da: Il
Fatto Quotidiano
Arrestato
ieri mattina, ma è difficile estradarlo in Italia nonostante gli accordi tra
idue paesi
La latitanza di
Marcello Dell’Utri è finita alle 9.30 (ora italiana) del mattino quando gli
agenti libanesi accompagnati da un funzionario italiano hanno bussato alla
porta della sua suite all’Intercontinental Phoenicia, un lussuoso
cinque stelle nel centro di Beirut.
L’amico Gennaro Mokbel lo aveva avvertito. Quando alla fine del 2013
Marcello aveva annunciato la sua intenzione di andare in Libano dopo avere
incontrato un ex capo di Stato libanese sul quale faceva affidamento (forse
Michel Aoun o Amin Gemayel) Mokbel lo aveva messo in guardia. Alberto Dell’Utri
lo raccontava al suo amico Vincenzo Mancuso l’8 novembre mentre era
intercettato dalla Polizia nel privé del ristorante Assunta Madre: “Marcello,
dieci giorni fa ha cenato a Roma con (…) un politico importante del Libano che
è stato presidente e che adesso si candida per le prossime elezioni in Libano e
il 14 novembre, giovedì dovrebbe andare a Beirut, per vedere.
Gennaro (Mokbel),
gli ha detto: ‘Non lo fare, perché lui è di famiglia libanese e conosce, questo
personaggio africano molto bene … dice, non ti fidare!’”.
Prosegue Alberto: “Il
Libano è una realtà molto particolare Maroniti, Musulmani (Mokbel, ndr)
giustamente, mi consigliava di non andarci adesso e soprattutto di non lasciare
traccia”. Due consigli non seguiti. Mokbel, secondo Alberto Dell’Utri,
progettava la fuga con Marcello: “Il programma è quello di andarsene in Libano
pure a lui”. Mancuso concorda: “Sì perché Gennaro è molto più a rischio”. E
Alberto: “Si … e quindi il programma è stabilirsi lì perché lì è una città dove
Marcello ci starebbe bene perché lui c’è già stato, la conosce, c’è un grande
fermento culturale”. Difficile capire se Dell’Utri sia stato gabbato, se si sia
fatto distrarre dal “fermento culturale” di Beirut o se la sua sia una
strategia che scommette sul diniego dell’estradizione. Certo sembra strano che
usasse il telefonino, la carta di credito e il suo nome per registrarsi in
hotel a Beirut mentre lo cercavano. Per capire, bisognerà attendere l’esito
della richiesta di estradizione firmata ieri dal Guardasigilli Orlando,
rientrato in fretta a Roma da Torino.
Il Libano, infatti, ha firmato un trattato con l’Italia nel 1970
ma il Paese dei cedri non prevede il
reato di associazione mafiosa, circostanza che fa cantare vittoria a
Maurizio Paniz, ex deputato del Pdl e avvocato penalista: “Pur non conoscendo
le carte, pronostico un margine di successo della richiesta di estradizione al
massimo del 25 per cento”. Secondo Paniz “il Libano può opporsi sia perchè
Dell’Utri non è ancora condannato definitivamente, sia perché l’articolo 416
bis è stato introdotto nel 1982 ed era inesistente in Italia al momento in cui
il trattato è stato stipulato e non esiste nulla di simile al 416 bis
nell’ordinamento locale. Il Libano potrebbe rifiutare l’estradizione per gli eccessivi margini di
discrezionalità dei giudici nel delimitare questo reato”.
Di diverso avviso è
invece il pg Luigi Patronaggio, che attende il verdetto di martedì sera per
reiterare, se la Cassazione confermerà la condanna, la richiesta di
estradizione motivata, questa volta, da un giudicato penale; e che ha allegato
all’istanza il testo della Convenzione Onu firmata a Palermo nel dicembre del
2000 anche dal Libano, per dimostrare come il reato di concorso esterno in
associazione mafiosa rientri tra i reati “gravi” previsti dall’articolo 2 e
richiamati dal 16, che disciplina i casi di estradizione.
Alla cattura di Marcello Dell’Utri gli
investigatori sono arrivati “a colpo sicuro”: l’ultima imbeccata è arrivata
da un informatore che ha indicato l’ultimo rifugio: l’hotel Intercontinental.
Il senatore non si è scomposto e si è lasciato accompagnare negli uffici
dell’Interpol, dopo che la perquisizione della sua stanza d’albergo ha portato
a galla decine di migliaia di euro in contanti, segno che la latitanza sarebbe
dovuta durare a lungo. Dell’Utri era solo: gli investigatori non hanno trovato
neanche suo figlio Marco, che con lui ha viaggiato da Parigi a Beirut la
mattina del 24 marzo scorso, con due biglietti regolarmente intestati. In
queste ore si cercano alcune persone, probabilmente italiani, forse siciliani,
che gli avrebbero garantito aiuti e appoggi in Libano, e che il senatore
avrebbe più volte incontrato nel corso del suo soggiorno. Gli uomini della Dia
hanno iniziato la “caccia” a metà di marzo, anche nella villa sul lago di Como
venduta a Berlusconi ma abitata dall’ex senatore, senza trovarne alcuna
traccia. Sulla base dell’intercettazione dell’8 novembre scorso nel ristorante,
trasmessa a febbraio 2014 a Palermo, hanno monitorato i voli verso il Libano,
scoprendo l’imbarco del 24 marzo. Dall’analisi delle celle telefoniche il 3aprile
è saltato fuori un “aggancio” del suo cellulare poco fuori Beirut. Sono stati
emessi i mandati e qualche decina di agenti della Dia sono andati a perquisire,
senza esito, tutte le abitazioni del senatore. Due funzionari si sono imbarcati
a Fiumicino per Beirut. Seguendo le tracce di presunti favoreggiatori, i cui
nomi sono ancora coperti, sono arrivati al Phoenicia.
Nessun commento:
Posta un commento