da: la Repubblica
Mad
Men 7: la nuova stagione è un lungo addio
Attesa
negli Usa per le storie conclusive della serie di culto. New York tappezzata
dai manifesti che annunciano l'evento. I primi due episodi il 13 aprile, per
gli altri cinque bisognerà aspettare la primavera 2015. E "Time" gli
dedica la copertina
di Silvia
Fumarola
Il conto alla rovescia è cominciato. New
York è tappezzata dai manifesti psichedelici che annunciano la settima e ultima
stagione di Mad Men. Un lungo addio per i 14 episodi, in due parti: i primi
debutteranno su AMC il 13 aprile, per gli altri bisognerà aspettare la
primavera 2015. Una strategia già usata per Breaking Bad a cui Matthew Weiner,
geniale creatore di Mad Men (già autore dei Soprano), non si è opposto,
imponendo però al cast la massima
riservatezza sul finale. Il primo teaser trailer non rivela molto. Don Draper
(Jon Hamm) è in viaggio con Peggy Olson e Megan: dove sta andando? Cos'è
cambiato nella sua vita? Quel che è certo è che l'anno cruciale è il 1969,
l'anno dell'Apollo 11 e di Woodstock.
La locandina che pubblicizza l'evento è il
trionfo del colore, con la sagoma nera
di Don, seduto di spalle, che la ammira.
Trionfo dello stile anni 60, è un'opera di Milton Glaser, famoso per aver
creato la storica campagna "I Love NY", l'artista preferito da
Weiner. Fotografia dell'America degli anni 60, dal Vietnam all'era kennedyana,
dall'omicidio del presidente alla battaglia per la conquista dei diritti civili
degli afroamericani, mix tra storia costume e melò, acuta analisi del rapporto
uomo-donna, con la tenace Peggy Olson (Elisabeth Moss) più capace e
intelligente dei colleghi, che fa il doppio della fatica per imporsi e la rossa
Joan Holloway (Christina Hendricks ), scaltra segretaria stereotipo della pin
up, che gioca col ruolo della bella maliarda,
Mad Men ha rivoluzionato la tv.
Time dedica al finale della serie cult la
cover story ("The last days of Mad Men") a cura del critico James
Poniewozik. "Mi sorprendo sempre quando la gente mi dice che vuole essere
come Don Draper - rivela Jon Hamm - vuoi essere un miserabile ubriacone? Forse
vuoi essere come l'uomo sul poster, ma non come l'uomo che si cela davvero
dietro adesso. All'esterno sembra fantastico, ma dentro è marcio. È il classico
della pubblicità: metti un po' di vasellina sul cibo per farlo luccicare e
sembrare buono. Non si può mangiare, ma sembra buono". Analisi che non fa
una piega, ma a milioni di donne - Hamm lo sa benissimo - piace perché è così:
"marcio", fiero mascalzone, traditore seriale. Un uomo che non puoi
salvare. Betty (January Jones) la bellissima elegantissima, biondissima (ex)
moglie di Draper, è diventata presto il monumento di tutte le consorti tradite.
Per Weiener Don è "un sopravvissuto", alle battaglie sul lavoro e a
se stesso. "La serie - spiega Weiner - ha sempre indagato sul mondo
interiore di Don e su come si rapporti con quello esterno". Costumi
perfetti come trucco, gioielli, scenografia, sigarette e bicchieri sempre pieni
- se qualcuno avesse bevuto come i pubblicitari della Sterling, Cooper &
Partner sarebbe già morto da quel dì per cirrosi - Mad Men ha raccontato
l'America che cade, si rialza e sogna, pronta a consumare. "Nella serie ci
si domanda cosa sia la felicità - dice Hamm - e cosa si possa tentare per
raggiungerla. L'ironia è che il personaggio principale cerca di vendere
felicità agli altri, ma non è soddisfatto della propria vita".
Il fuoriclasse Weiner, 49 anni, per creare
il mondo di Mad Men (che ha debuttato nel 2007) ha studiato gli anni 50, 60
fino ai 70 con cura maniacale: "Volevo raccontare un periodo - ha spiegato
- più che un ambiente di lavoro. Ero curioso di sapere come si viveva in quegli
anni, cosa succedeva in America quando ero piccolo. Quegli anni mi interessano
perché ci dicono tante cose su quello che sono oggi gli Stati Uniti. Sono gli
anni della prosperità nazionale, ma anche quelli in cui si comincia a discutere
di povertà, grandi corporazioni, razzismo, solitudine e alienazione, temi che preparano
il grande conflitto culturale tra conservatori e liberali".
Se il cinema americano (da Tutti gli uomini
del presidente a Le idi di marzo) ha raccontato gli intrighi della politica, la
faccia oscura del potere, da un decennio è la televisione a raccontare le
contraddizioni degli Stati Uniti, a innovare il linguaggio: da Breaking Bad a
The Walking Dead a Homeland. Ma già E. R. - Emergency room (Medici in prima
linea), la serie di Steven Spielberg e Michael Crichton aveva conquistato
l'America e la copertina di Time battendo ogni record d'ascolto sulla Nbc e
vincendo una serie infinita di premi. Un fenomeno sociale, tanto da essere
ribattezzato "la serie di Hillary Clinton" perché, dalla finzione
alla realtà, il lavoro frenetico di quel finto ospedale di Chicago bloccò i
tagli alla spesa previsti dalla riforma sanitaria.
Cambiano i tempi, e il presidente Obama
(fan di Peggy Olson) ha auspicato la parità di retribuzione per le donne nel
suo discorso sullo Stato dell'Unione, citando il mondo immaginario dell'agenzia
di Madison Avenue: "È ora di farla finita con le politiche sul lavoro che
appartengono a un episodio di Mad Men". Potere della fiction.
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