da: Il Fatto Quotidiano
La superficie della politica è in continuo
mutamento, nascono partiti, vengono stravolte leggi elettorali, avanza la
generazione dei quarantenni. Ma è quello delle nomine il termometro giusto per
misurare la temperatura dell’immobilismo italico. Se non cambiano le
persone che hanno in mano le vere leve del potere, cioè aziende semi-pubbliche
con bilanci degni di piccoli Stati, il resto conta poco. E il momento della
verità si sta avvicinando, la stagione delle nomine pubbliche è in arrivo e le
manovre sono cominciate.
In un’intervista all’Huffington Post, il
viceministro Antonio Catricalà dice di non volersi candidare a nulla,
ma dice anche che non ci sarebbe alcun problema di conflitto di interessi se
andasse all’Eni (stupisce tanta disinvoltura da un ex garante Antitrust, che
tante volte ha denunciato le troppe indulgenze della legge italiana in
materia). L’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, ha cominciato
da sei mesi la campagna per ottenere il quarto mandato e nessuno sembra in
grado di fermarlo. Quando un manager guida un’azienda al centro di un reticolo
di geopolitica, sicurezza e scandali come l’Eni per otto anni diventa un potere
autonomo, molto più forte di chi, in teoria, sarebbe il suo datore di lavoro,
cioè il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, azionista di
controllo con il Tesoro.
Anche Fulvio Conti, all’Enel dal 2005,
non si sente certo pronto per la pensione, nonostante la situazione difficile
del’azienda. A Flavio Cattaneo di Terna, sempre candidato a tutto,
non dispiacerebbe un altro giro, forte dei risultati ottenuti con il redditizio
business della rete elettrica. E guai a toccare Finmeccanica, in una delicata
fase di transizione (meno civile e più militare): l’adAlessandro Pansa era
ai vertici anche negli anni degli scandali, ma è saldo al suo posto. Gianni
De Gennaro, il presidente, ha molti nemici che però hanno troppa paura di lui
per provare a sostituirlo (a Matteo Renzi non dispiacerebbe vederlo
lasciare). Perfino l’Alitalia, che non è pubblica ma è molto politica, ha
riconfermato Roberto Colaninno alla presidenza, nell’attesa del
matrimonio con gli arabi di Etihad.
La crisi ha rotto gli equilibri del salotto
buono milanese, ma non di quello romano, più resistente perché ancora
para-pubblico. Basta vedere il caso Consob: da oltre un mese è scaduto il
mandato del commissario Michele Pezzinga, ma il governo non ha urgenza di
sostituirlo. E così l’autorità di vigilanza sulla Borsa è retta da sole due
persone, il commissario Paolo Troiano e il presidenteGiuseppe Vegas,
che ha un potere quasi assoluto. Quando si parla di poltrone, la Seconda
Repubblica non sembra finire mai.
Twitter
@stefanofeltri
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