mercoledì 15 gennaio 2014

Collettivo Zero, campagna web: freelance sì, coglioneNo

da: Lettera 43

#coglioneNo, i lavoratori creativi alzano la voce
Videomaker. Grafici. Giornalisti. Impiegati e non retribuiti. Viaggio tra i giovani raccontati dal collettivo Zero.
di Paola Alagia

In meno di 24 ore ha fatto incetta di contatti e adesioni sui social network. Solo su Facebook i like sono schizzati a più di 10 mila. La campagna virale, promossa il 13 gennaio dal collettivo di videomaker Zero, insomma, ha fatto il botto.
L'iniziativa va a difesa della generazione di lavoratori creativi sempre più bistrattati, mal pagati o addirittura costretti a lavorare gratis. Tre video, con tre protagonisti diversi, un idraulico, un giardiniere e un antennista, e un messaggio comune: freelance sì, coglione no. E proprio l’hashtag #coglioneNo ormai impazza su Twitter.


L'IDEA DI TRE UNDER 30. La scelta dei soggetti delle clip da parte di Zero non è casuale: «È stata funzionale a marcare ancora di più le parole assurde che noi creativi ci sentiamo sempre ripetere», ha detto a Lettera43.it Niccolò Fraschetti, il 26enne di Grossetto che, insieme a Stefano De Marco, 25 anni
di Roma e Alessandro Grespan, 29 di Treviso, fa parte del collettivo. «E cioè: “Per questo progetto non c’è budget”».
Frasi che fanno il paio con “Ti fa curriculum”, oppure “Sei giovane, ti sei fatto un’esperienza” che, appunto, nessuno rivolge a un idraulico o a un elettricista «perché il loro mestiere ha una dignità accertata», ha incalzato Fraschetti, «mentre chi fa o prova a fare il grafico, il fotografo e il videomaker si sente dire di continuo».
UN RITORNELLO CHE HA STUFATO. Un ritornello comune all’intera galassia di freelance: «Non che la musica cambi per giovani giornalisti, avvocati e architetti», ha aggiunto Fraschetti, «e le attestazioni di solidarietà, insieme alla piena condivisione della battaglia, che stiamo raccogliendo in queste ore ne è la prova. Basta guardare il nostro profilo Facebook: in un anno e mezzo avevamo raggiunto 1.200 like e in meno di un giorno siamo passati a oltre 10 mila».
Mal comune, mezzo gaudio, però: «Da una parte ci inorgoglisce che i nostri video abbiamo colto nel segno, ma dall’altra desta amarezza che così tante categorie siano trattate come se non lavorassero, come se si dedicassero a un passatempo».

Boom di iscrizioni alle facoltà umanistiche: il 34% nel 2013

Eppure le facoltà universitarie che negli ultimi anni hanno registrato il maggior numero di iscritti sono proprio quelle dell’area umanistica.
Il rapporto Excelsior di Unioncamere del mese di novembre scorso parla chiaro: il 33,9% di laureati previsti nel 2013 hanno seguito corsi di indirizzo letterario. Al secondo posto si collocano, invece, le lauree di tipo economico (32,7%), seguite da quelle d’indirizzo politico-sociale (a quota 14%).
DOMANDA BASSA. Le previsioni di assunzioni, però, riguardano soprattutto chi è in possesso di un titolo di studio di tipo economico-sociale (18,2% ) e, in particolare, economisti e statistici (17,4).
La richiesta di competenze umanistiche è, naturalmente, più bassa: la ricerca fa un calcolo previsionale di 75 assunzioni, superiore alla richiesta di laureati delle facoltà medico-sanitarie, delle aree scientifiche e dell’area giuridica. Ma rimane una magra consolazione. 
UNO SCOGLIO INSORMONTABILE. Per il popolo dei creativi, insomma, il lavoro rimane uno scoglio insormontabile: «Sappiamo bene che le nostre attività non portano a entrate immediate. Ma l’assenza totale di guadagno è un’altra cosa. Ed è inconcepibile», ha aggiunto il videomaker.
«Speriamo solo di riuscire, con queste clip, a capitalizzare le energie raccolte per sbloccare la situazione. E l’attenzione che stiamo riscontrando è un bel segnale. Giovani e meno giovani stanno sposando la nostra iniziativa. Chissà che, mettendo insieme competenze diverse, non si possa uscire dallo stallo attuale».
A salutare con soddisfazione il progetto messo in campo dal collettivo Zero c’è Eleonora Voltolina, fondatrice e direttore de La Repubblica degli stagisti, ora impegnata con la testataArticolo36.it: « È da tempo ormai che porto avanti una campagna di coscienza individuale sul valore del lavoro e sugli effetti deleteri di ‘doping’ del mercato, creato involontariamente da chi accetta di svolgere la propria attività per poco o nessun guadagno», dice a Lettera43.it, «Dunque ben venga l’iniziativa #coglioneNo e tutte le altre mirate a far passare il messaggio che il lavoro in quanto tale va pagato. Altrimenti si chiamerebbe volontariato».
UNA FILIERA DA 2 MILIONI D'ITALIANI. Tra registi, copywriter, pubblicitari, art director, grafici, architetti, designer e blogger, senza dimenticare stilisti, professionisti dello spettacolo, dei media e dell'editoria, sono circa 2 milioni gli italiani impegnati nella filiera creativa. Non solo, ma secondo il rapporto 2013 Io sono cultura – l’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi,, elaborato da Fondazione Symbola e Unioncamere, «la cultura frutta al Paese il 5,4% della ricchezza prodotta, ossia 75,5 miliardi di euro, dando lavoro a 1 milione e 400 mila persone».
«Sarà anche vero» ha detto a Lettera43.it, Francesca, 31 anni di Roma, «ma questi dati non trovano nessuna rispondenza nella mia esperienza di vita». Una laurea in Lettere e un certificato Ditals (per l’insegnamento dell’italiano agli stranieri ), «ma neppure l’ombra di un lavoro. Quando ho visto i video del collettivo Zero la mia reazione è stata un’amara risata».

