicità azionista di Primo Levi posso azzardare
l’ipotesi che non gli sarebbe piaciuta per nulla, ma che non l’avrebbe certo
considerata un esercizio blasfemo. Ancora Lerner evoca un paragone con il
comico francese Dieudonné che non sta né in cielo né in terra: ne abbiamo
scritto in tempi non sospetti su Linkiesta, di
questo fenomeno, denunciandone il carattere palesemente xenofobo. Ma Dieudonné
ha ingiuriato un giornalista ebreo per la sua identità e inventato e
propagandato la "Quenelle", una sorta di saluto nazista rovesciato
che secondo lo stesso comico dovrebbe essere la rappresentazione mimica di un
atto di sodomia da praticare agli ebrei, Grillo — che pure abusa dell’invettiva
appena può — non ha fatto nulla di nemmeno lontanamente paragonabile. Dieudonné
non nega le sue intenzioni, si rifugia nella sottigliezza di dichiararsi
“antisionista". Grillo - invece - prende la memoria e l’immagine della
Shoah e la banalizza con un paragone senza capo e né coda, contaminandola con
un presunto golpe della P2 già realizzato in Italia.
Brutto? Certo.
Inopportuno? Senza dubbio. Ingiustamente offensivo per Matteo Renzi?
Innegabile. Ma con l’antisemitismo, con l’istigazione all’odio etnico e con le
becere e revisionistiche minimizzazioni dell’Olocausto che si imputano oggi al
leader del M5s, tutto questo non ha proprio nulla a che vedere. Così come
l’oscena ingiuria contro Gad Lerner apparsa sul blog del comico e poi
cancellata («Verme ebreo»): era sì uno dei tanti liquami che circolano in rete,
ma in nessun modo può essere attribuito al leader del M5s. Definire antisemita
qualcuno, secondo la mia opinione, significa dargli dell’appestato: io credo
che Grillo ieri abbia recitato un copione di scarsissima qualità, che si sia
dedicato a un esercizio letterario scolastico e dozzinale: ma — perdonatemi —
la memoria della Shoah l’odio razziale e l’apologia dello sterminio sono
davvero un’altra cosa. Altrettanto scellerato che cavalcarli, è solo citarli a
sproposito.
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