“Come contribuente e come cittadina non mi interessa un
governo di giovani quarantenni. Pretendo di essere governata da persone
competenti e responsabili, che blaterino meno e ci tirino fuori dai guai”. Cosi scirve, tra l’altro, la mia giornalista preferita
Milena Gabanelli.
Concordo e
sottoscrivo. E non solo perché considero – mediamente - la generazione dei
quarantenni degli incompiuti. Piuttosto scarsini. Dalla dubbia consistenza: né
carne né pesce.
Ovviamente, ciò vale
in termini relativi. Non assoluti. Perché, si sa, ogni regola ha la sua
eccezione.
da:
Corriere della Sera
Tutto quello che non ha fatto la politica del «noi
faremo»
Il peso delle tasse, la giustizia lenta, le difficoltà di
imprese e lavoratori, i tagli alla Rai
di Milena Gabanelli
A fine anno, nella
vita come in tv, si replica. Il Capo dello Stato fa il suo discorso, quello del
Governo ricicla le dichiarazioni di 6 mesi fa in occasione del decreto del
fare, con l’enfasi di un brindisi: «Faremo». Vorremmo un governo che a fine
anno dica «abbiamo fatto» senza dover essere smentito. Il Ministro Lupi fa
l’elenco della spesa: 10 miliardi per i cantieri, «saranno realizzate cose come
piazze, tutto ciò di cui c’è un bisogno primario». C’è un bisogno primario di
piazze e di rotatorie? «Trecentoventi milioni per la Salerno-Reggio Calabria».
Ancora fondi per la Salerno Reggio-Calabria? Fondi per l’allacciamento wi-fi.
Ma non erano già nel piano dell’Agenda Digitale?
E poi la notizia
numero uno: «Le tasse sono diminuite». Vorrei sapere dal premier Letta per chi
sono diminuite, perché le mie sono aumentate, e anche quelle di tutte le
persone che conosco o che a me si rivolgono. È aumentata la bolletta elettrica,
l’Iva, l’Irpef, la Tares. L’acconto da versare a fine anno è arrivato al 102%
delle imposte pagate nel 2012, quando nel 2013 tutti hanno guadagnato meno
rispetto all’anno prima. Certo l’anno prossimo si andrà a credito, ma intanto
magari chiudi o licenzi. E tu Stato, quando questi soldi li dovrai restituire
dove li trovi? Farai una manovra che andrà a penalizzare qualcuno. I debiti
della pubblica amministrazione con le imprese ammontano a 91 miliardi. A giugno
il Governo dichiara: «Stanziati 16 miliardi». È un falso, perché quei 16
miliardi sono un prestito fatto da Cassa Depositi e Prestiti agli enti locali.
E per rimborsare questo mutuo, i comuni, le province e regioni hanno aumentato
le imposte. L’Assessore al Bilancio della Regione Piemonte in un’intervista a
Report ha detto: «Per non caricare il pagamento dei debiti sui cittadini, si
doveva tagliare sul corpo centrale delle spese del Governo, e se non si
raggiungeva la cifra… non so.. vendo la Rai!».
Privatizzare la Rai è
un tema ricorrente. Nessun paese europeo pensa di vendersi il servizio pubblico
perché è un cardine della democrazia non sacrificabile. In nessun paese europeo
però ci sono 25 sedi locali: Potenza, Perugia, Catanzaro, Ancona. In Sicilia ce
ne sono addirittura due, a Palermo e a Catania, ma anche in Veneto c’è una sede
a Venezia e una a Verona, in Trentino Alto Adige una a Trento e una a Bolzano.
La Rai di Genova sta dentro ad un grattacielo di 12 piani…ma ne occupano a
malapena 3. A Cagliari invece l’edificio è fatiscente con problemi di
incolumità per i dipendenti. Poi ci sono i Centri di Produzione che non
producono nulla, come quelli di Palermo e Firenze. A cosa servono 25 sedi? A
produrre tre tg regionali al giorno, con prevalenza di servizi sulle sagre,
assessori che inaugurano mostre, qualche fatto di cronaca. L’edizione di
mezzanotte, che è una ribattuta, costa 4 milioni l’anno solo di personale.
