martedì 15 aprile 2014

Alberto Statera: “La rottamazione di compromesso”



da: la Repubblica

Le pietanze saporite sono il siluramento di Pietro Scaroni, che dopo tre mandati da ad dell’Eni, ha fatto carte false per essere riconfermato

Non passerà alla storia come Ivan il Terribile che liquidò la casta feudataria boiarda. Ma Matteo Renzi, per la prima volta, ha cominciato a lesionare il sistema troppo spesso tentatore del vero potere, quello che il capitalismo di Stato esercita tra finanza e politica, energia e diplomazia, commesse militari e servizi segreti.

La battaglia sotterranea è stata estenuante, ma i risultati non sono irrilevanti persino per chi pensava che il presidente del Consiglio si potesse rivelare un dilettante allo sbaraglio, accerchiato dall’eterna oligarchia”networked”, legata da fili spesso invisibili tesi in tutte le direzioni. Invece il cambiamento c’è stato, se non con una “rottamazione selvaggia”, almeno con una “rottamazione di compromesso”. Un’ecatombe diciamo “equilibrata”, che ha cercato di salvare i complessi equilibri politici, anche se Forza Italia a questo punto si dichiara imbufalita.

Le pietanze saporite sono il siluramento di Pietro Scaroni, che dopo tre mandati da amministratore delegato dell’Eni ha fatto carte false per essere riconfermato o almeno per trasferirsi alla presidenza, e la nomina di quattro donne nelle quattro principali presidenze: Emma Marcegaglia all’Eni, Patrizia Grieco all’Enel, Luisa Todini alle Poste e Katia Bastioli a Terna. Al “genere” femminile toccano ruoli non operativi, ma meglio di niente ma soprattutto meglio dell’assalto degli ambasciatori Giampiero Massolo e Gianni Castellaneta, che il network berlusconiano di Gianni Letta aveva messo in campo dopo aver visto che le cose si mettevano male. Per la conferma di Paolo Scaroni la potenza di fuoco messa in campo è stata ad alzo zero persino più forte rispetto ai tempi della lottizzazione selvaggia, nel tentativo di abbattere le difese di Renzi. Non solo Berlusconi, Gianni Letta e il solito Bisignani, ma un grande e consolidato pezzo di establishment di tutti i colori. Nel comitato di Spencer Stuart, una delle società incaricate di deliberare le candidature, si era fatto cooptare Gianni Letta, ma c’era pure Enrico, che si dice fosse favorevole a molte riconferme, compresa quella di Scaroni nel ruolo di presidente. La vulgata vuole persino che l’accelerazione del sindaco di Firenze nella scalata a Palazzo Chigi sia stata accelerata proprio dall’imminenza delle nomine. Scaroni non ha esitato a buttarsi in trincea anche in prima persona, con stile meno sobrio rispetto a quello dell’ex presidente dell’Enel Fulvio Conti. Prima con un peana al nuovo presidente del Consiglio: “Quel che mi piace di Renzi – ha vergato – è la sua volontà di agire e agire velocemente, ha impeto, è davvero una persona che vuole riformare il paese”. E Renzi agì. Poi con un’imboscata organizzata da Bruno Vespa, del noto network berlusconiano, che lo ha fatto trovare in trasmissione al presidente del Consiglio. Infine con una raffica di interviste e marchette internazionali: Financial Times, Wall Street Journal, Reuters.
“Mi lasci dire – ha sospirato in un’intervista italiana – che questo feticcio della scadenza per me è incomprensibile. In tutto il mondo i manager non si ricordano neanche quando scadono. La scelta non si fa guardando al primo, al secondo o al quarto mandato”. 

Niente di più falso come certifica proprio il Board Index della Spencer Stuart, che rivela come nel 62 per cento delle principali società mondiali gli amministratori delegati non durano più di 6-10 anni e nel 18 per cento meno di cinque anni. Gli ultra sessantacinquenni come Scaroni sono poi fuori senza eccezioni dai ruoli operativi, anche se non hanno carichi pendenti e sei problemi di onorabilità, come capita al manager vicentino. Ma si sa, in Italia le buone prassi di corporate governance, nel pubblico come nel privato, sono un fastidioso optional. 

Se chiedete a Matteo Renzi vi dirà che sulla scelta del nuovo capoazienda dell’Eni Claudio Descalzi, che vale più di qualunque ministero, ha pesato non solo l’impressione che gli ha fatto la persona, ma anche che il premier del Mozambico gli ha detto che è l’unico italiano di cui conosceva il nome. Se è per questo è anche sposato con una principessa congolese. Ma è una mezza verità perché Descalzi in realtà è stato il più fidato collaboratore di Scaroni per otto anni e il suo nome era l’ultima trincea di arretramento dell’esercito scaroniano. Quale tasso di innovazione sarà possibile con lui? 

Certo quattro donne presidenti con Katia Bastioli a Terna sono un bel trofeo per Renzi, anche se in fondo la pesca è avvenuta sotto l’”effetto Grand Hotel”, cioè la porta girevole che vede transitare i soliti noti o, in questo caso, le solite note: l’ex presidente della Confindustria Emma Marcegaglia, che non ha mai avuto ruoli chiave nell’azienda di famiglia, e l’ex parlamentare Luisa Todini, anche lei di una dinastia imprenditoriale, ma collocata nel consiglio della Rai, alle Poste con Francesco Caio. Francesco Starace operativo all’Enel è invece “discontinuo” rispetto al predecessore, visto che è stato tra i suoi oppositori interni. Alessandro Pansa in Finmeccanica ha pagato la lunga convivenza con Pier Francesco Guarguaglini, mentre il presidente Gianni De Gennaro, confermato, ha goduto dell’appoggio di Giorgio Napolitano. Del resto, non è solo l’Eni, come si è fatto scappare Renzi, intrinseco ai Servizi segreti, ma anche la Finmeccanica che vende armi nel mondo.

Mauro Moretti, infine, lasciando sguarnite per ora le Ferrovie, dovrà cimentarsi piuttosto con la Ansaldo Breda e chissà se riuscirà a spuntare uno stipendio analogo a quello che prendeva. Le presidenti dovranno accontentarsi di 230 mila euro. Gli amministratori maschi chissà. I loro predecessori Scaroni, Conti e Cattaneo hanno incassato tutti insieme in nove anni oltre 100 milioni, quasi la metà dei quali finiti nelle tasche del manager di Vicenza. Ora si potranno consolare con le liquidazioni, chi dice 25, chi – più realisticamente – 45 milioni. Tutto sommato una Buona Pasqua. 

Renzi non avrà creato il migliore dei mondi possibili nell’italico capitalismo di Stato, ma per la prima volta ha tagliato qualche unghia a quei “funzionari privilegiati – come li chiamava Ernesto Rossi – che fanno liberamente nei loro feudi burocratici quel che meglio credono con i quattrini dei contribuenti”.

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