“Nunzia
De Girolamo nasconde sotto i suoi quarant’anni non ancora compiuti il
curriculum completo dei vizi dell’eterno dominio meridionale”.
No. Non l’ha scritto un leghista…
da: Il Fatto Quotidiano
“Nunzia,
tu chiagni e fotti”: casa De Girolamo fra vecchi vizi e familismo
di Antonio Caporale
Nunzia De Girolamo nasconde sotto i suoi quarant’anni non
ancora compiuti il curriculum completo dei vizi dell’eterno dominio meridionale. La propensione ad arraffare il
potere e confinarlo in cucina, tramandando nel rito familistico la specie dei
brontosauri di provincia. Portaborse e tirapiedi prendono appunti, eseguono.
Altro che caduta di stile: casa Nunzia è il luogo della diaspora delle
passioni, quelle a cui lei si rifaceva in ogni presenza tv avanzando con la sua
gioventù il diritto a provare a governare in modo diverso. E s’è visto il modo!
La sanità tenuta sotto i tacchi del suo scarpino ferrato, dove portantini e
primari, nel gioco eterno dell’appartenenza, replicavano i fasti altrettanto
intramontabili della servitù politica.
Sull’assenza
dell’incriminazione penale lei prospetta un altro indiscusso primato della
politica italiana. Agganciare al reato la propria virtù. Nella certezza, poi,
quand’anche venisse contestato, della consueta declaratoria di innocenza. In
Italia i processi non finiscono mai e non c’è politico che abbia ammesso
l’errore, la responsabilità. Persino quando le prove erano schiaccianti,
dimostrate, incontrovertibili.
La colpa più grande e
più grave che De Girolamo porta con sé è aver spacciato la sua vecchiaia per
giovinezza, l’ineffabile tratto clientelare dei suoi atteggiamenti pubblici per
il desiderio di far avanzare la propria terra, di dare, come le piaceva dire,
“le risposte alla mia gente”. Le risposte, in verità, le dava a se stessa e
forse alla propria famiglia nella corsa sfrenata ad occupar caselle, chiudere
accordi, aprire sedi del 118, deviare corsie di ospedali. Definisce “abusive”
le intercettazioni nell’intenzione di squalificarle. Ma invece rende enorme
l’abuso che lei fa del proprio ufficio, e l’abuso, se ci è permesso, del
continuo richiamo alla bimba che le cresce accanto, al suo ruolo di madre
ripetuto come un clichè pubblicitario, al dolore che le comporta vederla
piangere e a quel nervoso, come ha detto, che prova quando la piccola sta male.
Qui non c’è caduta di
stile, ma prova abbastanza disumana di quanto la politica restringa persino i
confini inviolabili dell’intimità, della felicità, dell’ansia, delle preoccupazioni
quotidiane che un’altra vita ci obbliga a trattenere nel nostro corpo. Di come
l’innocenza dell’infanzia debba venire divorata dal reperto dei vizi della
stagione adulta. Ecco il modo feroce in cui le colpe dei padri (e delle madri)
si tramandano ai figli.
Non c’è caduta di
stile nell’affaire De Girolamo: esiste solo la prova della caduta dello Stato,
dei suoi uffici pubblici, dell’interesse generale. Esiste la prova documentale
di quanto sia stato piegato a fini privati nell’eterno ritorno all’antico. Dove
persino la concessione di un bar deve trasformarsi nella esecuzione triste di
un diktat politico. E la complicità del ceto dirigente del suo partito, come
pure degli alleati di governo, provano che non esiste valore, misura,
pentimento. Il governo sarebbe più debole se invitasse il ministro a trarne le
conseguenze e quindi si attende.
Meno male che Letta
vorrebbe cambiare passo! Inizi ad applicarsi nell’interpretazione della realtà
invece che difendersi con la luce dell’apparenza. Attende Letta, attende Renzi,
anzi proprio fugge dal caso. In mezzo Francesco Boccia, metà lettiano, metà
renziano e anche (sembra un’appendice in commedia) marito dell’incolpata.
Tanto, come ha detto Felice Casson (Pd) domenica al Fatto, su Nunzia c’è il
patto del silenzio per non far cadere il governo. Ma giovani si nasce, e non
serve la carta d’identità ma la pratica quotidiana, le cose concrete, come
piace dire a Matteo. Invece attendiamo le parole del ministro. E cosa mai potrà
dirci?
“Chiagni e fotti”. La
meravigliosa lingua napoletana pittura per metafora l’umana doppiezza e
incastra Nunzia, il suo quotidiano “chiagni e fotti”, nella fenomenologia del
furbo intramontabile. La furbizia, elevata a sistema di potere, conduce alla
devianza dell’intelligenza non alla riabilitazione. Mostrarsi vittima in una
vicenda che denuncia l’abuso quotidiano e deprimente del potere pubblico, prova
l’incoercibile destino della politica a rifugiarsi in una falsificazione
sistemica – anche psicologica – della realtà. Intanto dalle parti del suo
partito (Ncd) arriva l’annuncio: “Chiarira tutto in Parlamento”.
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