venerdì 11 aprile 2014

Siria come il Ruanda: strage ignorata da tutti



da: Lettera 43

Oltre 200 mila morti. Circa 3 milioni di profughi. Ma la comunità internazionale resta immobile. Come già successo in Africa. E Assad torna forte. Anche grazie al sostegno di Iran e Russia.
di Armando Sanguini

Nell’aprile di 20 anni fa si consumava una delle più sanguinose tragedie della storia contemporanea: il massacro di oltre 800 mila tutsi da parte degli hutu in Ruanda.
Allora la comunità internazionale lasciò che questa strage fosse perpetrata. Restò pigra e inerte, malgrado la concreta possibilità di contenerne le dimensioni, se non di evitarla.
Da tre anni a questa parte, di nuovo, la comunità internazionale si manifesta parimenti incapace - indisposta? - ad agire per fermare, o almeno frenare, un altro massacro e una spaventosa slavina di masse in fuga, di distruzione, di odio.
IL MASSACRO IN SIRIA. Il riferimento è alla Siria dove si continua a combattere - e a morire - ogni giorno, ogni ora, anche quando i media internazionali si occupano di altro.

A poco valgono i fattori di allarme che si susseguono: dai drammatici moti di protesta che hanno scosso il campo profughi di Zaatari in Giordania che ospita oltre 120 mila sfollati, agli inquietanti indicatori degli ultimi rapporti dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, secondo cui la cifra ufficiale di 150 mila morti dovrebbe essere portata alla lugubre soglia di oltre 200 mila vittime.
IMMOBILI DAVANTI AL DRAMMA. Che dire poi della massa degli sfollati che a centinaia di migliaia sono fuggiti in Turchia e nel piccolo Libano (qui sono più di 1 milione, di cui la metà bambini)? In totale ci sono 3 milioni di siriani in fuga.
E che dire del fatto che la comunità internazionale a stento sta soddisfacendo solo per un terzo le richieste di fondi per assistenza umanitaria delle Nazioni unite? Magari confondendo questa 'ritrosia' dietro lo schermo delle difficoltà di realizzare qualche importante corridoio umanitario all'interno del Paese, che è problema diverso e comunque non tale da giustificare la negazione di fatto di quei principi e valori di cui l'Occidente si dichiara campione.

Assad è tornato più forte: merito (anche) del dietrofront di Obama

Se così si presenta il versante umanitario, su quello militare si è giunti a una svolta che ha del paradossale con un Bashar al Assad che, dato sul ciglio del baratro fino a non molti mesi fa, ha riassunto il suo tono baldanzoso, ha confermato la sua partecipazione alle prossime elezioni presidenziali e può vantare di aver riguadagnato parti significative del terreno perduto negli scontri.
Merito del robusto sostegno militare ricevuto da Iran e Russia e all'intervento delle milizie Hezbollah, si dirà. Certamente. Ma grazie anche alla rinuncia all’attacco militare del presidente Usa Barack Obama nell’estate del 2013 sacrificato sull'altare dell'Accordo sulla distruzione degli arsenali chimici - ininfluenti rispetto all'andamento del conflitto - offertagli da Vladimir Putin; e, ben prima, grazie pure al mancano sfruttamento da parte degli anti-Assad del momento nel quale sarebbe bastato anche un ben mirato appoggio militare alle forze di opposizione per rovesciare il raìs o almeno a spingerlo a fare un passo indietro.
L'OPPOSIZIONE È DIVISA. Inoltre l'opposizione appare piuttosto frustrata: oltre che divisa al suo interno, è avvelenata dai contrasti, anche militari, con le milizie jihadiste e qaediste, che ormai hanno assunto un ruolo rilevante nella lotta contro Assad, ma hanno agende ben diverse da quella della Coalizione nazionale siriana. E di fatto sono funzionali al regime siriano.
Vien da chiedersi se in queste condizioni sia ancora ipotizzabile una loro capacità-possibilità di recupero qualora occidentali e arabi decidessero di alzare il livello del sostegno militare alle opposizioni 'moderate' con quell'armamento 'letale' che si è negato finora e si è impedito di farlo a chi era disposto a fornirlo (vedi le monarchie del Golfo).
IL PRESSING DI RIAD. Non dimentichiamo la clamorosa rinuncia di Riad al seggio non permanente del Consiglio di sicurezza per protestare contro l’inazione delle Nazioni unite a fronte della tragedia siriana.
Difficile dare una risposta conclusiva al problema, anche se è indubbio che un impegno a loro favore - più consistente e mirato di quello assicurato finora - potrebbe ridare fiducia e slancio alle opposizioni e soprattutto inviare agli sponsor di Assad (Iran e Russia) un utile segnale sul versante di quel tavolo negoziale già abbandonato due volte (2012 e 2014) a Ginevra.

L'Arabia Saudita trova l'intesa con gli Usa sulla lotta al terrorismo
Il re saudita Abdallah nel suo incontro del 28 marzo con Obama offrendogli su un piatto d'argento, tra l'altro, una rinvigorita alleanza in chiave anti-terrorismo - corredata del clamoroso bando della Fratellanza musulmana marchiata quale organizzazione terroristica - ben consapevole della sensibilità in proposito del presidente americano che anche in questi giorni - vedi il colloquio con il premier tunisino Mehdi Jomaa - ha voluto ribadire l’assoluta priorità alla prevenzione e al contrasto dell'estremismo di matrice islamica. In Medio Oriente e altrove.
OBAMA AL LAVORO. Se si vuole dar retta alle indiscrezioni che stanno trapelando in proposito non si dovrebbe escludere che da parte di Obama si stia valutando un qualche riscontro positivo nel prossimo futuro.
Anche perché un concreto e visibile segnale di maggiore determinazione da parte Usa, eserciterebbe un pressing decisivo in questa fase su Teheran - nel frattempo si sta andando alla stretta finale del negoziale sul dossier nucleare iraniano - considerata oggi l'unica potenza in grado di forzare la mano sul raìs.
IRAN AGO DELLA BILANCIA. L'Iran potrebbe essere indotto a considerare questa possibilità in termini di utile viatico verso la conquista della piena cittadinanza internazionale cui tanto anela; e rispetto alla quale l’appoggio ad Assad può costituire un ostacolo.
Intendiamoci, ad Assad, non certo al suo regime, sia pure riformato in uno schema di inclusività transitoria adeguatamente negoziato. E verosimilmente d'intesa con la Russia, parimenti protesa a garantirsi un’appropriata protezione dei suoi interessi geo-strategici ed economici.
UN RUOLO PURE PER MOSCA. Sia Teheran sia Mosca, infatti, hanno messo in conto il fatto che nessuna elezione può mai ri-legittimare Assad.
Questo è un momento propizio perché la scadenza del negoziato nucleare è in vista, così come pure le elezioni presidenziali siriane. E perché è tempo ormai che accanto ad Assad si regolino i conti con quella minaccia terroristica che sembra aver trovato un pericoloso (anche per noi) brodo di cultura in terra siriana. Con la collaborazione di chi se ne intende davvero, di terrorismo.
All’insegna della solidarietà e di una saggia determinazione politica.

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