venerdì 4 aprile 2014

Serie tv Usa: Mad Men 7, settimane e ultima serie



da: la Repubblica

Mad Men 7: la nuova stagione è un lungo addio
Attesa negli Usa per le storie conclusive della serie di culto. New York tappezzata dai manifesti che annunciano l'evento. I primi due episodi il 13 aprile, per gli altri cinque bisognerà aspettare la primavera 2015. E "Time" gli dedica la copertina
di Silvia Fumarola

Il conto alla rovescia è cominciato. New York è tappezzata dai manifesti psichedelici che annunciano la settima e ultima stagione di Mad Men. Un lungo addio per i 14 episodi, in due parti: i primi debutteranno su AMC il 13 aprile, per gli altri bisognerà aspettare la primavera 2015. Una strategia già usata per Breaking Bad a cui Matthew Weiner, geniale creatore di Mad Men (già autore dei Soprano), non si è opposto, imponendo però al cast  la massima riservatezza sul finale. Il primo teaser trailer non rivela molto. Don Draper (Jon Hamm) è in viaggio con Peggy Olson e Megan: dove sta andando? Cos'è cambiato nella sua vita? Quel che è certo è che l'anno cruciale è il 1969, l'anno dell'Apollo 11 e di Woodstock.

La locandina che pubblicizza l'evento è il trionfo del colore, con la sagoma nera
di Don, seduto di spalle, che la ammira. Trionfo dello stile anni 60, è un'opera di Milton Glaser, famoso per aver creato la storica campagna "I Love NY", l'artista preferito da Weiner. Fotografia dell'America degli anni 60, dal Vietnam all'era kennedyana, dall'omicidio del presidente alla battaglia per la conquista dei diritti civili degli afroamericani, mix tra storia costume e melò, acuta analisi del rapporto uomo-donna, con la tenace Peggy Olson (Elisabeth Moss) più capace e intelligente dei colleghi, che fa il doppio della fatica per imporsi e la rossa Joan Holloway (Christina Hendricks ), scaltra segretaria stereotipo della pin up, che gioca col ruolo della bella maliarda,  Mad Men ha rivoluzionato la tv.

Time dedica al finale della serie cult la cover story ("The last days of Mad Men") a cura del critico James Poniewozik. "Mi sorprendo sempre quando la gente mi dice che vuole essere come Don Draper - rivela Jon Hamm - vuoi essere un miserabile ubriacone? Forse vuoi essere come l'uomo sul poster, ma non come l'uomo che si cela davvero dietro adesso. All'esterno sembra fantastico, ma dentro è marcio. È il classico della pubblicità: metti un po' di vasellina sul cibo per farlo luccicare e sembrare buono. Non si può mangiare, ma sembra buono". Analisi che non fa una piega, ma a milioni di donne - Hamm lo sa benissimo - piace perché è così: "marcio", fiero mascalzone, traditore seriale. Un uomo che non puoi salvare. Betty (January Jones) la bellissima elegantissima, biondissima (ex) moglie di Draper, è diventata presto il monumento di tutte le consorti tradite. Per Weiener Don è "un sopravvissuto", alle battaglie sul lavoro e a se stesso. "La serie - spiega Weiner - ha sempre indagato sul mondo interiore di Don e su come si rapporti con quello esterno". Costumi perfetti come trucco, gioielli, scenografia, sigarette e bicchieri sempre pieni - se qualcuno avesse bevuto come i pubblicitari della Sterling, Cooper & Partner sarebbe già morto da quel dì per cirrosi - Mad Men ha raccontato l'America che cade, si rialza e sogna, pronta a consumare. "Nella serie ci si domanda cosa sia la felicità - dice Hamm - e cosa si possa tentare per raggiungerla. L'ironia è che il personaggio principale cerca di vendere felicità agli altri, ma non è soddisfatto della propria vita".

Il fuoriclasse Weiner, 49 anni, per creare il mondo di Mad Men (che ha debuttato nel 2007) ha studiato gli anni 50, 60 fino ai 70 con cura maniacale: "Volevo raccontare un periodo - ha spiegato - più che un ambiente di lavoro. Ero curioso di sapere come si viveva in quegli anni, cosa succedeva in America quando ero piccolo. Quegli anni mi interessano perché ci dicono tante cose su quello che sono oggi gli Stati Uniti. Sono gli anni della prosperità nazionale, ma anche quelli in cui si comincia a discutere di povertà, grandi corporazioni, razzismo, solitudine e alienazione, temi che preparano il grande conflitto culturale tra conservatori e liberali".

Se il cinema americano (da Tutti gli uomini del presidente a Le idi di marzo) ha raccontato gli intrighi della politica, la faccia oscura del potere, da un decennio è la televisione a raccontare le contraddizioni degli Stati Uniti, a innovare il linguaggio: da Breaking Bad a The Walking Dead a Homeland. Ma già E. R. - Emergency room (Medici in prima linea), la serie di Steven Spielberg e Michael Crichton aveva conquistato l'America e la copertina di Time battendo ogni record d'ascolto sulla Nbc e vincendo una serie infinita di premi. Un fenomeno sociale, tanto da essere ribattezzato "la serie di Hillary Clinton" perché, dalla finzione alla realtà, il lavoro frenetico di quel finto ospedale di Chicago bloccò i tagli alla spesa previsti dalla riforma sanitaria.

Cambiano i tempi, e il presidente Obama (fan di Peggy Olson) ha auspicato la parità di retribuzione per le donne nel suo discorso sullo Stato dell'Unione, citando il mondo immaginario dell'agenzia di Madison Avenue: "È ora di farla finita con le politiche sul lavoro che appartengono a un episodio di Mad Men". Potere della fiction.

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