mercoledì 15 gennaio 2014

Quelli che…chiagni e fotti: casa De Girolamo

“Nunzia De Girolamo nasconde sotto i suoi quarant’anni non ancora compiuti il curriculum completo dei vizi dell’eterno dominio meridionale”.
No. Non l’ha scritto un leghista…


da: Il Fatto Quotidiano

“Nunzia, tu chiagni e fotti”: casa De Girolamo fra vecchi vizi e familismo
di Antonio Caporale

Nunzia De Girolamo nasconde sotto i suoi quarant’anni non ancora compiuti il curriculum completo dei vizi dell’eterno dominio meridionale. La propensione ad arraffare il potere e confinarlo in cucina, tramandando nel rito familistico la specie dei brontosauri di provincia. Portaborse e tirapiedi prendono appunti, eseguono. Altro che caduta di stile: casa Nunzia è il luogo della diaspora delle passioni, quelle a cui lei si rifaceva in ogni presenza tv avanzando con la sua gioventù il diritto a provare a governare in modo diverso. E s’è visto il modo! La sanità tenuta sotto i tacchi del suo scarpino ferrato, dove portantini e primari, nel gioco eterno dell’appartenenza, replicavano i fasti altrettanto intramontabili della servitù politica.


Sull’assenza dell’incriminazione penale lei prospetta un altro indiscusso primato della politica italiana. Agganciare al reato la propria virtù. Nella certezza, poi, quand’anche venisse contestato, della consueta declaratoria di innocenza. In Italia i processi non finiscono mai e non c’è politico che abbia ammesso l’errore, la responsabilità. Persino quando le prove erano schiaccianti, dimostrate, incontrovertibili.

La colpa più grande e più grave che De Girolamo porta con sé è aver spacciato la sua vecchiaia per giovinezza, l’ineffabile tratto clientelare dei suoi atteggiamenti pubblici per il desiderio di far avanzare la propria terra, di dare, come le piaceva dire, “le risposte alla mia gente”. Le risposte, in verità, le dava a se stessa e forse alla propria famiglia nella corsa sfrenata ad occupar caselle, chiudere accordi, aprire sedi del 118, deviare corsie di ospedali. Definisce “abusive” le intercettazioni nell’intenzione di squalificarle. Ma invece rende enorme l’abuso che lei fa del proprio ufficio, e l’abuso, se ci è permesso, del continuo richiamo alla bimba che le cresce accanto, al suo ruolo di madre ripetuto come un clichè pubblicitario, al dolore che le comporta vederla piangere e a quel nervoso, come ha detto, che prova quando la piccola sta male.

Qui non c’è caduta di stile, ma prova abbastanza disumana di quanto la politica restringa persino i confini inviolabili dell’intimità, della felicità, dell’ansia, delle preoccupazioni quotidiane che un’altra vita ci obbliga a trattenere nel nostro corpo. Di come l’innocenza dell’infanzia debba venire divorata dal reperto dei vizi della stagione adulta. Ecco il modo feroce in cui le colpe dei padri (e delle madri) si tramandano ai figli.

Non c’è caduta di stile nell’affaire De Girolamo: esiste solo la prova della caduta dello Stato, dei suoi uffici pubblici, dell’interesse generale. Esiste la prova documentale di quanto sia stato piegato a fini privati nell’eterno ritorno all’antico. Dove persino la concessione di un bar deve trasformarsi nella esecuzione triste di un diktat politico. E la complicità del ceto dirigente del suo partito, come pure degli alleati di governo, provano che non esiste valore, misura, pentimento. Il governo sarebbe più debole se invitasse il ministro a trarne le conseguenze e quindi si attende.

Meno male che Letta vorrebbe cambiare passo! Inizi ad applicarsi nell’interpretazione della realtà invece che difendersi con la luce dell’apparenza. Attende Letta, attende Renzi, anzi proprio fugge dal caso. In mezzo Francesco Boccia, metà lettiano, metà renziano e anche (sembra un’appendice in commedia) marito dell’incolpata. Tanto, come ha detto Felice Casson (Pd) domenica al Fatto, su Nunzia c’è il patto del silenzio per non far cadere il governo. Ma giovani si nasce, e non serve la carta d’identità ma la pratica quotidiana, le cose concrete, come piace dire a Matteo. Invece attendiamo le parole del ministro. E cosa mai potrà dirci?

“Chiagni e fotti”. La meravigliosa lingua napoletana pittura per metafora l’umana doppiezza e incastra Nunzia, il suo quotidiano “chiagni e fotti”, nella fenomenologia del furbo intramontabile. La furbizia, elevata a sistema di potere, conduce alla devianza dell’intelligenza non alla riabilitazione. Mostrarsi vittima in una vicenda che denuncia l’abuso quotidiano e deprimente del potere pubblico, prova l’incoercibile destino della politica a rifugiarsi in una falsificazione sistemica – anche psicologica – della realtà. Intanto dalle parti del suo partito (Ncd) arriva l’annuncio: “Chiarira tutto in Parlamento”.

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