da: la
Repubblica
Di colpo, affascinati,
spaventati e ignoranti come siamo, i più, di bioingegneria, siamo costretti a
chiederci con che sentimenti, con che orientamento morale e con che coraggio
umano accoglieremmo la notizia che la nostra creatura, le nostre creature, non
sono biologicamente nostre, bensì di nostri simili che hanno affrontato la
nostra stessa trafila medica per il desiderio di diventare madri e padri. Le
adozioni ci hanno preparati, ma fino a un certo punto.
Per un padre,
l’orgoglio umanissimo e anche un po’ losco, di vedersi continuato nel proprio
sangue, in qualcuno che gli somigli, e comunque di non esser padre per un
equivoco terribile, sarebbe messo a dura prova. Ma un uomo non ardisce di
figurarsi che cosa voglia dire averla dentro di sé, a diventare parte e prender
possesso del proprio corpo, la nuova creatura figlia d’altri: le due nuove
creature dell’avvenimento romano.
Il film di Hirozaku
Koreeda che ha commosso il pubblico, Father and Son, racconta soprattutto le
due paternità diverse, il come si diventa padri. Come si diventi madri, non
proviamo nemmeno a immaginarlo. Di neonati scambiati in culla sono piene la
mitologia, la letteratura, il cinema, la cronaca e la vita. Nella
vicenda di
Mazara del Vallo (2000), genitori coetanei – e poveri– vollero mettersi alla
prova di una affettuosa convivenza dopo aver scoperto che le loro bambine di
tre anni erano state scambiate, per risarcirle con una sorellanza speciale. Ora
la scelta, se così è, dei genitori romani di accogliere i loro figli gemelli
merita non solo rispetto – rispetto meriterebbe anche un’altra decisione – ma
ammirazione e augurio. E intanto ci si chiede a quale inesplorata casistica
espongano le nuove frontiere della scienza e gli errori di percorso della loro
attuazione. Il diritto dovrà occuparsi delle ipotetiche rivendicazioni dei
titolari originari degli embrioni scambiati? E le coppie reciprocamente
coinvolte si interrogheranno sull’eventualità di “restituirsi” i figli una
volta venuti alla luce? E che cosa rende più figli, oltre che genitori: la
costituzione genetica, o l’essere stati accolti e portati in seno e amati?
Dopo il primo
sbalordimento e sbigottimento, anche, l’avvenimento romano mette alla prova,
certo, l’accuratezza e la responsabilità delle strutture sanitarie, le
procedure, l’informazione trasparente di chi vi ricorre: temi cui siamo, i più,
impreparati, e dobbiamo dunque disporci a un capitolo così delicato
dell’educazione permanente. Alla prova del cuore e dell’intelligenza siamo
invece alla pari. Ho cercato in fretta in rete i precedenti del caso romano: ce
ne sono, naturalmente. A Hong Kong, in un famoso centro per il trattamento
dell’infertilità, «i responsabili della clinica – dice troppo seccamente la
notizia – accortisi dell’errore, hanno provveduto immediatamente all’espianto
degli embrioni, che non sono più stati utilizzati: in altri termini, la donna
ha dovuto abortire». Un caso americano, dell’Ohio, divenuto celebre perché la
signora coinvolta, Carolyn Savage, ha scritto un libro, è così riassunto dalla
protagonista: «Nel febbraio 2009, attraverso il processo denominato
trasferimento dell’embrione congelato, gli embrioni di un’altra coppia sono
stati trasferiti per errore nel mio corpo. Otto mesi dopo ho dato la nascita a
un bambino che abbiamo restituito ai suoi genitori biologici, Shannon e Paul
Morell, pochi minuti dopo il parto». Dice ancora la signora, a nome proprio e
del marito, Sean: «Noi crediamo che la tecnologia della fertilizzazione in
vitro sia un dono di Dio, proprio come la cardiochirurgia, la chemioterapia e
gli antibiotici. Sappiamo anche che la scienza della riproduzione medicalmente
assistita pone questioni etiche che esigono una profonda riflessione. Sono in
molti a condannare i trattamenti disponibili per le coppie infertili perché
sono convinti che “interferiscano con la natura” o “trasgrediscano il ruolo di
Dio nella creazione”. Sean e io dissentiamo pienamente. Quei trattamenti ci
hanno consentito di mettere al mondo nostra figlia, e non abbiamo dubbi che lei
interferirà positivamente con la vita delle persone che incontrerà.
Indipendentemente dall’opinione di ciascuno sulle tecniche riproduttive
assistite, è nel miglior interesse di professionisti e pazienti che i
protocolli garantiscano la sicurezza della paziente; che le comunicazioni
attorno agli embrioni umani siano chiare e concise; e che ci sia trasparenza
completa nelle procedure».
Anche i coniugi
Morell hanno scritto un libro. Meno di due anni dopo aver “restituito” il
piccolo Logan, frutto dello scambio di embrioni, Sean e Carolyn Savage hanno
avuto un nuovo parto, una coppia di gemelle passate attraverso il grembo di una
madre surrogata, Jennifer.
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