Un posto da giardiniere in cambio di un corso gratuito

Altro che “Per questo progetto non c’è budget”, Francesca si è sentita addirittura proporre un baratto: «Di fronte alla mia candidatura come docente di lingua per stranieri nella stessa scuola in cui mi sono formata, mi hanno liquidato con un’offerta di lavoro a dir poco originale. Un posto da giardiniere nell’istituto in cambio di un corso di lingua gratuito. Un controsenso che grida vendetta».
La giovane 31enne ha perso il conto di tutte le volte che le hanno proposto lavori gratuiti e punta l’indice soprattutto contro i portali di ricerca di annunci: «Migliaia di risposte a offerte nel settore istruzione e formazione, senza mai un feedback. Neanche negativo. E meno male che si tratta di annunci».
«LA RIVOLUZIONE PARTA DAI GIOVANI». Davide Demichelis, documentarista freelance di Torino, per lo meno, non si sente più fare offerte di lavoro gratis: «Ho 48 anni e da 20 realizzo documentari. Negli ultimi 12 soprattutto naturalistici. Ho accumulato una certa esperienza e ho dei rapporti di lavoro ormai consolidati  per cui nessuno prova più a propinarmi attività non retribuite», ha raccontato a Lettera43.it, «Ma in passato il “Fa curriculum” era all’ordine del giorno». Demichelis, una carriera iniziata da giornalista e un impegno ancora attivo nel sindacato piemontese della categoria, pensa soprattutto a chi oggi si affaccia per la prima volta al mondo del lavoro: «I video del collettivo Zero hanno colto nel segno. La vera rivoluzione, però, deve partire proprio da chiunque svolge un lavoro creativo. I giovani, insomma, devono cominciare a rifiutare tutte le offerte di lavoro senza paga. Solo così si può cominciare a cambiare qualcosa».
MA C'È CHI CAMBIA VITA. Alfredo che di anni ne ha 29, invece, è talmente scoraggiato che ha deciso di cambiare completamente vita: «Ho frequentato il Dams a Bologna e dopo la laurea mi sono dedicato anima e corpo alla mia passione e cioè fare il critico d’arte», si è sfogato conLettera43.it, «Per guadagnare cosa? Solo collaborazioni gratuite. Con i biglietti agli spettacoli teatrali tutti, ovviamente,  a mio carico». Dopo due anni la svolta: «Non potevo andare avanti così», ha concluso, «Come facevo a vivere a Bologna? Dovevo continuare a campare sulle spalle della mia famiglia? Ho frequentato un corso da assistente di volo e il mese prossimo mi trasferisco a Barcellona. Con l’Italia ho chiuso».
«LA POLITICA? NON PUÒ AIUTARCI». Al contrario di Fraschetti, laureato in Lettere e Filosofia. Il giovane videomaker, che per arrotondare ha fatto tanti piccoli lavori (dal barista al cameriere, passando per il volantinaggio),  non si dà per vinto: «Non è vero che nel nostro Paese il lavoro non ci sia. Manca una corretta redistribuzione. E soprattutto la grande assente è una vera cultura del lavoro».
Certo, dalla politica non si aspetta granché: «Non ha risposte. Per averle avrebbe bisogno di  tempo. Proprio quello che le manca, dal momento che insegue il consenso che, è risaputo, richiede feedback immediati». 

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