Perché non cominciare a razionalizzare? Se informazione locale deve essere,
facciamola sul serio, con piccoli nuclei, utilizzando agili collaboratori sul
posto in caso di eventi o calamità, e in sinergia con Rai news 24. Non si farà
fatica, con tutte le scuole di giornalismo che sfornano ogni anno qualche
centinaio di giornalisti! Vogliamo cominciare da lì nel 2014? O ci dobbiamo
attendere presidenti di Regione che si imbavagliano davanti a Viale Mazzini per
chiedere la testa del direttore di turno che ha avuto la malaugurata idea di
fare il suo mestiere? È probabile, visto che la maggior parte di quelle 25 sedi
serve a garantire un microfono aperto ai politici locali. Le Regioni
moltiplicano per 21 le attività che possono essere fatte da un unico organismo.
Prendiamo un esempio
cruciale: il turismo. Ogni regione ha il suo ente, la sua sede, il suo
organico, il suo budget, le sue consulenze, e ognuno si fa la sua campagna
pubblicitaria. La Basilicata si fa il suo stand per sponsorizzare Metaponto a
Shangai. Ognuno pensa a sé, alla sua clientela (non turistica, sia chiaro) da
foraggiare. E alla fine l’Italia, all’estero, come offerta turistica, non
esiste. Dal mio modesto osservatorio che da 16 anni verifica e approfondisce le
ricadute di leggi approvate e decreti mai emanati che mettono in difficoltà
cittadini e imprese, mi permetto di fare un elenco di fatti che mi auguro, a
fine 2014, vengano definitivamente risolti.
Punto 1. Ridefinizione
del concetto di flessibilità. Chi legifera dentro al palazzo forse non conosce
il muro contro cui va a sbattere chi vorrebbe dare lavoro, e chi lo cerca. Un
datore di lavoro (che sia impresa o libero professionista) se utilizza un
collaboratore per più di 1 mese l’anno, lo deve assumere. Essendo troppo
oneroso preferisce cambiare spesso collaboratore. Il precario, a sua volta, se
offre una prestazione che supera i 5000 euro per lo stesso datore di lavoro,
non può fare la prestazione occasionale, ma deve aprire la partita Iva, che pur
essendo nel regime dei minimi lo costringe comunque al versamento degli
acconti; inoltre deve rivolgersi ad un commercialista per la dichiarazione dei
redditi, perché la norma è di tre righe, ma per dirti come interpretare quelle
tre righe, ci sono delle circolari ministeriali di 30 pagine, che cambiano
continuamente. Il principio di spingere le persone a mettersi in proprio è
buono, ma poi le regole vengono rimpinzate di lacci e alla fine la partita Iva
diventa poco utilizzabile. Perché non alzare il tetto della «prestazione
occasionale» fino a quando il precario non ha definito il proprio percorso
professionale? Il mondo del lavoro non è fatto solo da imprese che sfruttano,
ma da migliaia di micropossibilità che vengono annientate da una visione che
conosce solo la logica del posto fisso. Si dirà: «Ma se non metti dei paletti
ci troveremo un mondo di precari a cui nessuno versa i contributi». Allora
cominci lo Stato ad interrompere il blocco delle assunzioni e smetta di
esternalizzare! Oggi alle scuole servono 11.000 bidelli che costerebbero 300
milioni l’anno. Lo Stato invece preferisce dare questi 300 milioni ad alcune
imprese, che ricavano i loro margini abbassando gli stipendi (600 euro al mese)
e di conseguenza i contributi. Che pensione avranno questi bidelli? In compenso
lo Stato non ha risparmiato nulla…però obbliga un libero professionista o una
piccola impresa ad assumere un collaboratore che gli serve solo qualche mese
l’anno. Il risultato è un incremento della piaga che si voleva combattere: il
lavoro nero.
Punto 2. Giustizia.
Mentre aspettiamo di vedere l’annunciata legge che archivia i reati minori (chi
falsifica il biglietto dell’autobus si prenderà una multa senza fare 3 gradi di
giudizio), occorrerebbe cancellare i processi agli irreperibili. Oggi chi è
beccato a vendere borse false per strada viene denunciato; però l’immigrato
spesso non ha fissa dimora, e diventa impossibile notificare gli atti, ma il
processo va avanti lo stesso, con l’avvocato d’ufficio, pagato dallo Stato, il
quale ha tutto l’interesse a ricorrere in caso di condanna. Una macchina
costosissima che riguarda circa il 30% delle sentenze dei tribunali
monocratici, per condannare un soggetto che «non c’è». Se poi un giorno lo
trovi, poiché la legge europea prevede il suo diritto a difendersi, si
ricomincia da capo. Perché non fare come fan tutti, ovvero sospendere il
processo fino a quando non trovi l’irreperibile? Siamo anche l’unico paese al
mondo ad aver introdotto il reato di clandestinità: una volta accertato che
tizio è clandestino, anziché imbarcarlo subito su una nave verso il suo paese,
prima gli facciamo il processo e poi lo espelliamo. Una presa in giro utile a
far credere alla popolazione, che paga il conto, che «noi ce l’abbiamo duro».
Punto 3. L’autorità
che vigila sui mercati e sul risparmio. Dal 15 dicembre, scaduto il mandato del
commissario Pezzinga, la Consob è composta da soli due componenti. La nomina
del terzo commissario compete al Presidente del Consiglio sentito il Ministro
dell’Economia ed avviene con decreto del Presidente della Repubblica. Nella
migliore delle ipotesi ci vorranno un paio di mesi di burocrazia una volta che
si sono messi d’accordo sul nome. Ad oggi l’iter non è ancora stato avviato e
l’Autorità non assolve il suo ruolo indipendente proprio quando si deve
occupare di dossier strategici per il futuro economico-finanziario del Paese
come MPS, Unipol-Fonsai e Telecom. Di fatto Vegas può decidere come vigilare
sui mercati finanziari e sul risparmio, direttamente da casa, magari dopo
essersi consultato con Tremonti (che lo aveva a suo tempo indicato), visto che
il voto del Presidente vale doppio in caso di parità, e i Commissari hanno
facoltà di astensione. Perché il Governo non si è posto il problema qualche
mese fa, e perché non si è ancora fatto carico di una nomina autorevole,
indipendente e in grado di riportare al rispetto delle regole?
Punto 4. Ilva. È alla
firma del Capo dello Stato il decreto «terra dei fuochi», dentro ci hanno messo
un articolo che autorizza l’ottantenne Commissario Bondi a farsi dare i circa 2
miliardi dei Riva sequestrati dalla procura di Milano. Ottimo! Peccato che non
sia specificato che quei soldi devono essere investiti nella bonifica. Inoltre
Bondi è inadempiente, ma il decreto gli da una proroga di altri 3 anni, e se
poi non sarà riuscito a risanare, non è prevista nessuna sanzione. Nel
frattempo che ne è del diritto non prorogabile della popolazione a non
respirare diossina? Ovunque, di fronte ad un disastro ambientale, si sequestra,
si bonifica e i responsabili pagano. Per il nostro governo si può morire ancora
un po’.
Come contribuente e
come cittadina non mi interessa un governo di giovani quarantenni. Pretendo di
essere governata da persone competenti e responsabili, che blaterino meno e ci
tirino fuori dai guai. Pretendo che l’età della pensione valga per tutti, che
il rinnovo degli incarichi operativi non sia più uno orrendo scambio di
poltrone fra la solita compagnia di giro. Pretendo di essere governata da una
classe politica che non insegna ai nostri figli che impegnarsi a dare il meglio
è inutile.
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